Una nuova armonia tra profitto e benessere: l’importanza del welfare aziendale per la creazione di valore condiviso

Negli ultimi decenni, si è assistito ad una sempre maggiore crisi del welfare state. Il graduale invecchiamento della popolazione ha difatti profondamente alterato gli equilibri demografici sottostanti allo stesso, aggravando i già acuti problemi di ordine finanziario.

L’Italia si è ritrovata a dover conciliare l’esigenza di contenere la spesa pubblica e rendere sostenibile il sistema di welfare. Le istituzioni, anche sotto la pressione dei “controllori europei”, hanno dovuto ridurre la spesa, fenomeno che ha coinvolto anche le politiche di protezione sociale. In questo contesto, le politiche di welfare aziendale possono risultare uno strumento integrativo delle tutele del welfare state.

Il welfare aziendale nasce perciò come tentativo di dare una risposta ai bisogni insoddisfatti dei dipendenti lavoratori in materia di assistenza sanitaria, previdenza, istruzione.
Esso è inteso come l’insieme di incentivi e servizi che l’impresa fornisce ai propri dipendenti per rendere migliore la vita. Le azioni vanno dal sostegno al reddito familiare ad agevolazioni di tipo commerciale, dalle pratiche per la tutela della salute ad attività per il tempo libero, da proposte per lo studio al sostegno alla genitorialità, problema particolarmente spinoso per le donne lavoratrici che, divise tra il lavoro, la cura dei figli e, sempre più di frequente, l’assistenza ai genitori anziani, sono, ancora troppo frequentemente, costrette a dover lasciare il posto di lavoro a causa della mancanza di un’adeguata offerta di servizi.

Le imprese devono dunque affrontare la difficile sfida di soddisfare gli attuali bisogni della società, affiancando alle politiche sociali tradizionali soluzioni innovative sostenibili in termini economici e che riescano, al tempo stesso, ad aumentare la produttività dei propri dipendenti. Lo scenario creatosi oggi è un nuovo welfare fatto di due settori, uno pubblico e l’altro privato, in cui interagiscono più attori economici e sociali.

I vantaggi sono: per i dipendenti, che godono, al di fuori della busta paga, di benefit, e per le imprese, che, grazie alle strategie di welfare, possono fare leva su un cuneo fiscale alternativo, offrendo servizi al posto di aumenti di stipendio, ottenendo in cambio una minore pressione fiscale, il rafforzamento dei legami tra imprese e territorio, e, soprattutto, la fidelizzazione dei propri dipendenti.

Gli obiettivi per un piano di welfare sussidiario sono:
Aumento del benessere del singolo dipendente e del suo nucleo familiare;
Effetto positivo sull’organizzazione e sul clima all’interno dell’impresa;
Ottimizzazione economica e finanziaria delle risorse a disposizione dell’impresa, con incremento del valore sociale;
Valorizzazione del capitale umano e della produttività aziendale;
Nuove logiche relazionali con gli stakeholder.

Il piano di welfare aziendale può assumere per l’impresa un valore chiave in termini di competitività, rappresentando una vera e propria leva strategica per l’impresa.
Il circolo virtuoso del welfare aziendale è riassumibile nella figura sottostante.

Figura 1: Il circolo virtuoso del welfare aziendale

 

Attraverso la conoscenza del welfare aziendale, dei suoi strumenti, delle norme e degli incentivi fiscali, e mediante un supporto informativo, operativo e di consulenza, l’imprenditore arriva ad attuare delle azioni in questa direzione. Le iniziative potranno essere più o meno importanti e coprire solo alcune delle aree del welfare aziendale, ma avranno come conseguenza la conoscenza e l’utilizzo dei servizi da parte dei lavoratori e il riconoscimento del valore.

