Martedì 26 marzo al Salone delle Fontane di Roma la quarta edizione di Welfare Index PMI

Il 26 marzo, presso il Salone Delle Fontane, situato al centro dell’Eur, sarà presentata l’edizione 2019 del Rapporto Welfare Index PMI, che offre la fotografia sullo stato del welfare nelle PMI italiane.

Durante l’evento saranno premiate le piccole e medie imprese italiane protagoniste dei migliori casi di welfare aziendale.

L’evento, presentato da Maria Latella, aprirà al pubblico alle 10:30 con inizio dei lavori alle 11:00 e ospiterà la diretta della trasmissione “Due di Denari” di Radio24.

Per partecipare prenota i tuoi posti al link: https://www.segreteriawelfareindexpmi.it

Il welfare aziendale fa crescere l’impresa e fa bene al Paese.

Investire nelle persone fa crescere le imprese e il territorio: il Welfare aziendale come strumento di competitività

In Italia e in gran parte d’Europa c’è una forte tradizione di welfare state: lo Stato fornisce ai cittadini molti servizi sociali. Le cose tuttavia stanno cambiando rapidamente. Rallentamento della crescita economica e necessità di contenere la spesa pubblica stanno accelerando la diffusione del corporate welfare.

La tradizione italiana del welfare aziendale è soprattutto nel solco dell’opera di Adriano Olivetti che nel dopoguerra fu stato un precursore nei rapporti tra impresa e dipendenti. La sua ricerca di equilibrio tra profitto e solidarietà sociale ha influenzato molti imprenditori nei decenni successivi.

Oggi tuttavia, rispetto al passato, l’approccio è meno legato a paternalismo, filantropia e solidarietà, e più integrato nella strategia aziendale. Il welfare aziendale è sempre più visto non solo come atto di generosità, riconoscenza o condivisione del profitto, ma come vero e proprio investimento. Perché l’equilibrio tra profitto e rispetto per la persona può incidere significativamente anche su produttività e competitività.
In altre parole, si sta diffondendo la consapevolezza che investire nel capitale umano può fornire un ritorno diretto e tangibile all’impresa.

Sempre più imprese quindi offrono ai propri dipendenti, come parte della retribuzione e come forma d’incentivo, pacchetti di beni e servizi gratuiti o a prezzi molto calmierati. Si va dall’auto aziendale ai contributi per la spesa di generi alimentari, dalla copertura di libri e tasse scolastiche ai viaggi studio per i figli, dall’assistenza sanitaria all’integrazione previdenziale, dalle convenzioni con gli asili al sostegno per la cura degli anziani.

Marco Magnani

Oltre a benefici “materiali”, sono sempre più diffuse anche le iniziative volte a migliorare il benessere psicofisico, la crescita personale e l’equilibrio tra vita privata e lavoro dei dipendenti. L’offerta comprende palestre aziendali, gruppi di ascolto e anti-stress, orari flessibili, qualità dell’ambiente di lavoro, corsi di formazione. Spesso i benefit sostituiscono un aumento dei salari con vantaggio per lavoratore e impresa: per motivi fiscali e perché il valore del contributo “in natura” è superiore a quanto il dipendente riuscirebbe ad acquistare con un aumento in busta paga.

È sempre più diffusa anche la consapevolezza il welfare aziendale può costituire una situazione win-win: può dare vantaggi a tutte le parti coinvolte.
All’impresa consente di aumentare la produttività, ripensare i modelli organizzativi, favorire la diversità, stabilire un più stretto collegamento tra retribuzione e performance. I dipendenti ottengono una migliore qualità di vita e aumentano il valore del pacchetto retributivo. Associazioni di categoria e sindacati offrono un servizio agli associati e benefici agli iscritti. La Pubblica Amministrazione può impiegare in modo più efficiente le proprie risorse.

Marco Magnani - Terra e Buoi dei Paesi TuoiIn generale, qualità di vita e ricchezza del territorio di riferimento tendono ad aumentare. A livello macroeconomico il welfare aziendale può stimolare la crescita dell’economia, soprattutto a livello locale.

La diffusione del welfare aziendale è una strada obbligata dai vincoli del bilancio pubblico e dai trend di aumento della domanda di servizi sociali, ma costituisce anche un’opportunità per ripensare il rapporto impresa-dipendenti e, grazie all’indotto di servizi offerti, un’occasione di crescita economica per i territori.

