Andrea Mencattini, Chief Governance of Insurance Subsidiaries, Business Development & Institutional Relations Officer – Generali Italia è intervenuto alla trasmissione Patrimoni di Class CNBC.
Tema della puntata: le novità 2017 nel settore del welfare aziendale.
INTERVISTA AD ALBERTO BABAN, PRESIDENTE PICCOLA INDUSTRIA CONFINDUSTRIA
Negli ultimi anni si è sviluppata una sempre maggiore consapevolezza in materia di welfare aziendale, anche nelle piccole e medie imprese, favorita da una serie di opportunità fiscali offerte dalle ultime due leggi di stabilità. Il presidente di Piccola Industria Confindustria, Alberto Baban, spiega come questo concetto si è evoluto e come è stato declinato soprattutto nel mondo delle pmi.
Il welfare aziendale è ancora appannaggio solo delle grandi aziende?
L’attenzione verso il benessere dei collaboratori è sempre esistito anche nelle piccole imprese, magari con un’impostazione meno strutturata rispetto alle aziende di grandi dimensioni. In passato il welfare integrativo era diffuso soprattutto nelle realtà più ampie, come benefit per i lavoratori. Negli ultimi anni la contrattazione è intervenuta su questi temi in modo più significativo, sia a livello di categoria che aziendale.
Nelle pmi – che sono in realtà delle piccole comunità formate dall’imprenditore e dai suoi collaboratori, dove le relazioni sono molto forti – questa cultura è presente da sempre, considerata quasi un’estensione stessa delle attività lavorative. In altre parole, quello che prima chiamavamo “familiarità” e rapporti interpersonali, oggi iniziamo a definirlo welfare.
Quali sono le peculiarità delle pmi che possono incidere anche sui piani di welfare?
La piccola industria è al suo interno molto varia, ogni singola azienda ha degli elementi distintivi dovuti non soltanto alla classe dimensionale
o al settore di appartenenza, ma legati al territorio e alle caratteristiche della popolazione aziendale. Le nuove norme che favoriscono il welfare permettono a molte pmi di utilizzare questi servizi a beneficio del sistema impresa, definendo l’offerta in modo sartoriale in relazione ai bisogni delle singole realtà aziendali.
La limitata conoscenza degli aspetti fiscali e normativi è un ostacolo nell’attivazione dei piani di welfare aziendale?
La conoscenza delle opportunità offerte può essere migliorata. Nella piccola industria di solito è tutto in mano all’imprenditore o al titolare, che ricopre anche il ruolo di responsabile delle risorse umane. Quindi può essere difficile riuscire a intercettare tutte le possibilità disponibili. Inoltre, la conoscenza dei vantaggi fiscali del welfare aziendale da sola non basta; per “scaricare a terra” tutte le potenzialità delle iniziative di welfare deve essere accompagnata anche da una nuova consapevolezza sul piano culturale.
Qual è la sfida di oggi?
È cruciale l’avvicinamento delle piccole e medie imprese al concetto di welfare come elemento di competitività. Non dobbiamo dimenticare che migliorare il welfare in azienda è un aiuto anche alla produttività e soprattutto alimenta il patto sociale all’interno dell’impresa, distribuendo il successo tra tutti coloro che partecipano alla vita dell’azienda, dal dirigente al dipendente.
In che modo le novità dell’ultima legge di stabilità hanno reso più fruibile l’offerta di welfare?
In realtà questo cambio culturale era già in atto negli ultimi anni. Le novità introdotte dalla normativa hanno stimolato l’attenzione verso
il tema del welfare perché non vengono informati solo gli imprenditori, ma tutto il mondo che sta intorno, con il vantaggio che si parli in maniera sempre più diffusa di questi nuovi modelli di impresa.
Confindustria ha preso parte al Welfare Index PMI fin da subito. In che modo questo progetto può contribuire al cambiamento culturale nelle pmi?
Siamo da sempre molto attenti al tema del welfare aziendale, sono state proprio le imprese i precursori in questo settore. Non bisogna dimenticare il ruolo svolto da Confindustria nel dialogo con le parti sociali, soprattutto per promuovere la diffusione delle iniziative di previdenza complementare e sanità integrativa, che ancora oggi trovano il loro territorio ideale nei contratti di categoria. In questo contesto il Welfare Index PMI è per noi importante perché contribuisce ad analizzare con un livello di grande dettaglio il fenomeno del welfare aziendale nel panorama delle pmi italiane e, inoltre, favorisce sul piano culturale un avvicinamento del mondo delle piccole imprese al concetto di welfare come elemento di competitività. È, infatti, grazie allo strumento dell’autovalutazione della singola impresa rispetto ai benchmark di settore che l’imprenditore è in grado di individuare il suo posizionamento competitivo.