La conclusione naturale del circolo virtuoso sarà l’impatto sui risultati, in particolare sulla produttività, sul clima e sulla fedeltà dei lavoratori, sull’immagine e sulla reputazione dell’impresa. Si tratta di un compito arduo, ma le piccole e medie imprese più accorte sapranno cogliere questa grande sfida costruendo un buon piano che parta dall’analisi delle caratteristiche demografiche della popolazione aziendale, per cogliere le diversità presenti in azienda in termini di inquadramento, livelli di reddito, genere, e comprendere pertanto le esigenze dei lavoratori e delle loro famiglie.

L’indagine delle esigenze da soddisfare deriverà perciò dall’analisi delle fonti a livello normativo e fiscale, dalla valutazione dei bisogni emergenti della collettività ed, infine, dalla rilevazione delle aspettative dei dipendenti.

In sintesi, una buona pianificazione dei servizi di welfare aziendale, oltre a creare un maggiore benessere organizzativo, può offrire anche un vantaggio competitivo e un ritorno per l’azienda ben superiore ai costi sostenuti. La proposta di un piano di welfare aziendale suscita dunque un sempre maggiore interesse nelle imprese, in quanto capace di accrescere il valore apportato dalle persone all’organizzazione, facendo leva su diversi fattori che incidono, in modo diretto o indiretto sulle modalità della prestazione lavorativa, sullo sviluppo del capitale umano e sul clima organizzativo.

Prof. Marco Meneguzzo
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Welfare: l’economia del benessere anche nelle PMI

Il Welfare piace alle grandi aziende che, ormai, se ne fanno portabandiera ma oggi, anche le piccole e medie imprese italiane gli strizzano l’occhio. Tuttavia per realizzare un buon piano Welfare nelle PMI, o per capire se quello che abbiamo funziona, è meglio fare un passo indietro.

Cos’è oggi il “Welfare aziendale”? Lo possiamo definire come l’insieme di iniziative e servizi che le aziende possono realizzare per la sicurezza ed il benessere dei propri lavoratori, delle loro famiglie e della comunità.

L’impresa quindi ha bisogno, prima di tutto, di conoscere e capire la realtà dei propri dipendenti, e poi, di progettare e realizzare quanto necessario per incontrare quelle esigenze e quelle necessità, provenienti dai campi più svariati: dall’accesso al credito all’assistenza sanitaria, dalla necessità di cure mediche al tempo libero, e così via. Conoscere per fare e progettare per fare bene! E naturalmente… per crescere. Sì, perché un buon Piano Welfare fa crescere l’azienda.

A beneficiarne infatti non sono solo i lavoratori ma l’impresa stessa che può ottenerne importanti vantaggi: dalle defiscalizzazioni e decontribuzioni, fino all’aumento di produttività; oltre ad una maggiore attrattività nel mercato del lavoro.

I Piani di Welfare ormai si sono inseriti a pieno titolo anche nella realtà delle PMI, indipendentemente dai settori di attività, e stanno acquisendo una crescente importanza. Impossibile quindi stare senza!

Welfare su misura per ogni settore. Intervista a Gaetano Stella, Presidente di Confprofessioni

Per il mondo delle Professioni – ha dichiarato Gaetano Stella, presidente di Confprofessioniserve un welfare che tenga conto delle specificità del nostro settore, dove quasi il 90% della popolazione dei dipendenti è composto da donne e più del 50% ha meno di 40 anni di età”.

Presidente Stella, quanti sono oggi i professionisti in Italia e com’è cambiata nell’ultimo periodo la fotografia degli occupati in questo settore?

In Italia abbiamo circa 1milione e 400mila liberi professionisti ordinisti appartenenti alle quattro aree principali: economica (dottori commercialisti, revisori e consulenti del lavoro), sanitaria (medici, dentisti, psicologi, veterinari, ecc.) giuridica (avvocati e notai) e tecnica (ingegneri, architetti, periti industriali, agronomi, ecc). A questi dobbiamo aggiungere circa 1milione e mezzo di appartenenti alle cosiddette professioni non ordiniste, mi riferisco ad esempio a quelle nuove nel campo del benessere e dell’informatica che, al contrario delle prime, hanno registrato negli ultimi anni un aumento più significativo. Inoltre, se consideriamo anche dipendenti degli studi professionali, collaboratori, tirocinanti, praticanti e partite iva arriviamo a un totale di circa 4milioni.