Marco Magnani, economista, Harvard e Luiss, membro del Comitato Guida di Welfare Index PMI e del Comitato Scientifico Piccola Industria di Confindustria, autore di Terra e Buoi dei Paesi Tuoi, UTET
www.magnanimarco.com 
Twitter: @marcomagnan1

Premi e Welfare: le nuove rotte dei contratti

Estendere i benfit alle Pmi con intese territoriali in modo da far crescere i ritorni sociali.

Oltre due lavoratori su cinque nell’industria – uno su due nei servizi – sono coperti da un contratto aziendale che prevede l’erogazione di primi collettivi variabili, legati a incrementi di produttività ed efficienza: questo uno dei risultati dell’annuale indagine di Confindustria sul lavoro, che nel complesso restituisce un quadro sempre più ricco di soluzioni volte ad accrescere la partecipazione e la soddisfazione dei lavoratori.

Si diffonde  la partecipazione organizzativa: uno su venti dei contratti aziendali disciplina forme di coinvolgimento paritetico. Mentre si restringe l’offerta dei servizi pubblici, ai propri dipendenti non dirigenti quasi tre su cinque imprese associate a Confindustria offrono uno o più forme di Welfare aziendale. Quella più diffusa è l’assistenza sanitaria integrativa, ma l’offerta si fa via via più differenziata, passando dalle tradizionali mense, a somme e servizi con finalità di istruzione e ricreazione per dipendenti e figli, fino ad estendersi all’assistenza a familiari anziani o non autosufficienti.

Cresce il “lavoro agile”: un’azienda su venti già prevede modalità di lavoro senza precisi vincoli di orario o luogo, una su dieci la ritiene un’opzione interessante. Premi e welfare, tradizionalmente adottati su decisione unilaterale del datore di lavoro, sono oggi  sempre più regolati dalla contrattazione di secondo livello. Con la negoziazione aziendale è più facile realizzare scambi positivi tra aumenti di efficienza e miglioramenti, salariali e non, per i lavoratori. Ciò non giustifica il regime fiscale agevolato.

Molti vantaggi attesi: per i dipendenti, date le soluzioni che ne migliorano soddisfazioni sul lavoro e vita; per le aziende, beneficiarie degli aumenti produttività che ne dovrebbero scaturire; per lo Stato, data la funzione integrativa e sussidiaria del welfare aziendale rispetto alle politiche pubbliche.

Ma non mancano le sfide. Queste soluzioni sono più diffuse in una parte del sistema produttivo, quello più dinamico e moderno, quindi serve in primo luogo evitare la segmentazione. Per contrastare il dualismo tra grandi e piccole aziende, è positiva l’estensione delle agevolazioni anche alle piccole che aderiscono a schemi di accordi negoziali territoriali.

Per massimizzare i ritorni sociali, vanno promosse le coalizioni di attori (aziende, enti territoriali e associazioni di volontariato) affinché il welfare aziendale si traduca in opportunità di sviluppo dell’economia locale e della rete dei servizi offerti sul territorio a tutti i cittadini.

Rassegna stampa del 19 novembre: “L’Economia” del Corriere della Sera.

Welfare aziendale e detassazione

Riflessi positivi sul trattamento fiscale e quindi sulle prospettive di sviluppo del Welfare aziendale dalla sentenza n. 22332/2018 della Corte di Cassazione, che smentisce l’Agenzia delle Entrate in tema di detraibilità dell’Iva assolta sugli acquisti di beni e servizi offerti ai dipendenti.

In particolare, secondo la Corte, al datore di lavoro spetta diritto alla detrazione Iva assolta per l’acquisto di benefits “in favore dei figli dei dipendenti, per la formazione e qualificazione dei dipendenti medesimi e per i servizi di trasporto del personale”; mentre, viceversa, con risposta a interpello n. 904-603 del 20 luglio 2017, l’Agenzia delle Entrate ha negato la detraibilità per il datore di lavoro che acquista servizi di welfare “con finalità ricreative a favore della generalità o categorie di dipendenti.”

La sentenza n. 22332 evidenza che il diritto alla detrazione dell’Iva assolta è ammesso non solo quando sussiste un nesso diretto ed immediato tra una specifica operazione a monte ed una o più operazioni a valle, tale per cui le spese sostenute per acquistare i beni o i servizi gravati dall’imposta facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni soggette ad imposta a valle che conferiscono diritto a detrazione (come argomentato dall’Agenzia delle Entrate), ma anche quando i costi dei servizi in questione facciano parte delle spese generali del soggetto passivo. Nello specifico, i costi sostenuti per i servizi offerti dal datore di lavoro ai propri dipendenti possono essere considerati come aventi un nesso economico con il complesso delle attività economiche dello stesso, risolvendosi nella acquisizione di prestazioni accessorie rispetto alle esigenze dell’impresa rientranti nelle spese generali aziendali.

