Gli obiettivi e le politiche delle imprese

Per quali motivi le PMI attuano iniziative di welfare aziendale? Abbiamo individuato dieci possibili obiettivi per l’impresa.
Un terzo delle aziende attribuisce un’importanza notevole (somma dei giudizi “molto importante” e “fondamentale”) alla maggior parte di essi (fig. 1).

Obiettivi del Welfare Azeindale fig 1
Fig. 1

Le imprese esprimono giudizi simili sull’intero arco degli obiettivi aziendali. Sono molto condivisi gli obiettivi di gestione delle risorse umane: fidelizzare le risorse aziendali più qualificate (34,7%) e fidelizzare gli addetti in generale (31,2%), migliorare la produttività del lavoro (31,4%), migliorare il clima aziendale e la soddisfazione degli addetti (29,7%). Di pari livello la considerazione di obiettivi strategici per la sostenibilità del business: rendere sostenibile a lungo termine il successo aziendale (32,1%), migliorare l’immagine e la reputazione dell’azienda (33,9%). I benefici economici più immediati non appaiono altrettanto prioritari, pur se hanno una importante funzione di supporto: contenere il costo del lavoro (26,8%), utilizzare i vantaggi fiscali (22,4%).

Le valutazioni di importanza degli obiettivi sono tra loro molto correlate (fig. 2). Gli indici di correlazione sono tutti superiori al 50% e in molti casi al 70%. Ciò significa che le imprese che hanno dato valutazioni di importanza elevata l’hanno fatto tendenzialmente per tutti gli obiettivi del welfare aziendale, e similmente si sono comportate le imprese che hanno espresso valutazioni di scarsa importanza.

Quindi gli obiettivi non discriminano i profili aziendali. Un’impresa su quattro attua iniziative di welfare perché ritiene che siano molto importanti o fondamentali per l’intero arco degli obiettivi aziendali.

Obiettivi del Welfare Azeindale fig 2
Fig. 2

Considerazioni simili emergono dall’analisi di quanto le imprese ritengono che le iniziative di welfare siano efficaci per gli obiettivi aziendali (fig. 3).  Per la maggior parte degli obiettivi un numero di imprese oscillante tra il 25 e il 30% ritiene che le iniziative attuate siano state eccellenti o molto efficaci. La maggiore efficacia è attribuita all’impatto del welfare sull’obiettivo di rendere sostenibile a lungo termine il successo aziendale (30,2%) e sull’immagine e la reputazione dell’azienda (28,1%). Le iniziative di welfare aziendale sono considerate molto o moltissimo efficaci anche per gli obiettivi di fidelizzare le risorse più qualificate (29,5%) e gli addetti in genere (26%), nonché di migliorare il clima aziendale (26,5%).

Obiettivi del Welfare Azeindale fig 3
Fig. 3

L’agricoltura sociale e il welfare

L’agricoltura sociale ha un ruolo originale e di punta nel panorama del welfare aziendale e della responsabilità sociale d’impresa.

Secondo il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali sono attivi nel nostro paese più di 1.000 progetti di agricoltura sociale, e ciò colloca l’Italia ai primi posti nello scenario europeo.

Ne fanno parte organizzazioni con diverse forme giuridiche, i cui scopi sono coniugare l’agricoltura e la salute, promuovere il benessere fisico, mentale e sociale degli individui, promuovere l’inserimento delle persone svantaggiate.

L’indagine sul welfare aziendale nell’agricoltura sociale è stata realizzata in collaborazione con la Rete Fattorie Sociali. Hanno partecipato 112 organizzazioni. Il campione è equamente distribuito per aree geografiche: 33% di imprese al Nord, 36,6% nel Centro, 30,4% nel Sud e Isole (fig. 1).