Qual è la dimensione media di uno studio professionale?

La media è di 2.5 dipendenti per studio professionale. Il mondo delle libere-professioni sta cambiando faccia, sono in aumento gli studi associati e le cooperative anche se bisogna notare che il fenomeno è diverso tra grandi e piccole città. Nelle prime le aggregazioni tra studi sono più facili mentre nelle piccole continuano ad operare micro-realtà.

Quali sono le caratteristiche specifiche del settore degli studi professionali di cui tenere conto anche nei servizi di welfare?

Le caratteristiche fondamentali sono due: quasi il 90% della popolazione dei dipendenti del nostro settore è composto da donne e più del 50% ha meno di 40 anni di età. Un’altra specificità è che il nostro contratto collettivo è utilizzato ancora come una modalità di ingresso nel mondo del lavoro. Tuttavia, grazie anche all’evoluzione del contratto collettivo, che ha previsto coperture più ampie, si è verificata una maggiore stabilizzazione dei lavoratori. Date queste due caratteristiche fondamentali, nel contratto collettivo abbiamo creato dei meccanismi in grado di favorire la conciliazione dei tempi di vita e lavoro, ad esempio dando grande rilevanza alla tutela della maternità e alla prevenzione in ambito sanitario.

Quindi Presidente, il contratto collettivo per gli studi professionali prevede già servizi di welfare?

Sì, abbiamo previsto una serie di misure di welfare a favore del lavoratore: assistenza sanitaria integrativa, formazione, interventi per la sicurezza dei luoghi di lavoro e diamo anche un contributo al datore di lavoro che incentiva lo smart working, favorendo dunque la conciliazione tra vita e lavoro.

A quali bisogni del lavoratore avete cercato di rispondere integrando l’offerta di welfare nel contratto collettivo?

Già nel 2001 siamo stati il primo contratto collettivo in Italia a prevedere al suo interno l’assistenza sanitaria integrativa: le convenzioni previste nella polizza sono identiche per il lavoratore di una grande realtà del nord e per quello di un piccolo studio del sud. La sfida principale è stata dunque offrire un tipo di welfare che potesse essere valido e applicabile sia per il piccolo che per il grande studio, per questo abbiamo scelto delle polizze collettive.

Può illustrarci qualche altra misura specifica del settore?

Ad esempio nell’ultimo contratto collettivo abbiamo previsto delle misure di welfare anche per il datore di lavoro offrendo anche a questa figura l’assistenza sanitaria integrativa pagando un piccolo contributo. Anche in questo caso si tratta di una misura unica all’interno di un contratto collettivo nazionale.

Quanto secondo Lei, le nuove normative e gli sgravi fiscali sono stati utili per il vostro settore?

Francamente non del tutto. La realtà di uno studio professionale è molto diversa da quella di un’impresa. I modelli di welfare presi in esame dalla normativa sono più adatti alla grande impresa del settore industria. In altre parole, i parametri di riferimento per l’eventuale detassazione nel caso in cui il premio di produttività sia trasformato in servizi di welfare, sono legati a parametri che vanno bene per la grande impresa ma meno per lo studio professionale dove è difficile misurare la produttività.

In che modo il legislatore potrebbe rendere più fruibile l’offerta di welfare?

Dobbiamo trovare delle modalità più semplici e specifiche per individuare dei parametri di riferimento adatti alle attività professionali e di erogazione dei servizi, altrimenti si rischia di isolare ed escludere un settore come il nostro.