Ciò detto, potrebbe sorgere il dubbio se in corrispondenza del diritto alla detrazione concesso al datore di lavoro non si debba invece assoggettare a Iva l’operazione gratuita nei confronti del dipendente. Ebbene, in base all’art. 3 del DPR n. 633/72, non è richiesta l’applicazione dell’Iva per l’operazione attiva gratuita, anche con l’imposta a monte detratta, relativamente alle somministrazioni nelle mense aziendali e alle prestazioni di trasporto, didattiche, educative e ricreative, di assistenza sociale e sanitaria, a favore del personale dipendente.

Alla luce della predetta sentenza è auspicabile che l’Agenzia delle Entrate riconsideri la propria posizione, così che i datori di lavoro possano determinare la corretta fiscalità e la conseguente imputazione contabile dei costi connessi all’erogazione dei beni e servizi nell’ambito del Welfare aziendale.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Generali Italia premiata ad Assorel per Welfare Index PMI

Welfare Index PMI miglior progetto di ‘Comunicazione sociale – Corporate Social Responsibility’

Welfare Index PMI, l’iniziativa lanciata nel 2016 da Generali Italia con la partecipazione delle principali Confederazioni e il Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha vinto il premio Assorel, per la sezione ‘Eccellenza in P.R.’, nella categoria ‘Corporate Social Responsibility’.

Welfare Index PMI è il primo indice di valutazione del livello del welfare aziendale nelle PMI italiane. Con 10mila imprese intervistate nelle tre edizioni, la ricerca rappresenta la mappatura più completa della diffusione del welfare aziendale in Italia, confermandosi anche come fonte autorevole per istituzioni, organizzazioni e privati che vogliono approfondire la materia.

Il progetto, nato con lo scopo di promuovere e diffondere nel nostro paese la cultura del welfare aziendale, ha avuto fin dalla prima edizione un ottimo impatto sociale, stimolando la conoscenza e la comprensione del tema. Infatti, secondo quanto emerge dal rapporto Welfare Index PMI 2018, in questi 3 anni, le imprese attive nel welfare aziendale sono più che raddoppiate.

 

Grandi imprese, il lavoro è smart. Ma le piccole sono in ritardo

A poco più di un anno dall’approvazione della legge che lo regola, in Italia lo smartworking continua a crescere.

Lo ha certificato ieri il monitoraggio annuale della School of management del Politecnico di Milano sulle aziende dove i dipendenti non timbrano il cartellino perché liberi di decidere orario e luogo di lavoro. In tutto parliamo di 480 mila lavoratori. Il 12,6% del totale degli occupati. E comunque il 20% in più rispetto a un anno fa.

Gli smartworker, si ritengono più soddisfatti rispetto alla media dei colleghi (39% contro il 18%). Ma questa opportunità non è colta da tutti. Da una parte oltre una grande impresa su due (il 56%) ha avviato progetti strutturati di smart working (se si considera anche che si sta facendo una sperimentazione la quota sale a due su tre). Dall’altra tra le pmi solo l’8% ha progetti strutturati (il 16% se si considerano anche le sperimentazioni informali). Una percentuale in linea con il 2017. Oltre all’atteggiamento dei piccoli, qualche cautela dovrebbe ispirare anche la modalità di attuazione di alcuni progetti di smartworking. Non sempre improntati a una reale valutazione dei lavoratori sui risultati.

Una buona notizia arriva invece dalla pubblica amministrazione, l’8% degli enti ha avviato progetti strutturati. Un anno fa la percentuale si fermava al 5%.

Articolo di Rita Querzè
Rubrica “La Lente” dal Corriere della Sera del 31 ottobre 2018

Qui l’articolo originale.

Il “welfare bilaterale” non costituisce reddito

Non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente le prestazioni welfare finanziate da un Ente bilaterale (cd. “welfare bilaterale”) e corrisposte ai dipendenti dal datore di lavoro.

È quanto chiarito dalla risposta a interpello n. 24 del 4 ottobre 2018 dell’Agenzia delle Entrate.
Ma andiamo con ordine. Nella prassi si definisce welfare bilaterale quello sviluppato dalla contrattazione collettiva a qualsiasi livello. La sua specificità non si esaurisce nella fonte contrattuale, ma si caratterizza per la costruzione di un sistema strutturato di enti e fondi bilaterali che erogano i servizi e le prestazioni negoziati.