Soddisfazione, benessere, produttività
Il welfare aziendale non è più solo per multinazionali. È quanto emerge dai risultati della seconda edizione del rapporto Welfare Index PMI, promosso da Generali Italia con la partecipazione di Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato e Confprofessioni, presentata a Roma il 28 marzo all’Università Luiss Guido Carli.
La ricerca è stata condotta da Innovation Team e ha compreso cinque settori produttivi: agricoltura, industria, artigianato, commercio e servizi, studi e servizi professionali più il Terzo settore. Le 3.422 aziende intervistate sono state raggruppate in cinque classi, con valore crescente da 1W a 5W, in base al rating Welfare Index PMI, un innovativo strumento che permette alle imprese di identificare e comunicare in modo immediato il proprio livello di welfare. Sono state considerate 12 aree di welfare aziendale e in questa edizione sono state premiate 22 imprese, insignite del riconoscimento 5W. Sono storie di eccellenza, aziende che hanno creduto nel valore del welfare aziendale e che propongono numerose soluzioni per i propri collaboratori.
Dallo studio è emerso che “migliorare la soddisfazione dei lavoratori e il benessere aziendale”, “incentivare la produttività del lavoro” e “fidelizzare i propri dipendenti” sono gli obiettivi principali delle pmi. Solo il 4,4% del campione analizzato, inoltre, dichiara di “sostenere costi aggiuntivi rilevanti” per proporre soluzioni di welfare aziendale. A fronte di quanto erogato, i risultati più rilevanti sono individuati nel “miglioramento dell’immagine aziendale” e nella “fidelizzazione” e “soddisfazione” dei lavoratori.
Il maggior ostacolo rimane ancora quello della conoscenza delle opportunità, sia in merito alla consapevolezza delle norme e degli strumenti, che rispetto alla disponibilità, all’interno delle pmi, delle competenze professionali specialistiche. Nel complesso i risultati non stupiscono: nelle piccole e medie imprese si instaura un rapporto anche personale tra imprenditore e collaboratori, si ascoltano i loro bisogni e si conosce la storia di ognuno. Spesso infatti il welfare aziendale è già presente, ma non è esplicitato. I riconoscimenti hanno certificato che, lungo tutta la penisola, le pmi si stanno attrezzando sempre di più per fare del welfare aziendale un driver di attrazione e fidelizzazione dei talenti, anche grazie alle novità inserite nella legge di Stabilità 2016.
Uno strumento per vincere in due
A COLLOQUIO CON MANUEL GUERRERO, AMMINISTRATORE DELEGATO SONZOGNI CAMME
L’azienda bergamasca si è aggiudicata il primo premio per la categoria industria
Quando avete iniziato a proporre soluzioni di welfare aziendale?
Il welfare aziendale è da subito entrato nel dna dell’azienda, fin dagli anni ‘60. È stata una scelta quasi naturale e da sempre abbiamo messo in campo prassi che, con il tempo, si sono arricchite e strutturate. Dalla quattordicesima alle visite mediche retribuite, al part-time, alle spese scolastiche per i figli, ai fondi di previdenza, ecc. L’elenco è veramente lungo. Negli ultimi anni abbiamo strutturato l’offerta raccogliendo tutte le misure in un “piano welfare”, per aumentarne anche la consapevolezza, all’interno dell’a zienda, tra i nostri collaboratori. Una cosa che abbiamo implementato e di cui sono molto soddisfatto è il job-sharing, ossia la condivisione del posto di lavoro, che consente a due lavoratori che hanno necessità di avere più tempo per sé o per la famiglia, di condividere la stessa mansione a turni durante la giornata lavorativa. Un’operazione win-win che fa vincere sia l’azienda che i lavoratori, in quanto ambedue riescono a soddisfare le rispettive necessità. Per noi il welfare aziendale non è una questione di moda, ma di propria e vera cultura aziendale.