Qual è l’importanza di prevedere per le piccole/micro imprese “reti territoriali” per offrire servizi di welfare? Conosce esempi specifici di studi che si sono associati per dare servizi di welfare?

Abbiamo stipulato degli accordi a Roma e a Milano con grossi studi legali associati che oltre ad avere molti dipendenti si avvalgono anche di professionisti iscritti all’ordine in mono-committenza e titolari di p.iva. Questi studi hanno voluto riconoscere a tali soggetti la copertura integrativa sanitaria alla pari di quella dedicata ai datori di lavoro.

Quest’anno è tra i promotori del progetto Welfare Index PMI. Perché credete nel progetto e cosa vi ha spinto a prendervi parte?

Abbiamo aderito con entusiasmo perché il confronto con gli altri soggetti è molto importante ed è anche fondamentale creare delle sinergie in tutto il territorio. Mettere insieme le eccellenze per migliorare il welfare e dare una spinta positiva per la sua diffusione è uno dei motivi principali per il quale abbiamo aderito.

L’agricoltura sociale e il welfare

L’agricoltura sociale ha un ruolo originale e di punta nel panorama del welfare aziendale e della responsabilità sociale d’impresa.

Secondo il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali sono attivi nel nostro paese più di 1.000 progetti di agricoltura sociale, e ciò colloca l’Italia ai primi posti nello scenario europeo.

Ne fanno parte organizzazioni con diverse forme giuridiche, i cui scopi sono coniugare l’agricoltura e la salute, promuovere il benessere fisico, mentale e sociale degli individui, promuovere l’inserimento delle persone svantaggiate.

L’indagine sul welfare aziendale nell’agricoltura sociale è stata realizzata in collaborazione con la Rete Fattorie Sociali. Hanno partecipato 112 organizzazioni. Il campione è equamente distribuito per aree geografiche: 33% di imprese al Nord, 36,6% nel Centro, 30,4% nel Sud e Isole (fig. 1).

Le organizzazioni sono così stratificate per classi dimensionali (fig. 2): 53,5% fino a cinque addetti; 31,3% da 6 a 10 addetti; 11,7% da 11 a 30 addetti; 3,5% oltre 31 addetti. Nella definizione di addetti sono inclusi i lavoratori a tempo indeterminato e quelli a tempo determinato, inclusi gli stagionali, che lavorano ripetutamente per l’impresa. Sono inoltre inclusi sia gli addetti impiegati in agricoltura sia quelli impiegati nelle attività sociali.

La fig. 3 rappresenta la composizione del campione per forma giuridica. Il 45,5% sono organizzazioni del terzo settore: cooperative sociali e associazioni. Le cooperative sociali di tipo A (5,4%) si occupano della gestione di servizi socio-sanitari, formativi e di educazione permanente. Le cooperative sociali di tipo B (21,4%) si occupano di attività finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Il 7,1% del campione sono cooperative sociali miste A e B. Inoltre le associazioni sono l’11,6%. Le imprese di mercato rappresentano il 46,5%: aziende agricole (42%), cooperative (4,5%). Inoltre sono presenti altre forme giuridiche (8,1%).

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Fig. 1 – 2 – 3

Welfare agricolo: intevista a Luigi Mastrobuono, Confagricoltura

Luigi Mastrobuono, Direttore Generale di Confagricoltura dichiara: “Mettere a sistema le buone pratiche del settore agricolo”.

“La sfida di oggi è far diventare sistema le buone pratiche del settore agricolo che già esistono”. Così ha dichiarato Luigi Mastrobuono, Direttore generale di Confagricoltura, ascoltato da Welfare Index PMI.

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Luigi Mastrobuono – Direttore Generale di Confagricoltura

Direttore Mastrobuono, come spiegherebbe in estrema sintesi gli aspetti più specifici del welfare agricolo?