Le funzioni degli Enti bilaterali sono molteplici: dalle conciliazioni nelle liti di lavoro, agli incentivi per le imprese, al sostegno del reddito per i lavoratori, alla formazione professionale. L’iscrizione all’Ente bilaterale è obbligatoria solo da parte dei datori di lavoro che formalmente aderiscono a un’associazione firmataria del CCNL da loro applicato.

Le Aziende non aderenti, invece, qualora decidano di non iscriversi all’Ente bilaterale, sono di solito obbligate a corrispondere mensilmente in busta paga ai lavoratori una somma in denaro a carattere sostituivo. Con istanza di interpello, un datore di lavoro società di capitali ha chiesto all’Agenzia delle Entrate il corretto trattamento fiscale da applicare alle somme erogate ai lavoratori dall’Ente bilaterale per il proprio tramite.

Lo statuto dell’ente, che il datore di lavoro finanzia versando una contribuzione integralmente a proprio carico, prevede l’erogazione ai dipendenti di somme a sostegno del reddito, finalizzate a integrare il loro reddito nell’ambito dell’assistenza per casi specifici, quali il premio per la nascita del figlio, il contributo malattia o per infortunio, l’iscrizione al nido/materna, alla scuola secondaria di primo grado e permesso per legge n.104 del 1992. Dette somme sono corrisposte dall’ente bilaterale al datore di lavoro, che si fa carico di corrisponderle ai dipendenti in busta paga.

Con la risposta a interpello n. 24 l’Agenzia chiarisce che le somme erogate da tali enti devono essere soggette a tassazione solo qualora rientrino tra le categorie reddituali indicate nell’art. 6 del TUIR, in particolare se i redditi percepiti risultino in sostituzione di quelli rientranti in una delle suddette categorie. In particolare le prestazioni consistenti in indennità volte a sostituire il reddito di lavoro dipendente sono assoggettate a tassazione con le medesime modalità previste per i redditi che vanno a sostituire.

Sulla base di questo presupposto, il premio per la nascita di un figlio, in quanto non assimilabile a nessuna delle categorie reddituali risulta pacificamente non tassabile. Qualche perplessità desta invece l’affermazione secondo cui anche gli emolumenti connessi a malattia, infortunio e permessi della legge 104/1992 sono esenti da tassazione. Bene per i dipendenti, in realtà queste somme sono sempre state corrisposte in sostituzione di redditi da lavoro dipendente non percepiti e quindi, come tali, soggette a tassazione.

Altra fattispecie esaminata dall’Agenzia delle Entrate è il contributo all’iscrizione alla scuola secondaria di primo grado dei figli: questa erogazione a sostegno del reddito, secondo la risposta a interpello n. 24, andrebbe soggetta a tassazione, in quanto rientrante nei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (art. 50, comma 1, lett. c) del TUIR – somme erogate a soggetti diversi dai dipendenti a titolo di borsa di studio).

Anche in questo caso però la risposta non convince, in quanto la borsa di studio erogata ai dipendenti a favore dei loro figli rientra nell’ambito dell’art. 51, comma 2, lettera f-bis del TUIR e come tale non concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente. Poco conta in proposito l’obiezione che il contributo all’iscrizione alla scuola proviene da un terzo (l’Ente bilaterale). Ciò in quanto è stessa Agenzia delle Entrate (anzi, l’allora Ministero delle Finanze, con circolare n. 326/E del 23 dicembre 1997) che nel commentare l’art. 48 (ora 51) del TUIR – secondo cui costituiscono reddito di lavoro dipendente tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta in relazione al rapporto di lavoro – aveva specificato che risultano comprese tutte le somme e i valori “che siano in qualunque modo riconducibili al rapporto di lavoro, anche se non provenienti direttamente dal datore di lavoro”.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Buoni corrispettivo 2019 monouso e multiuso, che cosa sono e cosa cambia?

Via libera l’8 agosto scorso allo schema di decreto legislativo che, attuativo della legge delega n. 163/2017 in recepimento della direttiva UE 1165/2016, vara le nuove regole IVA che dal 1° gennaio 2019 interesseranno anche l’emissione e la circolazione dei cd “voucher” utilizzati nel welfare aziendale.

In base all’art. 51, comma 3-bis, del TUIR l’erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi da parte del datore di lavoro ai propri dipendenti nell’ambito di un piano welfare può avvenire mediante documenti di legittimazione (“voucher”), in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale.

