Chi più gratifica più guadagna. Il 35,6% (in crescita) delle PMI aumenta la produttività grazie al welfare.
Il terzo Rapporto Welfare Index PMI su L’Economia de Il Corriere al 25 giugno 2018.
Chi più gratifica più guadagna. Il 35,6% (in crescita) delle PMI aumenta la produttività grazie al welfare.
Il terzo Rapporto Welfare Index PMI su L’Economia de Il Corriere al 25 giugno 2018.
Attraverso l’impiego delle risorse agricole, i soggetti dell’agricoltura sociale operano in una vasta gamma di iniziative per favorire l’inclusione sociale e per supportare il benessere fisico, mentale e sociale delle persone, in particolare quelle svantaggiate. Le aree di intervento sono essenzialmente quattro:
▸l’inserimento lavorativo di persone in condizione di fragilità: sono attive in quest’area il 76,2% delle organizzazioni intervistate;
▸ l’area educativa e ricreativa (57,1%): progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare, salvaguardia della biodiversità e del territorio, gestione di fattorie sociali e didattiche;
▸ l’area socio-assistenziale (57,1%): prestazioni e attività finalizzate allo sviluppo di abilità e all’inclusione sociale;
▸ l’area socio-sanitaria (47,6%): prestazioni che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative con l’obiettivo di migliorare le condizioni di salute e le funzioni sociali, emotive e cognitive dei soggetti interessati.
Il 33,3% delle organizzazioni intervistate operano su tutte e quattro le aree, il 21,4% su tre e il restante 45,2% su una o due. Le attività specifiche dell’agricoltura sociale sono molteplici, come mostrato dalla figura 66: attività diurne e formazione per persone in situazione di disagio e fragilità, co-terapia, educazione ambientale, fattorie didattiche per bambini e adolescenti, centri estivi e via dicendo.
L’inclusione lavorativa riguarda una molteplicità di profili di persone svantaggiate: disabili fisici e mentali (39,5% delle organizzazioni intervistate), minori e giovani in situazione di disagio (25,6%), disoccupati di lungo corso (20,9%), ex detenuti (16,3%). Inoltre viene offerto supporto ad ex tossicodipendenti e alcoldipendenti, anziani in situazioni di fragilità, vittime di tratte e abusi. L’obiettivo dell’agricoltura sociale è contribuire, attraverso il lavoro, al benessere, alla realizzazione individuale e all’integrazione sociale di queste persone.
L’agricoltura sociale si distingue anche per l’accoglienza nei confronti degli immigrati. Il 34,9% dei partecipanti impiegano lavoratori extracomunitari, di cui spesso aiutano l’integrazione con attività di supporto: accoglienza residenziale e ricerca di alloggi; formazione linguistica, mediazione culturale, supporto e indirizzo per le pratiche burocratiche.
Le organizzazioni dell’agricoltura sociale vantano uno stretto legame con il territorio e la propria comunità locale. Il 69,0% di loro contribuiscono ad eventi ricreativi e culturali, il 54,8% offrono il proprio aiuto ad iniziative di volontariato, il 50,0% contribuiscono alle attività di centri ricreativi e culturali.
Clicca qui per leggere il Rapporto 2018 di Welfare Index PMI.
Sulla base della Legge di Bilancio per il 2017 (Legge 11 dicembre 2016, n. 232) il dipendente può chiedere al datore di lavoro di convertire il premio di risultato anche con l’utilizzo di veicoli aziendali, mutui, fabbricati in uso o comodato e viaggi gratuiti nel settore ferroviario, in luogo dei cd “servizi sociali” (dall’istruzione alla ricreazione, dall’assistenza sanitaria a quella sociale, dalla cura dei figli all’assistenza agli anziani) e dei servizi generici di importo non superiore nel periodo d’imposta a euro 258,23. Ciò a condizione che la cd “welfarizzazione” sia espressamente prevista nel contratto collettivo territoriale o aziendale istitutivo del premio di risultato.
Dopo aver chiarito che, in caso di conversione, i predetti beni e servizi concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente sulla base degli imponibili convenzionali agevolati previsti dallo stesso comma 4 dell’art. 51, anziché sulla base del loro “valore normale”, la circolare n. 5/E approfondisce ogni singola fattispecie di welfarizzazione con esempi numerici. Vediamo i primi due, certamente quelli più ricorrenti.
Per quanto riguarda l’autovettura aziendale a uso promiscuo, partendo da un premio di risultato spettante di 3.000,00 euro e da un valore convenzionale annuale dell’autovettura aziendale di 1.885,50 euro, calcolato sulla base delle tabelle ACI, il lavoratore ha a disposizione la residua differenza di 1.114,50 euro che può incassare o convertire in altri benefits.
Nel caso invece del pagamento degli interessi sul mutuo contratto dal dipendente, l’esempio numerico fornito dall’Agenzia è il seguente:
▸Premio di risultato agevolabile € 3.000
▸Interessi dovuti dal dipendente in base al contratto di mutuo € 4.000
▸Interessi calcolati al tasso ufficiale di sconto € 2.000
▸Interessi rimasti a carico del dipendente dopo la conversione del premio € 1.000 (€ 4.000 – € 3.000)
▸Base imponibile del benefit € 500 (€ 2.000 – € 1.000 = € 1.000 * 50%)
▸Base imponibile da assoggettare ad imposta sostitutiva o, a scelta del lavoratore, a tassazione ordinaria ovvero sostituita con gli altri benefit, € 2.500 (€ 3.000-€ 500).
Tuttavia, contrariamente alle conclusioni dell’Agenzia, il premio residuo da assoggettare ad imposta sostitutiva o, a scelta del lavoratore, a tassazione ordinaria ovvero sostituita con gli altri benefit, è pari a zero (€ 3.000 – € 3.000).
Nel secondo esempio numerico, infatti, la sostituzione del premio di risultato avviene con “somme” e non con “beni e servizi” come nel caso dell’autovettura aziendale. Nel primo esempio valore del benefit e base imponibile contributiva e fiscale coincidono, nel secondo no.
Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP
Nel documento di prassi viene innanzitutto trattata la conversione dei premio di risultato con beni e servizi di cui all’art. 51, comma 4, introdotta dalla legge di Bilancio 2017: in sostituzione del premio in denaro è possibile ora accedere anche all’uso dell’auto aziendale, alla concessione di prestiti da parte del datore di lavoro, alla messa a disposizione del dipendente dell’alloggio e alla concessione gratuita di viaggi ai dipendenti del settore ferroviario, con la precisazione che i suddetti benefit concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente sulla base dei valori convenzionali agevolati previsti dallo stesso comma 4.
L’Agenzia si sofferma inoltre sulla conversione del premio di risultato con contributi alla forme pensionistiche complementari, nonché con quelli di assistenza sanitaria versati a Enti o Casse aventi esclusivamente fine assistenziale, sottolineando – in entrambi i casi – che i versamenti dei contributi “in conversione” non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente anche se eccedono gli importi-soglia rispettivamente di 5.164,57 e di 3.615,20 euro.
Spiegazioni vengono ancora fornite sulle coperture assicurative del rischio di non autosufficienza e/o di del rischio di gravi patologie che dal 1.1.2017 non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente. Prima di tale data infatti, l’esclusione dal reddito era consentita solo qualora l’importo del premio riferibile a ciascun dipendente non superava la soglia di euro 258,23 fissata dal comma 3 dell’art. 51 del TUIR, in concorso però con altri beni e servizi offerti dal datore di lavoro.
Nell’analizzare la novità dei benefit erogati in base ai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, l’Agenzia delle Entrate coglie poi l’occasione di equiparare le somme e i valori disciplinati dalle lettere f-bis, f-ter, f-quater del comma 2 dell’art. 51 a quelli della lettera f. Una interpretazione non da poco, considerando che ora anche questi benefit devono essere disciplinati da regolamento aziendale negoziale oppure da accordo o contratto collettivo affinché al datore di lavoro sia consentito dedurre integralmente la relativa spesa dal reddito d’impresa e non limitatamente al 5 per mille delle spese per prestazioni di lavoro dipendente (art. 100, 1° comma, TUIR).
A seguire viene commentato il nuovo benefit in vigore dal 1.1.2018, cioè l’erogazione o il rimborso di somme effettuato dal datore di lavoro per l’acquisto degli abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale e interregionale, che certamente è da annoverare tra quelli più diffusi e di maggior impatto.
Chiarimenti anche sul tempo di percezione e quindi di rilevanza reddituale dei benefit sostitutivi dei premi di risultato erogati mediante voucher, che coincide con il momento in cui detti benefit entrano nella disponibilità del dipendente, a prescindere dalla circostanza che il servizio venga fruito in un momento successivo; sulla rilevanza reddituale dei contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro, qualora le casse sanitarie non operino rispettando i principi di mutualità; infine, sulla rimborsabilità delle spese sostenute dal dipendente anche nel periodo di imposta successivo.
Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP
Tre anni fa nasceva su iniziativa di Generali Italia e con la partecipazione delle maggiori Confederazioni Welfare Index PMI. Qual era l’idea alla base?
Generali Italia da sempre ritiene che l’adozione di politiche di welfare in favore dei propri dipendenti aumenti la capacità dell’azienda di attrarre talenti e fidelizzare le risorse contribuendo, nel lungo periodo, ad aumentare la produttività. Per le nostre 8.000 persone abbiamo infatti adottato un programma di welfare aziendale tra i più avanzati del mercato per completezza, capillarità e innovazione, offrendo più di 70 attività che coprono tutte le 12 aree di welfare identificate da Welfare Index PMI.
Dunque l’esperienza diretta come azienda e la conoscenza del mercato del welfare aziendale, ci hanno portato a chiederci: quanto il welfare aziendale fosse diffuso nel nostro Paese e quanto le piccole medie imprese fossero consapevoli dell’importanza del welfare e dei benefici che porta ai dipendenti. Per rispondere a questi interrogativi è nata l’idea di Welfare Index PMI, una ricerca per misurare il livello di welfare aziendale nelle PMI italiane, che oggi rappresenta la mappatura più completa della diffusione del welfare aziendale in Italia: in questi tre anni abbiamo intervistato 10 mila PMI di tutti i settori produttivi e ascoltato le loro storie di welfare. Ognuna di queste imprese rappresenta un microcosmo con dinamiche ed esigenze particolari, per il tipo di produzione, per specificità del territorio, per tipologia di orari, ecc. che necessitano di risposte su misura. Le PMI occupano l’80% della forza lavoro del Paese e l’idea alla base del Rapporto Welfare Index PMI è che diffondere la cultura del welfare aziendale, in questo tessuto produttivo, può essere volano di sviluppo e cambiamento.
Giunti al terzo anno qual è il bilancio dell’iniziativa Welfare Index PMI e quali sono le novità più importanti emerse dal Rapporto 2018?
Il welfare aziendale nel nostro Paese sta crescendo: migliora il benessere dei dipendenti, aumenta la produttività delle imprese e, di conseguenza, fa bene al Paese. È quanto emerge dal Rapporto 2018, che ha analizzato il welfare aziendale di 4014 PMI.
Crescono sensibilmente le aziende attive nel welfare. In particolare, sono raddoppiate le aziende molto attive, a dimostrazione di una maggiore consapevolezza del loro ruolo sociale. Inoltre, un altro aspetto fondamentale che emerge dal Rapporto 2018 è che le imprese che già hanno attivato piani di welfare, alla luce dei buoni risultati ottenuti, hanno aumentato gli investimenti in questo settore.
Anche se le grandi aziende risultano avvantaggiate in termini di maggiori risorse e maggiore massa critica che permette di essere più efficienti nella gestione delle iniziative, in realtà a registrare un maggior aumento del welfare aziendale sono state proprio le PMI, grazie anche alla diffusione della conoscenza in termini di normative e vantaggi fiscali e alla capacità di associarsi per usare servizi comuni, i due fattori chiave per il successo del welfare aziendale.
