L’ambito dell’assistenza a familiari anziani non autosufficienti e bambini, si trova ancora in una primissima fase si trova ancora in una primissima fase di sperimentazione: appena il 2,2% delle PMI hanno attivato iniziative, una quota in aumento rispetto all’1,7% dello scorso anno. In dettaglio:
• l’1,3% delle imprese offrono assistenza a familiari anziani e/o non autosufficienti, principalmente in forma di rimborsi;
• l’1,2% prevedono sostegni per le cure specialistiche per bambini e i servizi pediatrici.
Il tema della non autosufficienza è certamente uno dei più critici e problematici:
• le persone non autosufficienti o disabili in Italia sono 3,6 milioni, di cui 2,9 milioni di età superiore a 65 anni (figura 56);
• si tratta di un fenomeno destinato inevitabilmente ad ampliarsi a causa dell’invecchiamento della popolazione;
• l’impatto della non autosufficienza è molto rilevante e ricade in larghissima misura sulla famiglia, come aggravio sia economico sia personale;
• l’offerta di servizi è polverizzata, disomogenea e spesso – sul versante dei servizi residenziali – non qualificata.
L’iniziativa di Welfare Aziendale promossa da Selle Royal rientra nella fattispecie contemplata dall’art. 51, comma 2, lett. f) del TUIR che recita:
Non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente:
f) l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell’articolo 12 per le finalità di cui al comma 1 dell’articolo 100.
A sua volta l’art. 100, comma 1, del TUIR stabilisce che: le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi.
Tra le finalità richiamate dall’art. 51, comma 2, lett. f) vi sono quelle ricreative che sono esattamente applicabili alla fattispecie. Tanto premesso, le condizioni affinché il valore economico dell’iniziativa ricreativadi Selle Royal non costituisca reddito di lavoro dipendente sono:
1) che i corsi di yoga e pilates siano offerti a tutti i dipendenti o categorie di dipendenti;
2) che il relativo costo sia sostenuto direttamente e interamente dalla società datrice di lavoro.
Per quanto riguarda il primo punto, il fatto che solo una parte dei dipendenti partecipino all’iniziativa non inficia l’agevolazione della non concorrenza al reddito di lavoro dipendente. In merito al secondo punto, la precisazione serve a chiarire che sono esclusi ogni forma di rimborso ai dipendenti partecipanti per spese eventualmente sostenute, nonché indennizzi in denaro ai non partecipanti. Anche la circostanza che le sessioni di yoga e di pilates vengano svolte durante o fuori dall’orario di lavoro non è determinante.
È evidente che nel primo caso il dipendente risulterà comunque retribuito sulla base del suo stipendio orario o giornaliero, nel secondo caso no.
Dal punto di vista aziendale, se l’iniziativa di Welfare è frutto di un contratto sindacale oppure di un regolamento aziendale a carattere negoziale, le relative spese sostenute (organizzazione dei corsi, utilizzo spazi, istruttore) sono deducibili per intero dal reddito d’impresa. Viceversa, se l’iniziativa risulta inquadrabile tra le cd liberalità datoriali, allora le spese sono deducibili solo nella misura del 5 per mille delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultanti a bilancio.
Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP
Welfare Index PMI riserva una sezione speciale alle organizzazioni attive nell’ambito dell’agricoltura sociale.
Al pari delle tre edizioni precedenti, è stata condotta un’indagine ad hoc su queste realtà, parallela a quella generale, svolta con il supporto di Rete Fattorie Sociali e a cui hanno preso parte 43 organizzazioni. I soggetti dell’agricoltura sociale declinano il welfare aziendale in un’accezione specifica e originale: attraverso l’attività agricola (coltivazione, allevamento, attività connesse), attivano una serie di iniziative con l’obiettivo di favorire l’inclusione lavorativa e il benessere psicofisico e sociale delle persone, soprattutto quelle svantaggiate.
Le macro-aree di azione sono quattro:
• inserimento socio-lavorativo di persone in condizione di fragilità: è praticato dal 72,1% delle realtà intervistate;
• attività educative e ludico-ricreative, 67,4%: rientrano molteplici iniziative, dai progetti di educazione ambientale e alimentare alla salvaguardia della biodiversità alle fattorie sociali e didattiche;
• area socio-assistenziale, 58,1%: prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali per promuovere lo sviluppo di capacità e di inclusione sociale;
• area socio-sanitaria, 32,6%: prestazioni e servizi a supporto delle terapie mediche, psicologiche e riabilitative finalizzate a migliorare le condizioni di salute e le funzioni sociali, emotive e cognitive dei soggetti interessati.