Il legame con l’impresa, ed il territorio, la continuità nel tempo rappresentano gli aspetti più tipici del welfare agricolo. L’agricoltura nasce all’interno di un clima in cui famiglia, relazioni, territorio si legano, l’azienda è intesa come una comunità che si allarga con un forte impatto nell’ambiente locale e queste radici sono rimaste fino ad oggi.

E ciò è un limite o una potenzialità?

Tutte e due le cose: limite quando la dimensione resta troppo piccola e non consente la capacità di progettazione verso i mercati esteri, l’innovazione, oppure il marketing o la formazione, per andare oltre il conosciuto ed i propri confini. Diventa invece un punto di forza quando permette di mantenere una forte identità imprenditoriale e produttiva che porta con sé tutto il territorio.

Quanti sono gli occupati del settore agricolo in Italia e con quale tipologia di contratti?

Gli occupati sono circa 1 milione di cui 800mila con contratti a tempo determinato. Le PMI agricole vanno calcolate per tipologia. Semplificando possiamo dire che ne esistono 75mila in forma societaria, e 650mila come imprese individuali. Se vogliamo leggere il numero di imprese con un fatturato significativo (prescindendo dalla forma giuridica), siamo complessivamente entro le 400mila. Sono diffuse su tutto il territorio nazionale. L’agricoltura non è un fenomeno “bucolico” ma pienamente economico e il settore, inteso in senso stretto, cioè produzione agricola e allevamento, vale circa il 2% del PIL (34 miliardi di euro) del nostro Paese.

La tipologia di contratti influenza l’attuazione di iniziative di welfare?

L’elevato numero di contratti a tempo determinato è dovuto alla stagionalità del lavoro agricolo (quindi lavoratori che tornano ogni anno nella stessa azienda)e, in questo senso, il welfare diventa il meccanismo con il quale fidelizzare le persone per patrimonializzare competenze ed esperienza.

Vanno pensate delle formule di welfare ad hoc?

Anche grazie alla fotografia emersa dal Rapporto 2016 Welfare Index PMI, abbiamo visto che nel settore agricolo esistono alcune formule di welfare molto specifiche, mentre altre sono uguali alle altre imprese.

Può farci qualche esempio?

Il tema della formazione ha sicuramente dato vita agli esempi più originali con l’apertura di vere e proprie scuole agrarie all’interno soprattutto di imprese medio-grandi.
Un altro esempio: Agrimad (premiata da Welfare Index PMI lo scorso 8 marzo, ndr), con sede in provincia di Cosenza, sostiene gli studi dei figli dei dipendenti anche in università distanti, perché i giovani laureati in modo possano tornare nelle zone di provenienza e assicurare quell’occupazione necessaria per lo sviluppo di un allevamento di assoluto valore come il suino nero di Calabria.

E tra quelli più tradizionali?

Offrire la casa ai dipendenti è una tradizione da decenni in alcune imprese, come nel caso di Barone Ricasoli (premiato da Welfare Index PMI lo scorso 8 marzo).

C’è attenzione da parte delle aziende che forniscono servizi di welfare per intercettare le esigenze specifiche del settore agricolo?

La mia impressione è che chi fornisce servizi punti, come ovvio, alle esigenze delle grandi imprese: è una legge di mercato. Poi si accorge del settore agricolo e delle sue specificità, che richiedono personalizzazione avanzata, una esigenza tipica dei nuovi mercati dei servizi.

Qual è oggi l’importanza delle reti territoriali d’impresa?

Oggi sono assolutamente indispensabili. Confagricoltura ha introdotto le reti d’impresa in agricoltura proprio per permettere alle piccole aziende di poter sviluppare ciò che da sole non riuscirebbero, come ad esempio ricerca e innovazione, formazione specializzata ma anche welfare: è più conveniente mettersi insieme per acquistare servizi come rete di imprese che non operare come piccola azienda.

Perché avete deciso di partecipare a WIPMI fin dalla prima edizione?