Voucher Monouso e multiuso:

Secondo le normative in vigore fino al 31 dicembre di quest’anno, i voucher non rilevano ai fini IVA, in quanto la relativa cessione è assimilata ad una mera cessione di denaro ex art. 2, comma 3, lett. a), del DPR n. 633/72 (cfr. Risoluzione Agenzia Entrate n. 21/E del 22 febbraio 2011). Questo vale sia in caso di voucher monouso, che dà diritto ad un solo bene, prestazione, opera o servizio per l’intero valore nominale, che di voucher multiuso per i beni e servizi di importo non superiore nel periodo d’imposta a 258,23 euro (art. 51, comma 3, ultimo periodo, TUIR), che possono essere cumulativamente indicati in un unico documento purché il valore complessivo degli stessi non ecceda il limite del predetto importo.

Ebbene, dal 1° gennaio 2019, anche i voucher utilizzati nel welfare aziendale si allineano alle nuove regole Iva: quelli monouso emessi a partire da tale data verranno assoggettati all’IVA al momento dell’emissione, in quanto le informazioni necessarie per la tassazione del buono (luogo e imposta) sono disponibili sin da quel momento; mentre per quelli multiuso l’IVA sarà esigibile solo nel momento in cui i beni saranno ceduti o i servizi prestati, in quanto al momento dell’emissione non è possibile determinare il trattamento ai fini dell’imposta.

Che cos’è il buono corrispettivo?

Il nuovo «buono corrispettivo» (così si chiamerà) dovrà indicare direttamente o nella documentazione che lo accompagna i beni o i servizi da cedere, nonché le identità dei potenziali cedenti, comprese le condizioni generali del suo utilizzo.

Le nuove disposizioni richiederanno modifiche alla prassi precedente. Per esempio, le cessioni di buoni benzina, sino ad oggi considerate sempre fuori campo Iva in quanto titoli di legittimazione, dovranno essere assoggettate all’imposta qualora sussistano i requisiti dei buoni corrispettivo «monouso» (cfr. Circolare Agenzia delle entrate n. 8/2018).

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Doppio vantaggio fiscale se il premio diventa pensione

Doppio vantaggio fiscale in caso di conversione del premio di risultato con contributi alle forme pensionistiche complementari.

Come evidenziato dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 5/E del 29 marzo 2018, la legge di Bilancio 2017 ha introdotto misure di particolare favore nelle ipotesi in cui il premio di risultato in denaro sia sostituito, su scelta del dipendente, con contributi da versarsi alla previdenza complementare.

Si premette che l’art. 8, commi 4 e 6, del Dlgs n. 252/2005 (“Disciplina delle forme pensionistiche complementari”) fissa una prima soglia di esenzione fiscale fino a 5.164,57 euro annui, nel senso che entro tale limite complessivo i versamenti eseguiti alla previdenza complementare non costituiscono reddito di lavoro dipendente, se effettuati dal datore di lavoro, mentre sono deducibili dal proprio reddito personale se eseguiti dal dipendente. Il valore di 5.164,57 è peraltro incrementato a euro 7.746,86, limitatamente ai primi cinque anni di contribuzione, per i lavoratori di prima occupazione dal 1.1.1996.

Ebbene, il primo vantaggio della conversione del premio di risultato con contributi alle forme pensionistiche complementari è che, in detta ipotesi, questi ultimi non concorrono al raggiungimento della soglia dei 5.164,57 euro annui. In altre parole, sono “neutri” ai fini del limite di esenzione fiscale.

In definitiva, posto che l’entità massima di premio di risultato “welfarerizzabile” è pari a 3.000,00 euro annui (che possono arrivare a 4.000,00 a certe particolari condizioni), il dipendente può arrivare a godere di una soglia di esenzione di imposta fino a 8.164,57 euro, cioè 5.164,57 + 3.000,00 (oppure 9.164,57, cioè 5.164,57 + 4.000,00).

Il secondo vantaggio, notevolissimo, è che i contributi versati “in conversione” alla previdenza complementare conservano l’esenzione fiscale anche della relativa prestazione pensionistica. Infatti la legge di Bilancio 2017, disponendo una deroga al principio generale che prevede l’imponibilità delle prestazioni pensionistiche complementari per il loro ammontare complessivo al netto dei contributi non dedotti, prevede espressamente che i contributi versati in sostituzione dei premi di risultato siano comunque dedotti dalla base imponibile pensionistica, come se “a monte” avessero costituito reddito di lavoro dipendente (se versati dal datore di lavoro) o fossero stati indeducibili dal reddito personale (se versati dal dipendente).

