Il “welfare bilaterale” non costituisce reddito

Non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente le prestazioni welfare finanziate da un Ente bilaterale (cd. “welfare bilaterale”) e corrisposte ai dipendenti dal datore di lavoro.

È quanto chiarito dalla risposta a interpello n. 24 del 4 ottobre 2018 dell’Agenzia delle Entrate.
Ma andiamo con ordine. Nella prassi si definisce welfare bilaterale quello sviluppato dalla contrattazione collettiva a qualsiasi livello. La sua specificità non si esaurisce nella fonte contrattuale, ma si caratterizza per la costruzione di un sistema strutturato di enti e fondi bilaterali che erogano i servizi e le prestazioni negoziati.

Le funzioni degli Enti bilaterali sono molteplici: dalle conciliazioni nelle liti di lavoro, agli incentivi per le imprese, al sostegno del reddito per i lavoratori, alla formazione professionale. L’iscrizione all’Ente bilaterale è obbligatoria solo da parte dei datori di lavoro che formalmente aderiscono a un’associazione firmataria del CCNL da loro applicato.

Le Aziende non aderenti, invece, qualora decidano di non iscriversi all’Ente bilaterale, sono di solito obbligate a corrispondere mensilmente in busta paga ai lavoratori una somma in denaro a carattere sostituivo. Con istanza di interpello, un datore di lavoro società di capitali ha chiesto all’Agenzia delle Entrate il corretto trattamento fiscale da applicare alle somme erogate ai lavoratori dall’Ente bilaterale per il proprio tramite.

Lo statuto dell’ente, che il datore di lavoro finanzia versando una contribuzione integralmente a proprio carico, prevede l’erogazione ai dipendenti di somme a sostegno del reddito, finalizzate a integrare il loro reddito nell’ambito dell’assistenza per casi specifici, quali il premio per la nascita del figlio, il contributo malattia o per infortunio, l’iscrizione al nido/materna, alla scuola secondaria di primo grado e permesso per legge n.104 del 1992. Dette somme sono corrisposte dall’ente bilaterale al datore di lavoro, che si fa carico di corrisponderle ai dipendenti in busta paga.

Con la risposta a interpello n. 24 l’Agenzia chiarisce che le somme erogate da tali enti devono essere soggette a tassazione solo qualora rientrino tra le categorie reddituali indicate nell’art. 6 del TUIR, in particolare se i redditi percepiti risultino in sostituzione di quelli rientranti in una delle suddette categorie. In particolare le prestazioni consistenti in indennità volte a sostituire il reddito di lavoro dipendente sono assoggettate a tassazione con le medesime modalità previste per i redditi che vanno a sostituire.

Sulla base di questo presupposto, il premio per la nascita di un figlio, in quanto non assimilabile a nessuna delle categorie reddituali risulta pacificamente non tassabile. Qualche perplessità desta invece l’affermazione secondo cui anche gli emolumenti connessi a malattia, infortunio e permessi della legge 104/1992 sono esenti da tassazione. Bene per i dipendenti, in realtà queste somme sono sempre state corrisposte in sostituzione di redditi da lavoro dipendente non percepiti e quindi, come tali, soggette a tassazione.

Altra fattispecie esaminata dall’Agenzia delle Entrate è il contributo all’iscrizione alla scuola secondaria di primo grado dei figli: questa erogazione a sostegno del reddito, secondo la risposta a interpello n. 24, andrebbe soggetta a tassazione, in quanto rientrante nei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (art. 50, comma 1, lett. c) del TUIR – somme erogate a soggetti diversi dai dipendenti a titolo di borsa di studio).

Anche in questo caso però la risposta non convince, in quanto la borsa di studio erogata ai dipendenti a favore dei loro figli rientra nell’ambito dell’art. 51, comma 2, lettera f-bis del TUIR e come tale non concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente. Poco conta in proposito l’obiezione che il contributo all’iscrizione alla scuola proviene da un terzo (l’Ente bilaterale). Ciò in quanto è stessa Agenzia delle Entrate (anzi, l’allora Ministero delle Finanze, con circolare n. 326/E del 23 dicembre 1997) che nel commentare l’art. 48 (ora 51) del TUIR – secondo cui costituiscono reddito di lavoro dipendente tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta in relazione al rapporto di lavoro – aveva specificato che risultano comprese tutte le somme e i valori “che siano in qualunque modo riconducibili al rapporto di lavoro, anche se non provenienti direttamente dal datore di lavoro”.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Buoni corrispettivo 2019 monouso e multiuso, che cosa sono e cosa cambia?