Fin dal primo momento, ci è sembrata un’ottima intuizione per far emergere un aspetto dell’agricoltura che non era assolutamente percepito: un agricoltura moderna, innovativa e che fa anche welfare come parte integrante del proprio processo produttivo. Siamo anche riusciti a far scoprire il mondo dell’agricoltura sociale, che ha una importante crescita. Inoltre siamo convinti dell’importanza del lavoro di divulgazione del progetto Welfare Index PMI che risponde ad un bisogno reale del Paese.

Le misure di welfare aziendale riscuotono più successo del tradizionale premio in denaro!

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha aggiornato alla data del 15 settembre 2016 i dati relativi ai contratti territoriali e aziendali istitutivi dei premi di produttività convertibili in servizi di Welfare per i quali è obbligatorio l’invio telematico.

In particolare alla data del 14 settembre 2016 sono stati depositati 15.078 accordi di cui 11.003 sono stati sottoscritti nel 2015 e 4.075 nei primi mesi del 2016. Più nel dettaglio, l’83% è di tipo aziendale, mentre il 17% di tipo territoriale; le regioni più coinvolte sono la Lombardia (28% del totale), l’Emilia Romagna (17%) e il Veneto (14%).

Dei 15.078 contratti depositati 2.626 prevedono misure di welfare aziendale, ovvero il 17% del totale. Il dato però più interessante è che con riferimento al solo anno 2016 la percentuale sale incredibilmente al 65% di quelli sottoscritti. Questo è un risultato di gran lunga migliore rispetto alle più rosee aspettative e, tenuto conto che la riforma fiscale del welfare aziendale è in vigore dal primo gennaio di quest’anno, la maggior parte di questi accordi è senz’altro stato negoziato a partire dai primi mesi dell’anno. Tradotto: le misure di welfare aziendale riscuotono più successo del tradizionale premio in denaro!

Il Ministero rileva che negli accordi trova spazio un ampio pacchetto di servizi che vanno dall’assistenza sanitaria alla previdenza, dalla gestione del tempo alla ristorazione.

Un’ulteriore spinta al Welfare aziendale potrebbe arrivare anche dalle misure allo studio del Governo per il 2017: da una parte è previsto l’incremento della somma individuale detassabile dei premi di risultato (da 2.000 a 3.000 euro), nonché l’allargamento della platea dei beneficiari con lo spostamento verso l’alto del limite di reddito per avere la tassazione agevolata (da 50.000 a 80.000 euro lordi annui); dall’altro, in caso di conversione del premio di risultato in servizi per sanità e previdenza integrativa non scatterebbero i limiti di deducibilità attualmente in vigore, 3.615,20 euro per le spese sanitarie e 5.164,57 euro per i versamenti alla pensione integrativa.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Welfare Index PMI al Salone della CSR e dell’Innovazione sociale, Milano

Welfare Index PMI è stato presentato ieri martedì 4 ottobre 2016 nell’ambito del Salone della CSR e dell’Innovazione sociale che si è svolto all’Università Bocconi, Milano.

Promosso da Generali Italia, Welfare Index PMI ha permesso di avviare un percorso di collaborazione tra una grande azienda con le più importanti associazioni d’impresa del nostro Paese: Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato e Confprofessioni, rispondendo ai bisogni emergenti del Paese e fornendo di fatto il primo rapporto che fotografa e misura la qualità del welfare aziendale italiano.

Andrea Mencattini, Responsabile controllate assicurative e rapporti Istituzioni di Generali Country Italia ha dichiarato: “Welfare Index Pmi è nato proprio per diffondere la cultura del welfare nelle piccole e medie imprese. In Italia – ha proseguito – un piano di previdenza complementare, una pensione aggiuntiva, un piano sanitario ce l’hanno un lavoratore su tre e il numero di lavoratori che non è coperto è molto ampio. Dove sono questi lavoratori? Tutti – ha concluso – nelle piccole e medie imprese e sono le aziende che per motivi storici, organizzativi, hanno più difficoltà ad accedere a queste forme di integrazione sul tenore di vita“.