Come fa Generali a conoscere i bisogni reali dei territori in cui opera?
Indubbiamente l’innovazione tecnologica sta cambiando il nostro business. Tuttavia l’assicurazione continua e continuerà anche in futuro a fondarsi sulla relazione di fiducia tra persone. Per questo la nostra rete distributiva, capillare sul territorio, rimane fondamentale anche per il futuro per anticipare i bisogni e offrire soluzioni su misura, seguendo i clienti nelle diverse fasi ed esigenze della loro vita.
Per Generali Italia qual è e quale sarà il ruolo del welfare aziendale?
Il welfare aziendale è destinato a crescere. Nei prossimi 3-5 anni il 52,7% delle PMI si propone un’ulteriore crescita in almeno 3 aree strategiche: Salute e Assistenza, Conciliazione Vita e Lavoro, Giovani, formazione e sostegno alla mobilità sociale.
Per Generali Italia il welfare aziendale è parte integrante del business assicurativo ed è una leva strategica che tutte le imprese possono sviluppare tramite iniziative a favore dei dipendenti. La Compagnia ha iniziato a sperimentare in prima persona l’importanza di queste iniziative e ha quindi deciso di offrire anche ad altre imprese la propria esperienza. Con questo obiettivo è nata Generali Welion, una realtà ad hoc attraverso la quale offriamo consulenza e servizi di gestione su tutte le iniziative di welfare integrato e soluzioni all’avanguardia nel mondo della salute individuale e del welfare aziendale, un settore in cui investiremo nei prossimi anni fino a 50 milioni di euro per migliorare la qualità e l’accessibilità dei servizi.
Che cosa significa innovazione per Generali?
Innovare è il nostro obiettivo. Non sto parlando solo in termini di innovazione tecnologica o digitale, ma soprattutto nella capacità di identificare esigenze e bisogni emergenti, fornendo risposte nuove e su misura che possano migliorare da un lato la relazione con i nostri clienti ma anche il benessere dei dipendenti. In un contesto economico e sociale in costante cambiamento, è necessario ripensare agli orari di lavoro e alla flessibilità organizzativa, garantire coperture sanitarie aggiuntive e check-up di prevenzione, risolvere le commissioni quotidiane dei dipendenti grazie ad esempio ad un “maggiordomo” aziendale. Soluzioni supportate anche dalle opportunità offerte dalla tecnologia più innovativa. L’innovazione riguarda anche i dipendenti, con la necessità che siano in formazione continua, sicuri nei luoghi di lavoro, in equilibrio tra vita privata e lavoro.
Welfare aziendale e crescita sostenibile. Cosa ne pensa?
La crescita sostenibile del Paese e delle imprese passa attraverso la consapevolezza da parte delle aziende del proprio ruolo sociale. Per noi sostenibilità nel business significa creare valore condiviso per tutti gli stakeholder e siamo convinti che le aziende così concepite abbiano maggiori possibilità di sviluppo e di crescita.
In altre parole, oggi ha ancora senso per le imprese investire nel territorio che può costituire un vantaggio competitivo, investendo sulle sue molteplici dimensioni: scuola, salute, formazione e ovviamente welfare aziendale.
Secondo lei, è il welfare che fa andare bene le imprese o sono quelle che vanno già bene che possono permettersi di fare welfare?
È una questione di mentalità: gli imprenditori che stanno affrontando le sfide del mercato globale in maniera positiva sono gli stessi che hanno saputo cogliere il vantaggio competitivo del welfare aziendale. C’è infatti una stretta correlazione tra il miglioramento del benessere, la soddisfazione dei lavoratori e la crescita della produzione aziendale. Si tratta di un circolo virtuoso: le aziende che investono di più in welfare sono anche le più innovative e crescono molto più velocemente della media, trascinando la crescita generale delle imprese. Tutto ciò è positivo: significa che le imprese che si sono dotate di una politica sistematica di welfare aziendale, dopo averne sperimentato i risultati, si sentono incoraggiate a incrementare ulteriormente le iniziative e gli investimenti.
Di seguito potete scaricare la rassegna stampa di Welfare Index PMI aggiornata al 16 aprile 2017
• La soddisfazione dei dipendenti e il clima aziendale, con il 42,1%, sono il primo obiettivo delle imprese nelle scelte di welfare
• Il 63,5% delle aziende molto attive afferma che le azioni di welfare aumentano la propria produttività
• Salute e assistenza; conciliazione vita e lavoro; giovani, formazione e sostegno alla mobiltità sociale: sono le tre priorità indicate dagli imprenditori per i prossimi 3-5 anni
• Per lo sviluppo futuro del welfare aziendale sono necessarie più informazione e alleanze tra imprese
“Il welfare fa crescere le imprese e fa bene al Paese – dichiara Marco Sesana, Country Manager e Amministratore Delegato di Generali Italia – Questo è quanto emerge dall’ascolto degli oltre 4 mila imprenditori italiani intervistati e dal crescente impegno delle Pmi nelle iniziative di welfare. Il benessere dei dipendenti e l’aumento della produttività sono i risultati che l’imprenditore oggi dichiara con il suo impegno nel welfare aziendale. Noi continueremo a sostenere, insieme alle confederazioni, la diffusione della cultura del welfare nelle piccole medie imprese con Welfare Index PMI, ma anche con le nostre competenze e la nostra innovazione in ambito assicurativo”.
Dipendenti più felici sul luogo di lavoro grazie all’esperto family friendly, ma anche mamme contente di mantenere lo stipendio al 100% durante la maternità. C’è poi chi propone check up sanitari gratuiti e benefit salute e, ancora, chi ha introdotto l’università in azienda per la formazione dei giovani dipendenti. Il welfare aziendale migliora il benessere dei dipendenti e aumenta la produttività delle imprese.