Come strutturate i piani di welfare?
Non facciamo indagini formali tra i nostri collaboratori, ma capiamo le necessità della popolazione aziendale e in base a quelle proponiamo soluzioni. Poi, quando cambiano, modifichiamo l’offerta di conseguenza. Anche senza un’indagine strutturata, conosciamo i nostri 70 collaboratori da vicino.
La risposta dei dipendenti?
È stata sempre molto positiva. Un miglioramento della condizione economica e del rapporto con l’azienda viene sempre recepito in modo favorevole. Anche se non è facile quantificare economicamente il ritorno per l’impresa, da un punto di vista di fidelizzazione dei dipendenti
è molto elevato. Questo per noi è particolarmente importante perché, operando in un settore molto specializzato, perdere un dipendente è un grande danno. Ci vogliono anni a formarlo: trattenere i talenti diventa quindi fondamentale.
Quali sono le difficoltà che una pmi può incontrare nel proporre soluzioni di welfare aziendale?
Il problema maggiore è la conoscenza delle norme, delle possibilità disponibili, la capacità di gestire la complessità del meccanismo e della fiscalità relativi al welfare aziendale. Noi riusciamo a proporre tutte queste soluzioni anche in virtù delle competenze, dal punto vista legale
e fiscale, che abbiamo al nostro interno. Ma una piccola azienda spesso non può contare su queste expertise.
È soddisfatto del premio?
Sono molto contento. È un riconoscimento per un percorso che dura da tutta una vita. Voglio condividerlo con tutti i collaboratori e per questo abbiamo deciso di erogare loro ulteriori voucher, oltre quanto previsto dal contratto collettivo nazionale metalmeccanico e fino al
limite consentito per la deducibilità. Inoltre, per un potenziale futuro dipendente che non conosce l’azienda, sapere che abbiamo questo riconoscimento è molto importante nel momento in cui deve decidere di cambiare posto di lavoro. Il welfare aziendale non solo trattiene i talenti, ma li attrae anche.
(G.F. – Dalla Rivista “L’IMPRENDITORE“, mese di Aprile 2017)
Una importante novità del Rapporto 2017 è il Rating Welfare Index PMI, un servizio che permette alle imprese di comunicare il proprio livello di welfare nel modo più immediato e riconoscibile.
Tutte le impresepartecipanti all’indagine, ad esclusione di quelle che superano il limite dei 250 addetti, sono raggruppate in cinque classi di rating, con un valore crescente da 1W a 5W. Alla base della valutazione c’è un algoritmo che misura più di cento variabili rilevate con l’indagine campionaria. Il modello è strutturato in tre ambiti:
1.Ampiezza e contenuto delle iniziative In ognuna delle 12 aree del welfare aziendale sono misurati:
• il numero e il contenuto delle iniziative, con pesi diversi per tipo di iniziativa;
• l’estensione della popolazione aziendale che beneficia delle iniziative;
• la proattività dell’impresa nelle scelte. Questo ambito determina il 70% del punteggio complessivo del Welfare Index PMI.
2. Gestione delle politiche di welfare aziendale Vengono misurati i parametri relativi alla gestione complessiva del welfare:
• l’impegno economico dell’azienda;
• la maturità delle iniziative;
• il coinvolgimento dei lavoratori;
• l’impatto percepito delle iniziative sui risultati aziendali;
• l’adozione di strumenti di flessibilità e il livello di conoscenza e utilizzo dei servizi da parte dei lavoratori.
Questo ambito determina il 20% del punteggio complessivo. Originalità e distintività delle iniziativeSi tratta di un ambito che determina il 10% del punteggio complessivo, consistente nella valutazione qualitativa degli elementi caratterizzanti l’iniziativa aziendale.
3. Originalità e distintività delle iniziative Si tratta di un ambito che determina il 10% del punteggio complessivo, consistente nella valutazione qualitativa degli elementi caratterizzanti l’iniziativa aziendale.
Il risultato dell’elaborazione è il Welfare Index PMI: un punteggio individuale che permette a ogni azienda di misurare il proprio livello di welfare, complessivo e di ogni area, confrontandosi con la media e con le esperienze best practice del proprio settore.