Le organizzazioni sono così stratificate per classi dimensionali (fig. 2): 53,5% fino a cinque addetti; 31,3% da 6 a 10 addetti; 11,7% da 11 a 30 addetti; 3,5% oltre 31 addetti. Nella definizione di addetti sono inclusi i lavoratori a tempo indeterminato e quelli a tempo determinato, inclusi gli stagionali, che lavorano ripetutamente per l’impresa. Sono inoltre inclusi sia gli addetti impiegati in agricoltura sia quelli impiegati nelle attività sociali.

La fig. 3 rappresenta la composizione del campione per forma giuridica. Il 45,5% sono organizzazioni del terzo settore: cooperative sociali e associazioni. Le cooperative sociali di tipo A (5,4%) si occupano della gestione di servizi socio-sanitari, formativi e di educazione permanente. Le cooperative sociali di tipo B (21,4%) si occupano di attività finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Il 7,1% del campione sono cooperative sociali miste A e B. Inoltre le associazioni sono l’11,6%. Le imprese di mercato rappresentano il 46,5%: aziende agricole (42%), cooperative (4,5%). Inoltre sono presenti altre forme giuridiche (8,1%).

fig_47-48-49
Fig. 1 – 2 – 3

La piattaforma web per gestire piani di welfare

Con risposta ad interpello n. 904-1533/2016 dello scorso 18 novembre, l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata positivamente sull’utilizzo di una piattaforma web per la gestione dei Piani di Welfare aziendali che consenta ai dipendenti la fruizione integrata e flessibile dei servizi previsti dal piano stesso secondo le proprie necessità ed esigenze

Il datore di lavoro può quindi mettere a disposizione dei propri lavoratori i beni e servizi prescelti mediante un piattaforma informatica alla quale ognuno degli interessati può collegarsi per scegliere il paniere di servizi che più gli aggrada, con l’unico limite del budget figurativo complessivo di spesa assegnato. Secondo l’Agenzia delle Entrate questa modalità di gestione del Piano Welfare non impedisce di godere dei benefici fiscali previsti dalla normativa, sempre che il plafond individuale, in caso di non utilizzo, non venga convertito in denaro e rimborsato al lavoratore in quanto, poiché l’esenzione da imposizione è riferibile unicamente alle erogazioni in natura e non si estende alle erogazioni sostitutive in denaro, sono escluse dall’agevolazione le erogazioni di somme, anche indirette, da parte del datore di lavoro che possono consistere in rimborsi o anticipazioni di spese sostenute dal dipendente o dai suoi familiari.

Per quanto riguarda l’entità del budget figurativo di spesa riconosciuto ai dipendenti e la possibilità di diversificarlo per ognuno di loro a titolo premiale, l’Agenzia ritiene che per mantenere le agevolazioni fiscali è necessario che il plafond di spesa, seppur differenziato, abbia quanto meno la medesima consistenza all’interno della singola categoria omogenea di dipendenti considerata.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Welfare agricolo: intevista a Luigi Mastrobuono, Confagricoltura

Luigi Mastrobuono, Direttore Generale di Confagricoltura dichiara: “Mettere a sistema le buone pratiche del settore agricolo”.

“La sfida di oggi è far diventare sistema le buone pratiche del settore agricolo che già esistono”. Così ha dichiarato Luigi Mastrobuono, Direttore generale di Confagricoltura, ascoltato da Welfare Index PMI.

luigi-mastrobuono
Luigi Mastrobuono – Direttore Generale di Confagricoltura

Direttore Mastrobuono, come spiegherebbe in estrema sintesi gli aspetti più specifici del welfare agricolo?

Il legame con l’impresa, ed il territorio, la continuità nel tempo rappresentano gli aspetti più tipici del welfare agricolo. L’agricoltura nasce all’interno di un clima in cui famiglia, relazioni, territorio si legano, l’azienda è intesa come una comunità che si allarga con un forte impatto nell’ambiente locale e queste radici sono rimaste fino ad oggi.

E ciò è un limite o una potenzialità?

Tutte e due le cose: limite quando la dimensione resta troppo piccola e non consente la capacità di progettazione verso i mercati esteri, l’innovazione, oppure il marketing o la formazione, per andare oltre il conosciuto ed i propri confini. Diventa invece un punto di forza quando permette di mantenere una forte identità imprenditoriale e produttiva che porta con sé tutto il territorio.