Il 21% dei partecipanti presidiano tutte e quattro le aree, un ulteriore 23% tre aree, il rimanente 56% una o due aree. Le attività tipiche dell’agricoltura sociale sono rappresentate nella figura 71.
Oltre all’inclusione socio-lavorativa (72,1% degli intervistati), sono presenti attività diurne per persone svantaggiate (62,8%), iniziative di educazione ambientale (58,1%), formazione per persone svantaggiate (53,5%), attività di coterapia (53,5%), iniziative di turismo agricolo-sociale (48,8%).
Un numero cospicuo di queste realtà organizza fattorie didattiche e centri estivi, un numero inferiore offre accoglienza residenziale o servizi di asilo nido. La platea di persone cui si rivolgono i soggetti dell’agricoltura sociale è molteplice: innanzitutto disabili psichici e fisici, ma anche minori in situazioni di disagio, immigrati e rifugiati, ex detenuti, disoccupati di lungo corso e persone con problemi di dipendenza da alcol o droghe.
Il 44% delle organizzazioni impiegano lavoratori extracomunitari, in alcuni casi anche rifugiati politici, di cui spesso favorisce l’integrazione sociale attraverso formazione linguistica, mediazione culturale, supporto burocratico e orientamento, accoglienza residenziale. L’agricoltura sociale attiva reti e relazioni sul territorio: il 28% dei soggetti intervistati operano in collaborazione con associazioni, il 26% con istituzioni pubbliche, il 18% e il 16% rispettivamente con cooperative di tipo A (servizi alla persona) e B (inserimento lavorativo).
Inoltre, queste realtà partecipano attivamente alla vita comunitaria in vari modi, ad esempio partecipando a eventi ricreativi e culturali o supportando iniziative di volontariato.
In ambito conciliazione vita e lavoro, le iniziative di flessibilità organizzativa sono quelle più diffuse, praticate dal 36% delle PMI.
È un ambito che ha visto una forte accelerazione negli ultimi anni: nel 2016 solo il 16% delle PMI prevedevano questo tipo di iniziative. Si tratta soprattutto del superamento della rigidità dell’orario lavorativo con l’introduzione di regole più flessibili rispetto a quanto previsto dai CCNL: 34,1% delle PMI.
Tali misure possono essere oggetto di un accordo o di un regolamento aziendale, oppure soprattutto nelle PMI più piccole e meno strutturate, sono attuate in maniera più informale per fare fronte alle esigenze familiari specifiche dei singoli lavoratori.
Non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente i contributi e i premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana o aventi per oggetto il rischio di gravi patologie.
È quanto previsto dall’articolo 1, comma 161, della legge di Bilancio 2017, che inserisce al comma 2 dell’art. 51 del TUIR una nuova ipotesi di benefit detassato prevista dalla nuova lettera f-quater, nonchè dai successivi chiarimenti contenuti nella circolare n. 5 del 29 marzo 2018 da parte dell’Agenzia delle Entrate. Sono riconducibili alla prima tipologia le polizze dirette a garantire una copertura assicurativa per stati di non autosufficienza del dipendente che richiedono generalmente il sostenimento di spese per lunga degenza (cd polizze “Long Term Care”).