Via libera l’8 agosto scorso allo schema di decreto legislativo che, attuativo della legge delega n. 163/2017 in recepimento della direttiva UE 1165/2016, vara le nuove regole IVA che dal 1° gennaio 2019 interesseranno anche l’emissione e la circolazione dei cd “voucher” utilizzati nel welfare aziendale.

In base all’art. 51, comma 3-bis, del TUIR l’erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi da parte del datore di lavoro ai propri dipendenti nell’ambito di un piano welfare può avvenire mediante documenti di legittimazione (“voucher”), in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale.

Voucher Monouso e multiuso:

Secondo le normative in vigore fino al 31 dicembre di quest’anno, i voucher non rilevano ai fini IVA, in quanto la relativa cessione è assimilata ad una mera cessione di denaro ex art. 2, comma 3, lett. a), del DPR n. 633/72 (cfr. Risoluzione Agenzia Entrate n. 21/E del 22 febbraio 2011). Questo vale sia in caso di voucher monouso, che dà diritto ad un solo bene, prestazione, opera o servizio per l’intero valore nominale, che di voucher multiuso per i beni e servizi di importo non superiore nel periodo d’imposta a 258,23 euro (art. 51, comma 3, ultimo periodo, TUIR), che possono essere cumulativamente indicati in un unico documento purché il valore complessivo degli stessi non ecceda il limite del predetto importo.

Ebbene, dal 1° gennaio 2019, anche i voucher utilizzati nel welfare aziendale si allineano alle nuove regole Iva: quelli monouso emessi a partire da tale data verranno assoggettati all’IVA al momento dell’emissione, in quanto le informazioni necessarie per la tassazione del buono (luogo e imposta) sono disponibili sin da quel momento; mentre per quelli multiuso l’IVA sarà esigibile solo nel momento in cui i beni saranno ceduti o i servizi prestati, in quanto al momento dell’emissione non è possibile determinare il trattamento ai fini dell’imposta.

Che cos’è il buono corrispettivo?

Il nuovo «buono corrispettivo» (così si chiamerà) dovrà indicare direttamente o nella documentazione che lo accompagna i beni o i servizi da cedere, nonché le identità dei potenziali cedenti, comprese le condizioni generali del suo utilizzo.

Le nuove disposizioni richiederanno modifiche alla prassi precedente. Per esempio, le cessioni di buoni benzina, sino ad oggi considerate sempre fuori campo Iva in quanto titoli di legittimazione, dovranno essere assoggettate all’imposta qualora sussistano i requisiti dei buoni corrispettivo «monouso» (cfr. Circolare Agenzia delle entrate n. 8/2018).

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Il rating Welfare Index PMI, lo strumento al servizio delle imprese

Due strumenti al servizio delle imprese

Una delle finalità di Welfare Index PMI è aiutare le piccole e medie imprese italiane a comunicare il proprio impegno nel welfare aziendale, offrendo loro uno strumento di misurazione e di comunicazione pubblica del livello raggiunto. Tale servizio è riservato a tutte le imprese partecipanti all’indagine e si concretizza in due strumenti: l’Indice Welfare Index PMI e il Rating Welfare Index PMI.

Alla base di entrambi c’è un algoritmo di calcolo che, elaborando più di cento variabili per ogni impresa rilevate con l’indagine, restituisce a ognuna di esse un punteggio che ne sintetizza il livello di welfare aziendale. Tale valore è appunto denominato Indice Welfare Index PMI e consente alle imprese di confrontarsi con i casi migliori e con la media del settore di appartenenza.

Le imprese partecipanti ricevono inoltre il Rating Welfare Index PMI, una rappresentazione simbolica immediatamente riconoscibile del livello di welfare di ogni impresa partecipante, che ne facilita la comunicazione.

Le imprese sono raggruppate in cinque classi di rating:

Leggi di più sul Rapporto 2018 di Welfare Index PMI.

Doppio vantaggio fiscale se il premio diventa pensione

Doppio vantaggio fiscale in caso di conversione del premio di risultato con contributi alle forme pensionistiche complementari.

Come evidenziato dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 5/E del 29 marzo 2018, la legge di Bilancio 2017 ha introdotto misure di particolare favore nelle ipotesi in cui il premio di risultato in denaro sia sostituito, su scelta del dipendente, con contributi da versarsi alla previdenza complementare.

Si premette che l’art. 8, commi 4 e 6, del Dlgs n. 252/2005 (“Disciplina delle forme pensionistiche complementari”) fissa una prima soglia di esenzione fiscale fino a 5.164,57 euro annui, nel senso che entro tale limite complessivo i versamenti eseguiti alla previdenza complementare non costituiscono reddito di lavoro dipendente, se effettuati dal datore di lavoro, mentre sono deducibili dal proprio reddito personale se eseguiti dal dipendente. Il valore di 5.164,57 è peraltro incrementato a euro 7.746,86, limitatamente ai primi cinque anni di contribuzione, per i lavoratori di prima occupazione dal 1.1.1996.