È quanto emerge dal Rapporto 2018 – Welfare Index PMI, promosso da Generali Italia con la partecipazione delle maggiori confederazioni italiane (Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato e Confprofessioni), che per il terzo anno ha analizzato il livello di welfare in 4.014 piccole medie imprese italiane (circa il doppio rispetto al 2016) superando nei tre anni le 10 mila interviste.
Welfare Index PMI ha monitorato le iniziative delle imprese in dodici aree: previdenza integrativa, sanità integrativa, servizi di assistenza, polizze assicurative, conciliazione vita-lavoro, sostegno economico, formazione, sostegno all’istruzione di figli e familiari, cultura e tempo libero, sostegno ai soggetti deboli, sicurezza e prevenzione, welfare allargato al territorio e alle comunità.
Il Rapporto 2018 mette in evidenza una stretta correlazione tra il miglioramento del benessere, la soddisfazione dei lavoratori e la crescita della produzione aziendale: questi fattori secondo il 42,1% delle imprese, sono il principale obiettivo nelle scelte di welfare. Il 35,6% delle imprese intervistate dichiara, infatti, di aver aumentato la propria produttività come conseguenza di una maggiore soddisfazione dei lavoratori. Questo vale ancor di più per le aziende molto attive nel welfare: il 63,5% conferma di aver ottenuto un incremento produttivo. Nei prossimi 3-5 anni, il 52,7% delle Pmi si propone un’ulteriore crescita del welfare aziendale, in particolare negli ambiti di: salute e assistenza; conciliazione vita e lavoro; giovani, formazione e mobilità sociale.
Le piccole medie imprese sono oggi sempre più protagoniste del cambiamento sociale e crescono sensibilmente le aziende attive nel welfare – cioè quelle che avevano avviato piani di welfare aziendale anche negli anni precedenti – in almeno 4 delle 12 aree: erano il 25,5% nel 2016, oggi sono il 41,2%. In particolare, sono raddoppiate le aziende molto attive (in almeno 6 aree) dal 7,2% del 2016 al 14,3% quest’anno, a dimostrazione di una maggiore consapevolezza del loro ruolo sociale.
Lo studio sullo stato del welfare nelle piccole medie imprese italiane è stato presentato oggi al Salone delle Fontane all’Eur, a Roma, a una platea di imprenditori, rappresentanti delle istituzioni, docenti, ed è stato commentato da Giuliano Poletti, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali; da Marco Sesana, Country Manager e Amministratore Delegato di Generali Italia; Carlo Robiglio, Presidente della Piccola Industria di Confindustria; Massimiliano Giansanti, Presidente di Confagricoltura; Cesare Fumagalli, Segretario Generale di Confartigianato Imprese; Gaetano Stella, Presidente di Confprofessioni.
NEI PROSSIMI 3-5 ANNI PER GLI IMPRENDITORI LE PRIORITÀ SONO: SALUTE E ASSISTENZA; CONCILIAZIONE VITA E LAVORO; GIOVANI, FORMAZIONE E SOSTEGNO ALLA MOBILITÀ SOCIALE
Dal Rapporto Welfare Index PMI 2018 emergono tre priorità per il Paese e per le imprese che possono trovare soluzione grazie al welfare aziendale: salute e assistenza, conciliazione vita e lavoro, giovani, formazione e sostegno alla mobilità sociale.
1. La salute e l’assistenza
La ricerca 2018 evidenzia che il 42% delle imprese attua almeno un’iniziativa nella macro area della salute e assistenza; era il 32,2% nel 2016.
Un terzo delle imprese considera prioritario investire nei prossimi 3-5 anni nella sanità e nell’assistenza a beneficio dei dipendenti e dei loro familiari, garantendo attraverso il welfare aziendale l’accesso alle cure e ai servizi di prevenzione e sostenendo le famiglie con servizi di assistenza per gli anziani e per le persone non autosufficienti.
2. La conciliazione vita e lavoro
È in corso un cambiamento organizzativo nelle aziende che comporta la rottura delle barriere tradizionali tra luoghi e tempi del lavoro e quelli della vita familiare. Le imprese che attuano misure di flessibilità sono più che raddoppiate negli ultimi due anni, passando dal 16,1% al 34,3%, un esempio è lo smart working, che può avere rilevanti impatti sia sulla produttività sia sul benessere delle persone, favorendo anche l’occupazione femminile.
3. I giovani, la formazione e il sostegno alla mobilità sociale
Al primo posto tra le priorità indicate dalle imprese per lo sviluppo del welfare aziendale c’è la formazione ai dipendenti: non solo la formazione specialistica ma anche l’acquisizione di competenze non direttamente necessarie alle mansioni professionali. Nel 2018 sono già il 38% le imprese con almeno un’iniziativa in quest’area.
Per il secondo anno Welfare Index PMI ha attribuito il Rating Welfare Index PMI 2018, uno strumento che permette alle imprese di comunicare il proprio livello di welfare in modo più semplice e immediato, facendo diventare il welfare aziendale un vantaggio competitivo, oltre che a stimolare un percorso di crescita.
Tutte le imprese partecipanti all’indagine sono state classificate con un valore crescente da 1W a 5W, sulla base dell’ampiezza e del contenuto delle iniziative, dell’originalità e delle politiche di welfare.
5W – Welfare Champion (ampiezza molto rilevante, almeno 8 aree, intensità elevate)
4W – Welfare Leader (ampiezza rilevante, almeno 6 aree, discreta intensità)
3W – Welfare Promoter (ampiezza superiore alla media, almeno 5 aree, più di una iniziativa per area)
2W – Welfare Supporter (ampiezza media, attive in almeno 3/4 aree)
1W – Welfare Accredited (welfare in fase iniziale, attive in meno di 3 aree)
Nel 2018 le imprese Welfare Champion, che hanno ottenuto perciò le 5 W del rating Welfare Index PMI, sono salite a 38 (erano 22 lo scorso anno). Si tratta delle realtà caratterizzate dal sistema di welfare più ampio (per numero di aree attivate) e che si contraddistinguono per numerosità e intensità delle iniziative, grado di coinvolgimento dei lavoratori e impegno economico e organizzativo nel welfare aziendale.