Appartengono invece alla seconda categoria le polizze dirette a garantire una copertura assicurativa contro il rischio di insorgenza di malattie particolarmente gravi (cd polizze “Dread Disease”). Relativamente alla stipula di polizze “Long Term Care”, i soggetti considerati non autosufficienti sono coloro che non sono in grado di compiere gli atti della vita quotidiana quali, ad esempio, assumere alimenti, espletare le funzioni fisiologiche e provvedere all'igiene personale, deambulare, indossare gli indumenti. Inoltre, deve essere considerata non autosufficiente la persona che necessita di sorveglianza continuativa. Invece, per le polizze Dread Disease, mancando indicazioni normative volte a delimitare il contenuto delle “gravi patologie”, è possibile fare riferimento all’elenco delle malattie professionali per le quali è obbligatoria la denuncia all’Ispettorato del lavoro. Prima dell’entrata in vigore della legge di Bilancio 2017 i contributi o premi versati dal datore di lavoro per garantire ai dipendenti una copertura assicurativa del tipo Long Term Care o Dread Disease costituivano reddito di lavoro dipendente sul quale calcolare contributi previdenziali e irpef, a meno che detti contributi o premi non fossero annualmente inferiori all’importo di euro 258,23 (art. 51, comma 3, TUIR) e a condizione che il datore di lavoro non avesse già garantito ai dipendenti interessati altri beni o servizi generici di valore pari o superiore alla predetta franchigia. Sulla base della circolare n. 5, l’utilizzo, da parte del legislatore dei termini “contributi e premi” senza altra specificazione, porta a ritenere che la lettera f-quater) trovi applicazione anche nelle ipotesi in cui i contributi siano versati ad enti o casse non aventi i requisiti di cui alla lettera a) del comma 2 dell’art. 51 TUIR, o a fondi sanitari non iscritti all’anagrafe, nonché ad enti bilaterali. L’Agenzia delle Entrate specifica inoltre che la non concorrenza al reddito di lavoro dipendente prevista per i contributi versati ai sensi della lettera f-quater) si realizza sempreché gli stessi siano destinati all’erogazione di prestazioni in favore del dipendente e non anche dei suoi familiari, a prescindere se a carico o meno. Pertanto, laddove la polizza garantisca prestazioni sia al dipendente che ai familiari, occorrerà scorporare la quota riferita alla posizione dei familiari, che potrebbe costituire reddito di lavoro dipendente salva la franchigia di euro 258,23 di cui si è già detto. Altra condizione da rispettare ai fini della non concorrenza al reddito è costituita dalla circostanza che il versamento del premio o del contributo venga eseguito dal datore di lavoro in favore della generalità o di categorie di dipendenti e non “ad personam”.
Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP
Il sostegno all’istruzione di figli e familiari è stato individuato come uno degli ambiti fiscalmente incentivati per interventi di welfare aziendale fin dalla Legge di Stabilità del 2016.
Le imprese possono così giocare un ruolo importante nel sostenere i percorsi di formazione e crescita dei giovani in vari modi: aiutando economicamente le famiglie a sostenere le spese per l’istruzione dei figli; supportando la formazione dei lavoratori più giovani; realizzando iniziative di orientamento e inserimento (stage, alternanza scuolalavoro, borse di studio…) anche con il concorso del sistema scolastico e universitario.
Attualmente solo il 4,2% delle PMI italiane hanno attivato iniziative di questo tipo, ma sono in netta crescita: nel 2016 la quota era soltanto dell’1%, nel 2017 e 2018 del 2,7%. Il rimborso delle spese di iscrizione e di rette è il supporto più diffuso: 1,5% per le scuole materne, 2,0% per le scuole primarie e secondarie, 1,3% per l’università. Alcune PMI offrono rimborsi per l’acquisto di libri e materiali didattici (1,9%), per viaggi di studio e istruzione (0,7%) o per gli altri servizi connessi alla scuola come trasporto e pasti fuori casa (0,9%).
Le iniziative nell’area della conciliazione vita familiare e lavoro e delle facilitazioni al lavoro sono praticate dal 59,2% delle imprese.
Vi rientrano un’ampia gamma di possibili azioni, essenzialmente di tipo organizzativo (come flessibilità oraria, permessi e lavoro a distanza) o nella forma di facilitazioni al lavoro. È un’area fondamentale su cui le PMI hanno rafforzato la propria offerta negli ultimi anni: nel 2016, prima edizione di Welfare Index PMI, il tasso di iniziativa non raggiungeva il 40% delle PMI. Circa il 10% delle PMI hanno segnalato interventi in quest’area nel solo ultimo anno, con il lancio di nuove iniziative o il potenziamento di quelle già esistenti. È inoltre un’area che le imprese considerano prioritaria nel medio-lungo termine: la indicano infatti il 37,2% delle PMI intenzionate ad accrescere il proprio sistema di welfare aziendale nei prossimi 3-5 anni.
Abbiamo raggruppato le iniziative aziendali in quattro ambiti:
• flessibilità nell’organizzazione del lavoro;
• misure a sostegno alla genitorialità;
• supporti di facilitazione al lavoro;
• altre misure a sostegno dei lavoratori e delle famiglie.
Il versamento di contributi di assistenza sanitaria da parte del datore di lavoro o del lavoratore ad Enti o Casse con determinati requisiti e in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente fino all’importo complessivo annuo di euro 3.615,20.
Questo vuol dire che l’iscrizione ad una Cassa di assistenza sanitaria effettuata dal datore di lavoro a favore dei propri dipendenti consente ai beneficiari il rimborso da parte della Cassa stessa delle spese sanitarie sostenute senza alcun aggravio fiscale. In questo caso, il datore di lavoro è tenuto unicamente al versamento all’Inps di un contributo di solidarietà del 10% sui premi pagati alla Cassa.