L’obiettivo ambizioso è quello di promuovere e valorizzare il welfare aziendale nelle piccole e medie imprese italiane, stimolando un cambio culturale che pone il welfare al centro della vita quotidiana di aziende, lavoratori e famiglie.

Giovanni Luca Perin, responsabile risorse umane e organizzazione di Generali Italia ha dichiarato: “I dipendenti ingaggiati che vivono bene la vita aziendale riescono a trasferire questo benessere anche ai clienti e questo si traduce immediatamente in un ritorno economico”.

Infine, Loredana Alberti imprenditrice dell’azienda agricola Fungar a rappresentare una delle eccellenze italiane nell’ambito del welfare aziendale premiata da Welfare Index PMI con la menzione speciale Valore Donna lo scorso 8 marzo alla presenza del Ministro al lavoro e alle politiche sociali Giuliano Poletti.

Video realizzato da Askanews

Welfare Index PMI vince il Premio Areté alla Comunicazione Responsabile 2016

Welfare Index PMI il progetto nato per diffondere la cultura del welfare aziendale nelle PMI italiane ha vinto il Premio Areté alla Comunicazione Responsabile 2016 promosso da Nuvolaverde Onlus con Confindustria, Abi e Gruppo 24 Ore.
Il riconoscimento che segnala alla business community e all’opinione pubblica i soggetti che si sono distinti per l’efficacia della comunicazione nel rispetto delle regole della responsabilità è stato consegnato ieri nell’ambito del prestigioso Salone della CSR e dell’innovazione sociale presso l’Università Bocconi a Milano.

Welfare Index PMI promosso da Generali Italia con la partecipazione di Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato e Confprofessioni e con la collaborazione di Vita ha vinto il Premio assoluto Areté 2016 alla Comunicazione Responsabile per “l’azione corale coordinata da una grande azienda con la partecipazione di prestigiose associazioni d’impresa che risponde al bisogno reale del sistema Paese e degli italiani”. 

Welfare Index PMI ha conquistato la giuria aggiudicandosi anche il Primo Premio nella categoria Comunicazione d’Impresa.

 

Welfare Index PMI ospite al Salone della CSR il 4 ottobre, Milano

Un appuntamento interamente dedicato a Welfare Index PMI avrà luogo dalle ore 11.30 alle 13.00 martedì 4 ottobre 2016 nell’ambito del prestigioso Salone della CSR e dell’Innovazione sociale, considerato il più importante evento in Italia sui temi della sostenibilità.
Il Salone che giunge quest’anno alla sua quarta edizione si svolgerà il 4 e 5 ottobre presso l’Università Bocconi, via Roentgen 1, Milano.

La presentazione del progetto Welfare Index PMI sarà anche l’occasione per illustrare alcune interessanti testimonianze di welfare aziendale portate alla luce dalla Ricerca 2016 che è servita per elaborare il primo Rapporto sullo stato del welfare aziendale in Italia, realizzato intervistando più di 2000 aziende diffuse su tutto il territorio nazionale. Inoltre saranno presentate le novità e gli sviluppi della prossima ricerca per elaborare il Rapporto 2017.

Welfare Index PMI, realizzato da Generali Italia con la partecipazione di Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato e Confprofessioni, ha l’obiettivo di promuovere e diffondere la cultura del welfare aziendale anche nelle piccole e medie imprese dove, oltre a migliorare il benessere organizzativo, può aumentare la produttività con importanti ricadute sui costi aziendali.