Durante l’evento, patrocinato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, sono state poi premiate le 3 migliori aziende per ognuno dei 6 settori produttivi, che si sono distinte per le iniziative di welfare aziendale messe in campo.
Per l’INDUSTRIA, la caratteristica delle azioni di welfare è stata la pianificazione e ampiezza delle soluzioni (accordi integrativi, sistemi di flexible benefit e una fruizione personalizzata dei servizi). I premiati:
1. Co.Mac Srl di Bonate Sotto (BG) – “Operazione Salva Tempo”
2. B+B International Srl di Montebelluna (TV) – “Solo il bello della maternità con Fiocchi in B+B”
3. Colorificio San Marco Spa di Marcon (VE) – “Il welfare che funziona come l’home banking”
Per il COMMERCIO E I SERVIZI, le iniziative di attenzione al territorio, l’impegno ad aggregare le comunità e a sostenere le imprese più deboli:
1. Gruppo Società Gas Rimini Spa di Rimini – “Il facilitatore per le commissioni quotidiane”
2. Nep Srl di Pianiga (VE) – “Più felici in azienda grazie all’esperto”
3. SAVE Spa di Tessera (VE) – “Il benessere organizzativo è attenzione ai dipendenti”.
Per l’AGRICOLTURA, le iniziative di attenzione al territorio, l’impegno ad aggregare le comunità e a sostenere le imprese più deboli. I premiati:
1. Natura Iblea Srl di Ispica (RG) – “L’integrazione passa per lo studio”
2. Azienda Agricola Fungar Snc di Coriano (RN) – “Il mediatore che traduce i bisogni in welfare”
3. Peverelli Srl di Fino Mornasco (CO) – “Sicuri al lavoro, in salute a casa”.
Per l’ARTIGIANATO, i progetti per la tutela della sicurezza e del benessere dei dipendenti, come fattore di successo. I premiati:
1. Siropack Italia Srl di Cesenatico (FC) – “L’università entra in azienda”
2. Effebi arredamenti di Bellasio Pierino & C. Snc di Cantù (CO) – “Check up gratuito e Benefit Salute”
3. Equilibrio e Benessere Srl di Villa Poma (MN) – “La formazione continua è la formula del successo”.
Nella categoria STUDI E SERVIZI PROFESSIONALI, per l’impegno nella cultura e nella formazione dei collaboratori e una flessibilità del lavoro a tutela delle dipendenti. Sono stati premiati:
1. Studio Sila Tommaso di Brescia – “Flessibilità: singolare femminile”
2. Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners di Roma – “Più tempo con i figli per mamme e papà”
3. Studio Aversano Piermassimo di Pistoia – “Il lavoro si adatta ai tempi di vita”.
Per il TERZO SETTORE sono stati premiati:
1. Spazio Aperto Servizi Scs Onlus di Milano – “Stipendio al 100% anche in maternità”
2. La Dua Valadda Scs di Pinerolo (TO) – “Il part time in aiuto alla famiglia”
3. La Nuvola Scs Impresa Sociale Onlus di Orzinuovi (BS) – “Mamme più serene con l’asilo nido in azienda”.
Inoltre, sono state assegnate quattro menzioni speciali:
Infine quest’anno è stato assegnato il Premio Speciale del Comitato Guida a Europea Microfusioni Aerospaziali Spa di Morra De Santis (AV), una fonderia di alta precisione, promotrice della creazione di una rete di imprese sul territorio per sviluppare in progetto di cooperazione produttiva e tecnologica, così da ridurre i costi operativi e mettere a fattor comune competenze tecniche e servizi: l’unione delle aziende fa la forza del welfare.
I partner dell’iniziativa
Generali Italia, la compagnia assicurativa del Gruppo Generali, è leader di mercato con la più grande e diversificata rete distributiva in Italia. Agli oltre 10 milioni di clienti, tra persone, famiglie e imprese, offre soluzioni assicurative vita, danni e previdenza, personalizzate in base ai bisogni degli assicurati. Con una raccolta premi complessiva di 23,4 miliardi di euro, Generali Italia è il primo polo assicurativo del Paese. In Italia, il Gruppo opera con Generali Italia, Alleanza Assicurazioni, Generali Welion, Genertel e Genertellife.
Confindustria è la principale associazione di rappresentanza delle imprese manifatturiere e di servizi in Italia, con una base, ad adesione volontaria, che conta oltre 150mila imprese di tutte le dimensioni, per un totale di 5.439.370 addetti. L’attività dell’associazione è di garantire la centralità dell’impresa, quale motore per lo sviluppo economico, sociale e civile del Paese. Confindustria rappresenta le imprese e i loro valori presso le Istituzioni, a tutti i livelli, per contribuire al benessere e al progresso della società. È in questa chiave che garantisce servizi sempre più diversificati, efficienti e moderni.
Confagricoltura è l’organizzazione di rappresentanza e tutela dell’impresa agricola italiana. Riconosce nell’imprenditore agricolo il protagonista della produzione e persegue lo sviluppo economico, tecnologico e sociale dell’agricoltura e delle imprese agricole. La presenza di Confagricoltura nel territorio nazionale si concretizza, in modo capillare, attraverso le Federazioni regionali (19), le Unioni provinciali (95), gli uffici di zona e le delegazioni comunali.
Confartigianato Imprese è la più grande rete europea di rappresentanza degli interessi e di erogazione di servizi all’artigianato e alle piccole imprese. Il Sistema Confartigianato opera in tutta Italia con una sede nazionale a Roma e 1.200 sedi territoriali che fanno capo a 118 Associazioni provinciali e a 20 Federazioni regionali. Confartigianato rappresenta le imprese appartenenti a decine di settori organizzate in 7 Aree di impresa, 12 Federazioni di categoria che, a loro volta, si articolano in 46 Associazioni di Mestiere.