Quanti sono gli occupati del settore agricolo in Italia e con quale tipologia di contratti?

Gli occupati sono circa 1 milione di cui 800mila con contratti a tempo determinato. Le PMI agricole vanno calcolate per tipologia. Semplificando possiamo dire che ne esistono 75mila in forma societaria, e 650mila come imprese individuali. Se vogliamo leggere il numero di imprese con un fatturato significativo (prescindendo dalla forma giuridica), siamo complessivamente entro le 400mila. Sono diffuse su tutto il territorio nazionale. L’agricoltura non è un fenomeno “bucolico” ma pienamente economico e il settore, inteso in senso stretto, cioè produzione agricola e allevamento, vale circa il 2% del PIL (34 miliardi di euro) del nostro Paese.

La tipologia di contratti influenza l’attuazione di iniziative di welfare?

L’elevato numero di contratti a tempo determinato è dovuto alla stagionalità del lavoro agricolo (quindi lavoratori che tornano ogni anno nella stessa azienda)e, in questo senso, il welfare diventa il meccanismo con il quale fidelizzare le persone per patrimonializzare competenze ed esperienza.

Vanno pensate delle formule di welfare ad hoc?

Anche grazie alla fotografia emersa dal Rapporto 2016 Welfare Index PMI, abbiamo visto che nel settore agricolo esistono alcune formule di welfare molto specifiche, mentre altre sono uguali alle altre imprese.

Può farci qualche esempio?

Il tema della formazione ha sicuramente dato vita agli esempi più originali con l’apertura di vere e proprie scuole agrarie all’interno soprattutto di imprese medio-grandi.
Un altro esempio: Agrimad (premiata da Welfare Index PMI lo scorso 8 marzo, ndr), con sede in provincia di Cosenza, sostiene gli studi dei figli dei dipendenti anche in università distanti, perché i giovani laureati in modo possano tornare nelle zone di provenienza e assicurare quell’occupazione necessaria per lo sviluppo di un allevamento di assoluto valore come il suino nero di Calabria.

E tra quelli più tradizionali?

Offrire la casa ai dipendenti è una tradizione da decenni in alcune imprese, come nel caso di Barone Ricasoli (premiato da Welfare Index PMI lo scorso 8 marzo).

C’è attenzione da parte delle aziende che forniscono servizi di welfare per intercettare le esigenze specifiche del settore agricolo?

La mia impressione è che chi fornisce servizi punti, come ovvio, alle esigenze delle grandi imprese: è una legge di mercato. Poi si accorge del settore agricolo e delle sue specificità, che richiedono personalizzazione avanzata, una esigenza tipica dei nuovi mercati dei servizi.

Qual è oggi l’importanza delle reti territoriali d’impresa?

Oggi sono assolutamente indispensabili. Confagricoltura ha introdotto le reti d’impresa in agricoltura proprio per permettere alle piccole aziende di poter sviluppare ciò che da sole non riuscirebbero, come ad esempio ricerca e innovazione, formazione specializzata ma anche welfare: è più conveniente mettersi insieme per acquistare servizi come rete di imprese che non operare come piccola azienda.

Perché avete deciso di partecipare a WIPMI fin dalla prima edizione?

Fin dal primo momento, ci è sembrata un’ottima intuizione per far emergere un aspetto dell’agricoltura che non era assolutamente percepito: un agricoltura moderna, innovativa e che fa anche welfare come parte integrante del proprio processo produttivo. Siamo anche riusciti a far scoprire il mondo dell’agricoltura sociale, che ha una importante crescita. Inoltre siamo convinti dell’importanza del lavoro di divulgazione del progetto Welfare Index PMI che risponde ad un bisogno reale del Paese.