Il Welfare Index PMI e il rating nascono quindi dallo stesso modello di calcolo. Tutti i punteggi individuali sono raggruppati in cinque classi di rating:
La figura 77 rappresenta con sintetiche descrizioni le motivazioni di appartenenza alle classi di rating, e indica il numero di imprese comprese in ogni classe. Le 22 imprese 5W rappresentano le esperienze più avanzate per ampiezza e intensità delle iniziative di welfare aziendale, per proattività nelle scelte e coinvolgimento dei lavoratori.
Segue, nella figura 78, un’analisi della stratificazione delle classi di rating per settori produttivi e per fasce dimensionali delle imprese. Tutti i settori produttivi sono rappresentati in tutte le classi di rating. Certamente la dimensione dell’impresa favorisce la capacità di iniziativa, e pertanto le aziende più grandi sono più rappresentate nelle classi 5W e 4W.
Tuttavia in ogni classe di rating sono presenti imprese di tutte le fasce dimensionali, a conferma della possibilità di raggiungere la massa critica attraverso le alleanze e avvalendosi di supporti associativi. La figura 79 offre uno spaccato analitico dei tassi di iniziativa, in ogni area del welfare aziendale delle imprese appartenenti alle diverse classi di rating.
Anche i contratti collettivi nazionali di lavoro (e non solo quelli aziendali!) possono prevedere erogazioni di welfare fiscalmente agevolate a favore dei dipendenti del settore privato o pubblico. La lettera f) del comma 2 dell’art. 51 del TUIR, come riformulata dalla Legge di stabilità del 2016, stabilisce che non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendentel’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai loro familiari per finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.
Questa formulazione della norma ha fatto sorgere il dubbio che le opere e servizi fiscalmente agevolati fossero solo quelli previsti da contratti o accordi esclusivamente a carattere aziendale. Con la Legge di bilancio 2017 è stata finalmente fatta chiarezza: con l’introduzione di una norma di “interpretazione autentica” – quindi avente effetto retroattivo – della lettera f) del comma 2 dell’art. 51 spetta l’agevolazione fiscale anche qualora le opere e i servizi riconosciuti dal datore di lavoro siano previsti all’interno di accordi nazionali, territoriali o accordi interconfederali.
Con ogni probabilità la nuova normativa ha inteso tutelare i recenti rinnovi dei CCNL che hanno disposto erogazioni di welfare per i dipendenti a cui si applica il contratto. Vale per tutti e fa da apripista il rinnovo del CCNL dei Metalmeccanici del 26 novembre 2016 che ha stabilito che dal 1° giugno 2017 le aziende dovranno mettere a disposizione dei propri dipendenti strumenti di welfare del valore di euro 100 (euro 150 dal 1° giugno 2018 e euro 200 dal 1° giugno 2019). Detti strumenti sono stati specificati dall’articolo 17, intitolato “Welfare”, introdotto dal recente accordo integrativo dello scorso 27 febbraio, in particolare:
• opere e servizi per finalità sociali;
• somme, servizi e prestazioni di educazione e istruzione e per l’assistenza ai familiari anziani e/o non autosufficienti;
• beni e servizi in natura;
• servizi di trasporto collettivo per il raggiungimento del posto di lavoro.
Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP
Investire nel benessere dei dipendenti fa crescere l’azienda il territorio e la comunità.
E, se questa affermazione è vera nel suo essere, la seconda edizione del #WelfareIndexPMI 2017 ce lo ha dimostrato ancora una volta in concreto.
La premiazione delle migliori aziende italiane nella pratica del welfare aziendale e, soprattutto l’analisi del nuovo Rapporto 2017, hanno evidenziato che chi fa welfare cresce e che aumenta la convinzione nel farlo.
Ma quali sono oggi i motivi che spingono gli imprenditori italiani ad attuare pratiche di welfare?
C’è da premettere che le piccole e medie imprese, in Italia, si basano sul rapporto diretto con i lavoratori e che la cura del rapporto con le persone è un interesse primario dell’imprenditore e dei responsabili dell’azienda.
In quest’ottica, l’obiettivo principale che induce le imprese ad attuare iniziative di welfare aziendale, è migliorare la soddisfazione dei lavoratori e il clima interno.
Indipendentemente dal settore produttivo di appartenenza e dalla grandezza delle imprese, questo obiettivo è considerato prioritario da più del 50% delle imprese intervistate con la Ricerca.