Confprofessioni è la principale organizzazione di rappresentanza dei liberi professionisti in Italia. Fondata nel 1966 rappresenta e tutela gli interessi generali della categoria nel rapporto con le controparti negoziali e con le istituzioni politiche comunitarie nazionali e territoriali a tutti i livelli. Attraverso 20 delegazioni regionali, la Confederazione mira alla qualificazione e alla promozione delle attività intellettuali nel contesto economico e sociale. Firmataria del CCNL dei dipendenti degli Studi Professionali, raggruppa un sistema produttivo composto da oltre 1 milione e mezzo di liberi professionisti per un comparto di 4 milioni di operatori che formano il 12,5 % del Pil.
In collaborazione con
Innovation Team è la società di ricerca del Gruppo MBS Consulting. Aiuta le imprese nell’attuazione dell’innovazione e del cambiamento aziendale con la ricerca sociale e di mercato, le analisi tecniche e il supporto alle decisioni di management.
La redazione di Welfare Index PMI ha intervistato il Segretario Generale di Confartigianato Cesare Fumagalli che sottolinea: “Stare bene in azienda fa bene all’azienda: si migliora la produttività, si ottimizzano le risorse economiche, si incrementa quello spirito di squadra indispensabile ad affrontare le nuove sfide imposte dalla trasformazione del mercato”.
1) Quante imprese associate conta Confartigianato? Sono equamente distribuite su tutto il territorio o concentrate in alcune aree del Paese? Come insomma si presenta la fotografia delle imprese artigiane a inizio 2018?
I nostri 700mila imprenditori associati sono distribuiti nel Paese con una presenza capillare e rispecchiano il profondo e diffuso radicamento dell’artigianato in tutti territori. In generale nelle regioni del Nord Ovest sono attive 417mila imprese, mentre il Nord Est ne conta 312mila. In queste aree prevalgono le imprese manifatturiere con la maggiore propensione all’export.
Nel Centro Italia operano 268mila imprese e nel Mezzogiorno si attestano a 329mila. Il primato regionale per la maggiore concentrazione di imprese artigiane, 249mila, appartiene alla Lombardia, seguita da Veneto ed Emilia Romagna, con 129mila aziende.
2) Quali sono le caratteristiche, i bisogni specifici ed emergenti delle imprese artigiane?
L’artigianato contemporaneo è un mix di grande tradizione manifatturiera, innovazione tecnologica, capacità di intercettare le nuove tendenze dei mercati internazionali. L’arma vincente delle nostre aziende sta nel ‘saper fare a regola d’arte’, nella cura per i dettagli, nella creatività, nel gusto, nella capacità di personalizzare beni e servizi che soddisfano la domanda di consumatori che cercano la distintività, l’unicità, non l’omologazione.
Proprio sull’impresa ‘a valore artigiano’ bisogna puntare per ampliare e consolidare lo sviluppo, superando ostacoli, inefficienze, debolezze del contesto in cui operano gli imprenditori: dal fisco al credito, alla burocrazia, alla carenza di infrastrutture. Su questi e altri indicatori, l’Italia deve fare il salto di qualità per allinearsi agli sforzi compiuti dagli imprenditori.
3) Cosa può fare il welfare e quali sono state le novità dell’ultimo anno in materia di welfare aziendale per il vostro settore?
L’offerta pubblica dei servizi di welfare non riesce più, e ancor meno riuscirà in futuro, a dare risposte efficaci ai nuovi bisogni di cittadini, famiglie e imprese. Non è più solo questione di pensioni e sanità. La domanda pressante di servizi riguarda assistenza agli anziani, cura dei bambini, istruzione, formazione e aggiornamento professionale, conciliazione lavoro e famiglia per le donne, recupero del disagio sociale.
Per colmare questo gap, Confartigianato, nel 2017, ha lanciato il progetto per il Nuovo Welfare capace di diventare un’opportunità per il Paese, motore di crescita sociale e sviluppo economico. Condizione essenziale per realizzare il nuovo welfare è creare reti che connettano aziende, associazioni, organizzazioni sindacali, istituzioni pubbliche, soggetti del terzo settore, fornitori di servizi. Reti che condividano soluzioni, conoscenze, competenze, risorse, costi e rischi. Il nostro obiettivo consiste nell’aggregare i soggetti in grado di fornire i servizi richiesti dalle famiglie, assicurandone la qualità, inserirli in una proposta organica e offrirli a condizioni economicamente sostenibili per chi li eroga e a prezzi sopportabili per chi li richiede.
In concreto, il progetto di Confartigianato per il nuovo Sociale coinvolge numerose nostre Associazioni territoriali e, attraverso una piattaforma creata su misura per le micro e piccole imprese fornisce prestazioni in materia di salute, assistenza, conciliazione vita-lavoro, educazione ed istruzione, grazie al supporto di una rete di partner e soggetti del territorio. Si tratta di prestazioni estremamente personalizzate e mirate a soddisfare bisogni specifici.
4) Quali sono secondo lei gli ostacoli maggiori che frenano lo sviluppo del welfare nel nostro Paese e nell’artigianato in particolare?
il ciclo economico negativo dell’ultimo decennio ha frenato e spinto il welfare: i margini scarsissimi – spesso negativi – hanno impedito l’aumento dei salari , la paura e le insicurezze hanno fatto privilegiare ai lavoratori la copertura dei rischi, in primis quelli legati alla salute. Finora il welfare applicato nell’artigianato con piena soddisfazione per imprese e lavoratori è stato quello espresso dalla bilateralità, originato dalla contrattazione collettiva e, dunque, modellato su misura per le micro e piccole imprese. Riconosco che le più recenti normative in materia, oltre ad avere rafforzato gli incentivi alle imprese, hanno reso più agevole l’utilizzo del welfare sussidiario, ampliandone anche la gamma di interventi.
5) Quali sono i vantaggi concreti per un’impresa artigiana che abbia attivato un piano di welfare?