Analogo beneficio si applica in caso di erogazione di anticipazioni o di riscatto della quota maturata nella previdenza complementare.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Focus Rapporto 2018 – Giovani, formazione, sostegno alla mobilità sociale

Al primo posto tra le priorità indicate dalle imprese per lo sviluppo del welfare aziendale c’è la formazione ai dipendenti: di tipo specialistico o avanzato ma anche relativo a competenze non direttamente necessarie alle attuali mansioni professionali.

Se alla formazione aggiungiamo il contributo all’istruzione dei familiari, il 46,7% delle PMI indica la macro area dell’educazione come la priorità su cui investire nei prossimi anni. Nel 2018 sono già il 38% le imprese con almeno un’iniziativa in quest’area, il 5% in più rispetto al 2016, e il 10,9% di esse afferma di aver lanciato o potenziato le misure nell’ultimo anno.

Le PMI stanno quindi acquisendo consapevolezza del ruolo che esse assumono in un mercato del lavoro in cui le professioni e le competenze richieste cambiano velocemente in cui l’occupazione è frutto della capacità di sostenere con la formazione la mobilità delle risorse.

Le misure attuate dalle aziende nell’area della formazione e del sostegno alla mobilità riguardano:
• la formazione specialistica professionale;
• la formazione extra professionale;
• il sostegno all’istruzione dei figli e dei familiari.

La formazione professionale, escludendo da questo ambito quella obbligatoria, viene attuata dal 36,6% delle aziende, con una crescita di due punti percentuali all’anno (figura 60). Molto rilevante la crescita della formazione specialistica avanzata, dal 29% del 2016 all’attuale 34,6%. Il 17% delle imprese offrono anche convegni su temi specifici e giornate studio.

Cresce anche la formazione linguistica ai dipendenti, pur se diffusa solamente nel 6,5% delle aziende.

Molto limitata ma in crescita l’area della formazione extra professionale, che riguarda il 3,6% delle PMI (figura 61). Abbiamo incluso in quest’area le iniziative di formazione avanzata per i talenti come i master e business school, aumentate in due anni dall’1,1% all’1,6%.

Inoltre i corsi di cultura generale e artistica (1,1%), le borse di studio (1%), i viaggi di studio all’estero (0,6%). La relazione molto stretta che sussiste tra educazione ed occupazione giovanile è illustrata dai dati che esponiamo nelle figure 62 e 63: tra i grandi paesi europei, l’Italia ha i livelli più bassi di istruzione universitaria e inoltre, concentrando l’attenzione sulla popolazione tra 15 e 34 anni, ha una quota molto più elevata di esclusi dal lavoro e dall’istruzione: i NEET, Not in Education Employment or Training sono il 26%, contro il 10,5% della Germania, il 13% del Regno Unito, il 15,7% della Francia.

In questo contesto di gravissimo svantaggio competitivo del nostro paese le imprese hanno una duplice opportunità: quella di aiutare le famiglie nella istruzione dei figli, allo scopo di raggiungere gli standard europei di completamento del percorso di studi sino al livello universitario e post universitario, e quella di erogare ai lavoratori, e soprattutto ai giovani, la formazione necessaria a qualificarli per sostenerne la mobilità professionale.

Osserviamo quindi, con riferimento alla figura 64, il livello delle iniziative di welfare aziendale per il sostegno all’istruzione dei figli e dei familiari.

Il tasso di iniziativa delle PMI è ancora molto limitato (2,7%) ma in forte crescita: era l’1% due anni fa. La gamma delle iniziative è molto ampia: comprende il rimborso delle rette a tutti i livelli, dagli asili ai corsi post universitari; delle altre spese per l’istruzione, dai libri e gli strumenti tecnici alle mense, dai trasporti e gli alloggi ai viaggi di studio; comprende inoltre riconoscimenti al merito come borse di studio e altri premi, e inoltre servizi di orientamento formativo e professionale.

Ciò che colpisce, in un welfare aziendale che in molte aree è ancora allo stato nascente, è il posizionamento delle iniziative delle imprese sui temi cruciali per l’evoluzione del nostro paese.
In questo caso si tratta della questione decisiva per il futuro delle giovani generazioni: la capacità di sostenere la mobilità sociale attraverso l’educazione e la formazione.

Scarica il Rapporto 2018 qui