Nella scelta di attuare iniziative di welfare, insomma, la maggior parte delle PMI è focalizzata su obiettivi di gestione del personale, come appunto “migliorare la soddisfazione e il clima” ma anche “fidelizzare i lavoratori”.
Quegli obiettivi invece di carattere economico-gestionale – come “incentivare la produttività del lavoro” o “contenere il costo del lavoro grazie ai vantaggi scali”, vengono considerati prioritari, nelle politiche di welfare aziendale, solo dal 20% delle imprese. In merito al primo, va anche sottolineato che solo le PMI dell’industria danno importanza maggiore a quest’obiettivo. La percentuale così bassa di quest’ultimo tipo di obiettivi però non ne sminuisce l’importanza per le imprese: si tratta infatti di un’apparente sottovalutazione. In realtà gli imprenditori ritengono che il welfare aziendale abbia un impatto non immediato sulla produttività e si attendono risultati nel lungo termine più che nel breve. Gli incentivi fiscali non sono considerati lo scopo per cui attivare le iniziative di welfare, ma sono certamente decisivi per renderle fattibili.
Nella top ten degli obiettivi, infine, assumono decisamente una posizione secondaria quelli legati alla responsabilità dell’impresa come “migliorare l’immagine e la reputazione aziendale”, che sono una spinta irrilevante nell’attuare iniziative di welfare, prese in considerazione da meno del 10% delle imprese.
Nelle pagine del Rapporto 2017 è possibile trovare tutti i dati ed un’attenta analisi rispetto alla “distribuzione” di questi obiettivi ma, quello che piacevolmente emerge e che vogliamo sottolineare in questa sede è come, le imprese che investono significative risorse nelle iniziative di welfare hanno già verificato impatti positivi sui risultati aziendali e soprattutto sulla soddisfazione dei lavoratori!
Dalla ricerca emerge che un piccolo gruppo di imprese ha riscontrato netti miglioramenti nelle aree della gestione del personale: soddisfazione dei lavoratori e clima aziendale; fidelizzazione degli stessi e perfino una riduzione dell’assenteismo. Con una buona comunicazione aziendale – mail, bacheche, intranet – è possibile aumentare nei lavoratori la consapevolezza dei benefici offerti dai servizi di welfare, spingendone così l’utilizzo e ovviamente il gradimento.
Le iniziative di welfare più apprezzate dai lavoratori, secondo le PMI intervistate, sono: la sanità integrativa e le prestazioni di prevenzione, le forme di conciliazione vita-lavoro e i benefit di carattere più tangibile, come i buoni d’acquisto e le altre facilitazioni economiche.
C’è poi da rilevare che, secondo le imprese intervistate, per ottenere buoni risultati conta l’approccio generale dell’azienda più delle singole iniziative: l’affermazione di valori autenticamente vissuti, l’attenzione verso le persone, la vicinanza tra la direzione e i lavoratori, la coerenza dei comportamenti. Un approccio questo, che consente di coinvolgere il personale, aumentare il loro gradimento e di ottenere con facilità i risultati attesi. Il profilo delle aziende proattive partecipative infatti – quelle cioè caratterizzate dall’iniziativa autonoma delle imprese, dalla disponibilità a sostenere costi aggiuntivi e dal coinvolgimento dei lavoratori – è quello che ottiene i risultati di gran lunga migliori. Più dell’85% delle imprese appartenenti a questo segmento segnalano impatti positivi tanto nella soddisfazione e fidelizzazione dei lavoratori quanto nell’immagine dell’azienda e nella produttività del lavoro.
Insomma, con la seconda edizione del Rapporto #WelfareIndexPMI possiamo continuare ad affermare che il Welfare in Italia si fa, che “si fa bene” e soprattutto che… fa crescere l’impresa!
Come evidenziato nei precedenti articoli, il welfare aziendale si sta imponendo sempre di più in Italia. Nell’ultima Legge di Stabilità troviamo le linee guida per i servizi di welfare, dove si evincono gli indubbi vantaggi fiscali. Per le piccole e medie imprese, tuttavia, a differenza delle grandi aziende, è eccessivamente oneroso gestire internamente un piano di welfare: occorre, infatti, oltre ad un continuo aggiornamento sul tema, il possesso di strumenti tecnologici adeguati e di ingenti risorse per la gestione dei benefit, per l’erogazione dei servizi e per la rendicontazione.