Stare bene in azienda fa bene all’azienda. Si migliora la produttività, si ottimizzano le risorse economiche, si incrementa quello spirito di squadra indispensabile ad affrontare le nuove sfide imposte dalla trasformazione del mercato. Tutto questo diventa ancora più importante nell’impresa artigiana dove il datore di lavoro opera gomito a gomito con i propri collaboratori e con loro condivide le medesime esigenze di welfare.
6) In che modo Confartigianato sostiene lo sviluppo del welfare nel proprio settore?
Abbiamo una lunga esperienza alle spalle: l’artigianato è stato il primo settore ad occuparsi del benessere dei propri dipendenti attraverso un welfare fondato sulla bilateralità. Mi riferisco al sistema degli Enti bilaterali, nato 30 anni fa ed espressione di una cultura condivisa tra le parti sociali per gestire le relazioni sindacali, il sostegno al reddito, la formazione, il mercato del lavoro, il welfare integrativo all’insegna della sussidiarietà, del mutualismo, del protagonismo delle parti sociali.
Insomma, coltiviamo da sempre relazioni sindacali di tipo partecipativo, promuovendo la cultura della collaborazione fra imprenditori e collaboratori che è alla base dell’affermazione di politiche aziendali di valorizzazione del welfare.
7) Qual è secondo lei l’utilità dell’iniziativa Welfare Index PMI?
Il meccanismo premiale sotteso a Welfare Index PMI fa scattare un sano spirito di emulazione e di competizione tra gli imprenditori. Il sistema di rating dei livelli di welfare è utile per stimolare e coinvolgere le PMI, pronte a mettersi in gioco ma spesso restie a pubblicizzare le proprie buone pratiche gestionali. Senza dimenticare l’importanza di portare il tema del welfare all’attenzione dell’opinione pubblica e dei decisori politici.
La redazione di Welfare Index PMI ha intervistato il Presidente di Confprofessioni Gaetano Stella che sottolinea: “Nell’offerta di servizi di welfare è importante che siano intercettati i bisogni reali dei propri collaboratori: negli studi professionali il 90% della popolazione dipendente è costituito da donne con età inferiore ai 40 anni, e quindi l’offerta è mirata soprattutto alla soddisfazione della conciliazione dei tempi vita-lavoro”.
1) Presidente Stella, come si presenta oggi la fotografia dei liberi professionisti in Italia?
Quello dei liberi professionisti è un mondo articolato e disomogeneo all’interno di ogni singola categoria professionale, con specificità sia territoriali che generazionali. In generale, come dimostrano i dati emersi dal “Rapporto 2017 sulle libere professioni in Italia” a cura dell’Osservatorio delle Libere Professioni di Confprofessioni, con poco meno di 1 milione 400 mila unità, l’aggregato dei liberi professionisti, nel 2016, costituiva oltre il 5% delle forze lavoro in Italia e il 25% del complesso del lavoro indipendente. In questi anni di crisi i liberi professionisti sono aumentati: l’Italia conta 17 liberi professionisti ogni mille abitanti, seconda solo ai Paesi Bassi (19 liberi professionisti per mille abitanti) ed è interessante osservare come il numero di liberi professionisti sia maggiore nelle regioni più ricche (come pure negli Stati europei con prodotto interno lordo più elevato) e che al loro interno crescono di più le professioni non tradizionali. Infine circa i due terzi dei liberi professionisti sono uomini, anche se sta crescendo il numero delle donne.
2) Quale invece la situazione degli studi professionali nel nostro Paese?
Nonostante le difficoltà degli ultimi anni, gli studi professionali rappresentano un importante bacino occupazionale. Tuttavia, il settore degli studi professionali soffre ancora oggi di un certo “nanismo”: la media degli occupati non raggiunge la media di tre lavoratori, anche perché finora ci sono state poche politiche governative mirate a favorire le aggregazioni tra professionisti che sarebbero, invece, utilissime per consentire una migliore organizzazione del lavoro all’interno dello studio e quindi una maggior competitività sul mercato.
3) Quali sono dal suo punto di vista le sfide che deve affrontare il suo settore nel prossimo futuro?
Per poter competere in un mercato sempre più globalizzato è necessario appunto stimolare le aggregazioni anche multidisciplinari tra liberi professionisti. La presenza di una pluralità di professionalità diverse all’interno di un singolo studio aumenterebbe naturalmente i servizi offerti, semplificando la vita delle imprese che avrebbero così un riferimento unico, per esempio, nella gestione degli adempimenti amministrativi, fiscali, legali o tecnici. Un hub di professionalità trasversali in grado di risolvere più questioni e intercettare nuove esigenze; pensiamo per esempio a figure nuove come “l’esperto del welfare” in grado di offrire una consulenza a 360 gradi, che potrebbe rappresentare una nuova professionalità molto richiesta nel prossimo futuro per dare alle imprese soluzioni di welfare su misura.
4) Quali sono secondo lei gli ostacoli maggiori che frenano lo sviluppo del welfare nel settore degli studi e servizi professionali?
Nel 2017 le iniziative di welfare contrattuale rivolte ai liberi professionisti, come ad esempio le sempre più numerose fattispecie di welfare offerte dalle casse previdenziali dei liberi professionisti o i servizi collettivi offerti dalla Cadiprof (la Cassa di assistenza sanitaria integrativa degli studi professionali) hanno registrato un notevole successo.
Tuttavia il welfare, quello di cui all’articolo 51 del TUIR, che consente ai datori di lavoro la detassazione dei servizi offerti ai propri dipendenti, è più agevole per le aziende dei settori produttivo o commerciale in quanto è più facile determinare l’indice di produttività, contrariamente a quello che si verifica in uno studio professionale. Per questo l’approccio al welfare da parte degli studi di più ridotte dimensioni è più limitato.
5) Quindi è più facile per i grandi studi offrire servizi di welfare?
