La redazione di Welfare Index PMI ha intervistato il Presidente di Confprofessioni Gaetano Stella che sottolinea: “Nell’offerta di servizi di welfare è importante che siano intercettati i bisogni reali dei propri collaboratori: negli studi professionali il 90% della popolazione dipendente è costituito da donne con età inferiore ai 40 anni, e quindi l’offerta è mirata soprattutto alla soddisfazione della conciliazione dei tempi vita-lavoro”.
1) Presidente Stella, come si presenta oggi la fotografia dei liberi professionisti in Italia?
Quello dei liberi professionisti è un mondo articolato e disomogeneo all’interno di ogni singola categoria professionale, con specificità sia territoriali che generazionali. In generale, come dimostrano i dati emersi dal “Rapporto 2017 sulle libere professioni in Italia” a cura dell’Osservatorio delle Libere Professioni di Confprofessioni, con poco meno di 1 milione 400 mila unità, l’aggregato dei liberi professionisti, nel 2016, costituiva oltre il 5% delle forze lavoro in Italia e il 25% del complesso del lavoro indipendente. In questi anni di crisi i liberi professionisti sono aumentati: l’Italia conta 17 liberi professionisti ogni mille abitanti, seconda solo ai Paesi Bassi (19 liberi professionisti per mille abitanti) ed è interessante osservare come il numero di liberi professionisti sia maggiore nelle regioni più ricche (come pure negli Stati europei con prodotto interno lordo più elevato) e che al loro interno crescono di più le professioni non tradizionali. Infine circa i due terzi dei liberi professionisti sono uomini, anche se sta crescendo il numero delle donne.
2) Quale invece la situazione degli studi professionali nel nostro Paese?
Nonostante le difficoltà degli ultimi anni, gli studi professionali rappresentano un importante bacino occupazionale. Tuttavia, il settore degli studi professionali soffre ancora oggi di un certo “nanismo”: la media degli occupati non raggiunge la media di tre lavoratori, anche perché finora ci sono state poche politiche governative mirate a favorire le aggregazioni tra professionisti che sarebbero, invece, utilissime per consentire una migliore organizzazione del lavoro all’interno dello studio e quindi una maggior competitività sul mercato.
3) Quali sono dal suo punto di vista le sfide che deve affrontare il suo settore nel prossimo futuro?
Per poter competere in un mercato sempre più globalizzato è necessario appunto stimolare le aggregazioni anche multidisciplinari tra liberi professionisti. La presenza di una pluralità di professionalità diverse all’interno di un singolo studio aumenterebbe naturalmente i servizi offerti, semplificando la vita delle imprese che avrebbero così un riferimento unico, per esempio, nella gestione degli adempimenti amministrativi, fiscali, legali o tecnici. Un hub di professionalità trasversali in grado di risolvere più questioni e intercettare nuove esigenze; pensiamo per esempio a figure nuove come “l’esperto del welfare” in grado di offrire una consulenza a 360 gradi, che potrebbe rappresentare una nuova professionalità molto richiesta nel prossimo futuro per dare alle imprese soluzioni di welfare su misura.
4) Quali sono secondo lei gli ostacoli maggiori che frenano lo sviluppo del welfare nel settore degli studi e servizi professionali?
Nel 2017 le iniziative di welfare contrattuale rivolte ai liberi professionisti, come ad esempio le sempre più numerose fattispecie di welfare offerte dalle casse previdenziali dei liberi professionisti o i servizi collettivi offerti dalla Cadiprof (la Cassa di assistenza sanitaria integrativa degli studi professionali) hanno registrato un notevole successo.
Tuttavia il welfare, quello di cui all’articolo 51 del TUIR, che consente ai datori di lavoro la detassazione dei servizi offerti ai propri dipendenti, è più agevole per le aziende dei settori produttivo o commerciale in quanto è più facile determinare l’indice di produttività, contrariamente a quello che si verifica in uno studio professionale. Per questo l’approccio al welfare da parte degli studi di più ridotte dimensioni è più limitato.
5) Quindi è più facile per i grandi studi offrire servizi di welfare?
Gli studi più strutturati possono individuare più facilmente meccanismi di calcolo per determinare l’indice della produttività e quindi offrire servizi di welfare ai propri lavoratori. Altrettanto importante è che siano intercettati i bisogni reali dei propri collaboratori; ricordiamo che il 90% della popolazione dipendente degli studi è costituito da donne con età inferiore ai 40 anni, e quindi l’offerta è mirata soprattutto alla soddisfazione della conciliazione dei tempi vita-lavoro, dello smart-working, al sostegno al reddito, a iniziative a supporto della maternità come la cura dei figli. Per i lavoratori giovani le iniziative legate alla prevenzione sono, in generale, molto apprezzate.
6) Qual è secondo lei l’utilità di iniziative come Welfare Index PMI?
Mettere insieme le eccellenze per migliorare il welfare e dare una spinta positiva per la sua diffusione è uno dei motivi principali per il quale abbiamo aderito. Siamo convinti che se aumenta il livello di soddisfazione del dipendente per il lavoro che svolge, aumenta di conseguenza anche la qualità stessa del lavoro. L’iniziativa promossa da Generali ha il grande merito di essere riuscita a creare un sistema che mette al centro la responsabilità sociale di un’impresa e, nello stesso tempo, dà vita ad un laboratorio di idee e di innovazione che premia il benessere delle persone.