Uno dei modi per le piccole e medie imprese per elaborare politiche di welfareaziendale è quello di mettersi insieme per erogare tali servizi, facendo “rete”. Come indicato nell’edizione 2017 del Rapporto Welfare Index PMI, infatti, uno dei fattori chiave del successo del welfare aziendale è, oltre alla conoscenza, la capacità di dar vita ad alleanze; d’altronde, “per sviluppare i servizi di welfare aziendale, le piccole e medie imprese hanno bisogno di aggregare bacini di utenza e condividere investimenti, informazioni, servizi professionali”.
Tuttavia, non tutte le imprese sembrano aver compreso l’importanza di “fare rete” nell’erogazione di servizi di welfare. I dati del rapporto sopra citato mostrano come, a maturare l’interesse a servizi comuni a cui potersi associarsi e ad accordi con altre imprese nel territorio, sia soltanto una quota tra il 22% e il 24% delle imprese; risulta invece leggermente più alta (33,9%) la quota delle imprese interessate a servizi di informazione e consulenza di welfare prestati dalle associazioni imprenditoriali. Le aziende più attive nel welfare aziendale sono anche quelle più interessate a dare forma a rapporti di collaborazione con altre imprese nell’erogazione di tali servizi: come evidenziato sempre dal Rapporto Welfare Index PMI, difatti, “più le imprese sono attive e più comprendono l’importanza delle alleanze e dei supporti associativi per sviluppare ulteriormente e in modo efficiente le iniziative di welfare”.
Ma cosa vuol dire in concreto “fare rete” nel welfare aziendale? Significa organizzare reti di impresa, partecipare a consorzi, condividere iniziative con altre imprese nel territorio oppure aderire a servizi comuni. La rete si pone l’obiettivo di intervenire su vari fronti della vita di un’impresa, quali: progetti di mobilità territoriale, car sharing e carpooling; formazione aziendale in materia di sicurezza sul lavoro; forme di finanziamento agevolate, tramite erogazione di buoni come sostegno al reddito; pacchetti di servizi assicurativi; convenzioni con trasporti pubblici; convenzioni per la cura di familiari malati e genitori anziani. La condivisione di progettie risorse per l’offerta di servizi di welfare aziendale non permette soltanto di aiutare i lavoratori nel far fronte alle necessità della vita quotidiana, ma favorisce anche lo sviluppo di strutture sul territorio interessato e l’occupazione nel settore dei servizi alla persona: l’istituzione di organizzazioni sul territorio in grado di coinvolgere le piccole e medie imprese, consentendo a queste di fare sistema per l’erogazione e la fruizione di servizi a contenuto sociale, è una delle frontiere più interessanti del welfare aziendale.
I vantaggi e le potenzialità del “fare rete” sono, fra gli altri:
realizzare un’interdipendenza di tipo tecnico, organizzativo ed economico, per ottenere una gestione delle relazioni tra imprese più stabile, oltre a forme di coordinamento più efficienti e precise. La complementarità delle imprese favorisce la realizzazione di nuovi prodotti, grazie anche alla condivisione di risorse materiali e immateriali;
accrescere la competitività delle imprese attraverso l’interazione degli aderenti alla rete e la possibilità di effettuare investimenti altrimenti impossibili per la singola impresa;
snellire i tempi di risposta al cliente;
accrescere la cultura aziendale in modo sempre più rapido ed efficiente.
I dati del Rapporto Welfare Index PMI 2017mostrano chiaramente come nessun fattore di successo è tanto discriminante quanto quello del “fare rete” nel welfare aziendale: infatti, “il 22% delle imprese molto attive nel welfare aziendale hanno potuto attuare le proprie iniziative grazie a diverse forme di alleanze”, mentre, tra le aziende meno attive (individuate tra quelle che attuano iniziative in meno di sei aree del welfare aziendale tra quelle individuate dal Rapporto), “la quota di quelle che praticano alleanze crolla al 3%”.
Nonostante le descritte potenzialità e il favore del legislatore, ancora poche PMI hanno compreso l’importanza di “fare rete”. Accrescere la cultura della collaborazione si configura dunque come un passo necessario per far comprendere alle PMIl’importanza di tale strumento per le attività imprenditoriali e commerciali, oltre che per favorire lo sviluppo delle migliori pratiche di welfare aziendale.
Prof. Marco Meneguzzo Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
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