Viceversa, il rimborso diretto da parte del datore di lavoro di spese sanitarie sostenute dal lavoratore – senza cioè il tramite di una Cassa di assistenza sanitaria – concorre a formare il reddito di lavoro dipendente e quindi detto rimborso risulta soggetto all’ordinaria tassazione contributiva e fiscale a carico sia dell’Azienda che del dipendente. È quanto emerge dalla risposta a interpello 285 del 19 luglio 2019 rilasciata dall’Agenzia delle Entrate.
Dal punto di vista del datore di lavoro risulta evidente il vantaggio contributivo e fiscale dell’iscrizione alla Cassa sanitaria: ad esempio a fronte di un premio di euro 2.000,00 annui versati a favore del proprio dipendente, sosterebbe un costo complessivo pari a euro 2.200,00 (2.000,00 più il contributo di solidarietà del 10%). Inoltre il dipendente non subirebbe alcuna trattenuta fiscale, né in relazione al premio versato dal datore di lavoro, né al momento del rimborso della spesa sanitaria sostenuta.
Infine, il datore di lavoro – in presenza di un contratto o di accordo o di regolamento aziendale – avrebbe la possibilità di dedurre l’intero costo dal reddito di impresa quale componente del reddito da lavoro. Invece, in caso di rimborso diretto al lavoratore dei 2.000,00 euro di spese sanitarie sostenute, il costo per il datore di lavoro ammonterebbe a più di 2.700,00 euro (2.000,00 più contributi ordinari più TFR), mentre il dipendente sui 2.000,00 euro ottenuti a rimborso subirebbe una ritenuta fiscale in busta paga che oscilla tra il 30 e il 40% di tassazione fiscale e contributiva, in funzione dello scaglione fiscale in cui si colloca il proprio reddito complessivo.
A livello di dichiarazione dei redditi personale, nel caso di iscrizione alla Cassa il lavoratore non beneficerebbe della detrazione del 19% delle spese mediche sostenute relativamente alla quota rimborsata dalla Cassa. Nel secondo caso, invece, detrarrebbe le spese mediche sostenute perché il rimborso delle stesse è stato già tassato in busta paga.
Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP
Il Rapporto Welfare Index PMI 2019 ha dimostrato che in questi anni il welfare aziendale è riuscito a rompere la barriera dimensionale, diffondendosi anche nelle piccole e micro-imprese.
Nelle imprese di piccola e media dimensione infatti la crescita di iniziative di welfare è stata particolarmente veloce, e in questi tre anni la quota delle molto attive è più che raddoppiata.
Nelle micro-imprese (meno di dieci addetti) è passata dal 6,8% nel 2017 all’attuale 12,2%. Nelle piccole imprese (10-50 addetti) dall’11% nel 2016 al 24,8% di oggi.
Nelle medie imprese (51-250 addetti): dal 20,8% nel 2016 al 45,3% di oggi, con un aumento particolarmente sostenuto nell’ultimo anno.
Restano avvantaggiate le imprese più grandi, con una quota di imprese molto attive del 71%, ben superiore a tutti gli altri segmenti.
Secondo i dati del Rapporto Welfare Index PMI 2019, il 43,9% delle PMI ha attivato almeno un’iniziativa nell’ambito della formazione e del sostegno della mobilità sociale dei giovani.
Si tratta di una percentuale in netta crescita rispetto al 2017 e al 2018 quando le piccole e medie imprese attive in quest’area erano rispetivamente il 33% e il 38%.
Ulteriori due dati confermano come il sostegno alla formazione e mobilità sociale dei giovani sia considerato dalle PMI un ambito di forte rilevanza strategica:
• il 12,0% delle imprese hanno investito nell’ultimo anno per lanciare nuove iniziative in quest’area o potenziarne di già esistenti;
• il 42,6% delle imprese intenzionate ad accrescere la propria offerta di welfare aziendale considerano quest’area come una priorità su cui concentrare investimenti e interventi nei prossimi 3-5 anni.
I dati indicano dunque come le PMI stiano maturando maggiore consapevolezza della centralità della formazione, in una duplice veste. Da un lato, per adeguarsi alla velocità con cui cambiano le professioni e le competenze necessarie. Dall’altro lato, per supportare l’occupazione e la propria capacità competitiva formando i giovani e favorendone la mobilità. Le azioni adottate dalle imprese in quest’area possono raggrupparsi in tre ambiti:
• formazione specialistica professionale;
• formazione extra professionale;
• sostegno all’istruzione di figli e familiari.
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