Coinvolgere la comunità per riscattare il territorio

L’inserimento lavorativo attraverso le attività agricole di persone svantaggiate – che sono più del 40% degli addetti – è al centro delle attività dell’impresa. Per questo motivo la cooperativa sociale Un fiore per la vita Onlus con sede ad Aversa, in provincia di Caserta, ha ricevuto lo scorso 8 marzo la menzione speciale “Agricoltura sociale”.

Un fiore per la vita onlus nasce per dare risposta all’esigenza di lavoro di persone momentaneamente in difficoltà – racconta il presidente Giuliano Ciano – come minori, tossicodipendenti e sofferenti psichici attraverso l’agricoltura”.

Fondata nel 2000, da allora la cooperativa si è sempre occupata di agricoltura sociale iniziando con un vivaio per la coltivazione di fiori e piante aromatiche.
Nel 2005, recuperando gli spazi abbandonati dell’ex ospedale psichiatrico di Aversa è stata fondata la fattoria sociale Fuori di Zucca che si occupa di attività molteplici: dall’agricoltura biologica, alla fattoria didattica e Agri campo estivo, ristorazione in loco e gestione mense aziendali presso terzi, turismo agricolo, fino alla trasformazione di materie prime nella filiera del consorzio NCO. Soprattutto la cooperativa si occupa del reinserimento lavorativo di persone con svantaggio psico-sociale che, a causa delle condizioni di disagio, non hanno avuto mai accesso al mondo del lavoro o se ne sono allontanate e trovano forti difficoltà nel rientrarvi.

un-pacco-per-la-vita-grano

Spiega Giuliano Ciano: “Ci sono persone che sono venute a fare il loro primo giorno di lavoro a 50 anni e che prima erano coinvolte nello spaccio, o erano in prigione – grazie ai percorsi di rieducazione al lavoro a cura di un’equipe di specialisti, le persone hanno l’opportunità di emanciparsi e lo fanno attraverso la natura che è uno strumento molto facile per loro, perché – prosegue il Presidente – non ti giudica e rispetta i tuoi tempi”.

La cooperativa Un fiore per la vita onlus inoltre continua a instaurare relazioni di collaborazione sia con il territorio che con altre cooperative sociali attraverso la Rete delle fattorie sociali e il forum dell’agricoltura.

L’obiettivo è infatti quello dello sviluppo economico del territorio attraverso la rete di economia sociale. Spiega Ciano: “Abbiamo fatto un contratto di rete tra profit e non profit, coinvolgendo tutte quelle realtà che ad Aversa e nei territori circostanti, famosi purtroppo in maniera negativa e conosciuti come la terra dei fuochi o le terre di gomorra, perseguendo l’obiettivo – conclude Ciano – di liberarci da queste etichette e far conoscere questi territori come le terre di Don Peppe Diana, assassinato dalla camorra per il suo impegno antimafia a Casal di Principe nel 1994”. “Noi – conclude Ciano – l’abbiamo conosciuto e come lui, vogliamo riscattare il nostro territorio e creare occupazione”.

La cooperativa oggi occupa una quarantina di persone con contratto a tempo indeterminato, più un’altra trentina tra borse lavoro e servizio civile.
Anche con la chiave ironica si cerca di affrontare problemi seri come l’economia criminale. Da questa idealità è nata anche l’iniziativa promossa dal comitato Don Peppe Diana e attuata dal consorzio Nuova Cooperazione Organizzata “Facciamo un pacco alla camorra” un progetto che è ormai una tradizione, giunta alla sua ottava edizione e contiene i buoni frutti dei beni confiscati alla mafia, di agricoltura sociale e vede coinvolti imprenditori che hanno denunciato il racket in una scatola natalizia che testimonia l’economia sociale come antidoto all’economia criminale.

La gestione dei terreni e beni sequestrati alla camorra ha infatti creato dinamiche economiche che combattono la criminalità e favoriscono attività finalizzate al coinvolgimento della collettività, per il cambiamento socio culturale del territorio e per rendere sempre più i beni confiscati simboli e risorse di comunità libere dalla camorra.