IL PROGRAMMA

4 OTTOBRE – MATTINO
WELFARE INDEX PMI: IL WELFARE AZIENDALE FA CRESCERE L’IMPRESA
11:30 – 13:00

Modera: Federica Gentile, conduttrice radiofonica e autrice televisiva

ore 11.30 – 11.50
Il welfare in una società in costante cambiamento
Lucia Sciacca, Direttore Comunicazione e Social Responsibility Generali
Mario Calderini, Professore ordinario Politecnico di Milano, Consigliere per le politiche di ricerca e innovazione Ministero dell’Istruzione

ore 11.50 – 12.00
Sezione Q&A

ore 12:00 – 12:20
Il welfare nelle grandi aziende e nelle PMI: punti di contatto e benefici
Gianluca Perin, Responsabile Risorse Umane e Organizzazione Generali
Loredana Alberti, imprenditrice dell’azienda agricola Fungar, Menzione speciale “Valore Donna” Welfare Index PMI         
Federica Coletto, Risorse Umane Colorificio San Marco, Primo premio settore Industria Welfare Index PMI

ore 12:20 – 12.30
Sezione Q&A

ore 12:30 – 12:50
Welfare Index PMI: il welfare aziendale fa crescere l’impresa
Andrea Mencattini, Responsabile Controllate Assicurative e Rapporti Istituzionali Generali
Enea Dallaglio, Amministratore Delegato Innovation Team

ore 12.50 – 13.00
Sezione Q&A e fine dei lavori

 

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Salone della CSR e dell’Innovazione sociale

Le 10 aree di welfare aziendale

Le PMI italiane manifestano verso il welfare aziendale atteggiamenti molto diversi, e il Rapporto 2016 Welfare Index PMI 2016 ha avviato il monitoraggio della loro evoluzione.
Un primo fattore da considerare è quali sono gli obiettivi per cui le imprese attuano iniziative di welfare aziendale. Sotto questo profilo possiamo raggruppare tre approcci principali:

Strategie di responsabilità sociale per la sostenibilità dell’impresa

Rientrano in questo segmento le imprese che motivano le iniziative di welfare aziendale principalmente con obiettivi di sostenibilità del business e di rafforzamento della reputazione, e che coinvolgono una pluralità di stakeholder.

Focus sulle risorse umane

Per le imprese appartenenti a questo gruppo gli obiettivi principali sono la fidelizzazione dei dipendenti, l’instaurazione di relazioni collaborative, il miglioramento del benessere organizzativo, il miglioramento della produttività del lavoro.

Vantaggi economici immediati

Si tratta delle imprese che prima di tutto intendono utilizzare i benefici fiscali per ottimizzare i costi del lavoro, incentivando al tempo stesso la produttività.

Ovviamente i tre approcci non si escludono l’un l’altro; al contrario, si rafforzano reciprocamente. Le imprese più consapevoli della propria responsabilità sociale sono frequentemente anche tra le più attive nel proporsi obiettivi di benessere interno, e tra le più attente nel cogliere le opportunità fiscali.

Un secondo criterio di distinzione riguarda la proattività dell’impresa nell’attuare iniziative di welfare e nel coinvolgere i lavoratori: se e in che modo essa indaga le esigenze dei lavoratori, se e come li coinvolge nelle decisioni, se attua le iniziative autonomamente o attraverso accordi sindacali; e inoltre qual è l’entità dello sforzo economico sostenuto dall’azienda per le iniziative di welfare.

Infine con il Rapporto 2016 abbiamo mappato l’ampiezza delle iniziative di welfare intraprese dall’azienda. A questo scopo abbiamo definito 10 aree del welfare aziendale (Fig.1). Per ogni area l’indagine ha permesso di rilevare quali e quante iniziative sono state intraprese, e per quale popolazione di beneficiari all’interno e all’esterno dell’azienda. I criteri sopra esposti permettono di segmentare i profili di welfare delle PMI italiane e di seguirne l’evoluzione nel tempo.

Permettono inoltre di calcolare il Welfare Index PMI: uno strumento con il quale le singole imprese possono misurare le proprie iniziative di welfare aziendale confrontandosi con le esperienze più avanzate del proprio settore.

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Fig. 1 – Le 10 aree del welfare aziendale