Gli studi più strutturati possono individuare più facilmente meccanismi di calcolo per determinare l’indice della produttività e quindi offrire servizi di welfare ai propri lavoratori. Altrettanto importante è che siano intercettati i bisogni reali dei propri collaboratori; ricordiamo che il 90% della popolazione dipendente degli studi è costituito da donne con età inferiore ai 40 anni, e quindi l’offerta è mirata soprattutto alla soddisfazione della conciliazione dei tempi vita-lavoro, dello smart-working, al sostegno al reddito, a iniziative a supporto della maternità come la cura dei figli. Per i lavoratori giovani le iniziative legate alla prevenzione sono, in generale, molto apprezzate.
6) Qual è secondo lei l’utilità di iniziative come Welfare Index PMI?
Mettere insieme le eccellenze per migliorare il welfare e dare una spinta positiva per la sua diffusione è uno dei motivi principali per il quale abbiamo aderito. Siamo convinti che se aumenta il livello di soddisfazione del dipendente per il lavoro che svolge, aumenta di conseguenza anche la qualità stessa del lavoro. L’iniziativa promossa da Generali ha il grande merito di essere riuscita a creare un sistema che mette al centro la responsabilità sociale di un’impresa e, nello stesso tempo, dà vita ad un laboratorio di idee e di innovazione che premia il benessere delle persone.
1) Quante sono le PMI nel settore Agricoltura? Sono equamente distribuite su tutto il territorio o concentrate in alcune aree del Paese? Come si presenta, insomma, la fotografia dell’agricoltura all’inizio del 2018?
Complessivamente le PMI agricole sono 750mila distribuite su tutto il territorio italiano, ci sono differenze nelle dimensioni, con una media di circa 12 ettari, che piano piano si sta alzando, anche se siamo ancora lontani dalla media europea che si aggira intorno a 36 ettari. Il cosiddetto nanismo è una caratteristica strutturale del Paese, dovuto alla genesi ed alla evoluzione delle aziende stesse. Da segnalare anche la presenza di molte nicchie di produzione con alto valore aggiunto.
2) Quali sono le caratteristiche del vostro settore?
In particolare le piccole dimensioni delle imprese e la maggioranza di lavoratori a tempo determinato, caratteristica legata alla stagionalità del lavoro agricolo, condizionano molto il welfare. In generale inoltre, le strutture produttive agricole sono a carattere familiare e il welfare spesso è lasciato all’iniziativa personale del datore di lavoro. L’agricoltura ha una tradizione di welfare legata alle vecchie organizzazioni del lavoro, le cascine e le fattorie, che raccoglievano molto famiglie e avevano una propria organizzazione sociale.
3) Quali invece i bisogni emergenti?
Oggi la popolazione che abita in campagna si è molto ridotta e tra le esigenze più diffuse ad esempio: raggiungere il posto di lavoro o svolgere pratiche burocratiche visto che molti dei lavoratori del settore agricolo sono stranieri. Nelle imprese più strutturate si stanno organizzando servizi di welfare che vanno dall’asilo nido, alla cultura fino al tempo libero.
4) Quali sono state le novità dell’ultimo anno in materia di welfare aziendale per le PMI agricole?
Si è trattato soprattutto di novità che hanno legato il welfare a benefici fiscali e sarebbe importante per un ulteriore sviluppo del welfare la realizzazione di ulteriori normative che incentivino l’attivazione di servizi a supporto dei lavoratori, al di là dell’area fiscale. Ad esempio, potrebbe essere molto utile per il settore dell’agricoltura, data l’elevata presenza di lavoratori immigrati, che l’assistenza per le pratiche burocratiche fosse gestita assieme alle strutture pubbliche, onde evitare che tutti gli oneri ricadano sulle imprese agricole. Bisogna insomma coniugare il supporto fiscale con le iniziative degli enti locali, dialogo che fino ad ora è mancato.
5) Quali sono secondo lei gli ostacoli maggiori che frenano lo sviluppo del welfare nel nostro Paese e nel vostro settore in particolare?
Oggi l’ostacolo principale è rappresentato dall’assenza di servizi locali che possano supplire alle carenze di organizzazioni e imprese molto piccole nella gestione dei piani e dei servizi di welfare.
6) Quali sono secondo lei i vantaggi concreti per un’impresa che abbia attivato un piano di welfare? Può citare qualche esempio concreto di Buone pratiche?
Le imprese che hanno messo in moto servizi di welfare ci raccontano che il clima aziendale migliora e ne deriva una maggiore e migliore produttività, con una partecipazione del lavoratore alla “vita” dell’azienda. Tra i buoni esempi è recentissima la notizia di un’importante azienda agricola che ha scelto di coinvolgere tutti i suoi dipendenti in un’assicurazione sanitaria, che al di là della dimensione aziendale indica come si stia sviluppando una sensibilità rilevante sul tema del welfare.
7) In che modo sostenete lo sviluppo del welfare nelle piccole e media imprese?
Confagricoltura cerca innanzitutto di estendere il welfare ad un numero sempre maggiore di PMI e per farlo siamo impegnati a conoscere e capire le esigenze specifiche delle imprese sul territorio, toccando con mano i loro bisogni. Il supporto al tema del welfare ci ha portato a rinsaldare le relazioni territoriali che altrimenti si sarebbe rischiato di perdere, rimettendo al centro la dimensione umana.
8) Qual è secondo lei l’utilità dell’iniziativa Welfare Index PMI a cui partecipate fin dalla prima edizione?
Partecipiamo con convinzione all’iniziativa Welfare Index PMI fin dalla prima edizione che ha la caratteristica fondamentale di ampliare il tasso di sensibilità su un tema delicato e importante come il welfare aziendale. Inoltre, ogni anno il Rapporto ci restituisce la fotografia dello sviluppo reale del welfare nel nostro Paese con una visione intersettoriale che include tutti i principali settori produttivi e dai dati che emergono registriamo che c’è ancora tanto lavoro da fare per diffondere la conoscenza degli strumenti e delle opportunità legate al welfare.