Ebbene, il primo vantaggio della conversione del premio di risultato con contributi alle forme pensionistiche complementari è che, in detta ipotesi, questi ultimi non concorrono al raggiungimento della soglia dei 5.164,57 euro annui. In altre parole, sono “neutri” ai fini del limite di esenzione fiscale.

In definitiva, posto che l’entità massima di premio di risultato “welfarerizzabile” è pari a 3.000,00 euro annui (che possono arrivare a 4.000,00 a certe particolari condizioni), il dipendente può arrivare a godere di una soglia di esenzione di imposta fino a 8.164,57 euro, cioè 5.164,57 + 3.000,00 (oppure 9.164,57, cioè 5.164,57 + 4.000,00).

Il secondo vantaggio, notevolissimo, è che i contributi versati “in conversione” alla previdenza complementare conservano l’esenzione fiscale anche della relativa prestazione pensionistica. Infatti la legge di Bilancio 2017, disponendo una deroga al principio generale che prevede l’imponibilità delle prestazioni pensionistiche complementari per il loro ammontare complessivo al netto dei contributi non dedotti, prevede espressamente che i contributi versati in sostituzione dei premi di risultato siano comunque dedotti dalla base imponibile pensionistica, come se “a monte” avessero costituito reddito di lavoro dipendente (se versati dal datore di lavoro) o fossero stati indeducibili dal reddito personale (se versati dal dipendente).

Analogo beneficio si applica in caso di erogazione di anticipazioni o di riscatto della quota maturata nella previdenza complementare.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Agrimad, Formare i giovani per il futuro della comunità

“Poniamo grandissima attenzione ai giovani, con l’obiettivo di trasmettere la passione per il lavoro agricolo in modo da favorire il trasferimento delle competenze per far sentire ciascuno un elemento fondamentale della filiera.”

– Ernesto Madeo, presidente

Agrimad, nata nel 1984 come allevamento di suino calabrese allo stato brado, nel corso degli anni ha allargato la sua attività alla coltivazione degli ulivi e del peperoncino calabrese.

L’azienda ha scelto di mettere la comunità al centro dell’impresa. Questa strategia ha permesso politiche occupazionali in una zona con elevato tasso migratorio. La media è di 30-35 dipendenti con picchi che superano i 50. Fondamentale il rapporto con il territorio e con il capitale umano: la maggior parte dei lavoratori proviene dal paese di San Demetrio Corone o da zone limitrofe e l’azienda pone grandissima attenzione ai giovani, con l’obiettivo di trasmettere la passione per il lavoro agricolo e ha attivato corsi di formazione non solo per i propri collaboratori ma anche per i figli dei dipendenti, in modo da favorire il trasferimento delle competenze produttivo-agricole e raggiungendo anche l’obiettivo di far sentire ciascuno un elemento fondamentale della filiera.

In questo modo Agrimad si impegna anche a garantire la continuità di un mestiere e l’occupazione in un territorio svantaggiato, assumendo giovani del territorio, in alcuni casi entrambi i coniugi, parenti, e figli, combattendo la necessità di dover emigrare.

A partire dal 1990, l’azienda ha iniziato il lavoro di ricerca sul suino nero di Calabria nelle aree della Sila greca e Aspromonte e, dopo un lungo percorso di selezione e recupero della genetica originaria che si era estinta nel 2010, ha brevettato il processo di lavorazione della razza, diventando uno degli allevamenti di suino nero calabrese più importanti d’Italia. Infine, ogni anno vengono organizzati incontri che uniscono la condivisione di risultati e obiettivi a momenti conviviali che coinvolgono tutta l’azienda.

 

Settore: Agricoltura

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Welfare Index PMI 2018: Menzione speciale – Giovani, formazione, sostegno alla mobilità sociale

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Rating: Welfare Leader

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Aree di welfare più presidiate:

• Formazione per i dipendenti

• Sicurezza e prevenzione degli incidenti

• Sostegno economico per i dipendenti

• Sostegno all’istruzione di figli e familiari

• Welfare allargato alla comunità

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Dipendenti: da 51 a 100

Focus Rapporto 2018 – L’agricoltura sociale

Come nelle due edizioni precedenti, Welfare Index PMI dedica una sua sezione speciale alle organizzazioni dell’agricoltura sociale. L’indagine è stata svolta in collaborazione con Rete Fattorie Sociali e ha portato all’intervista di 43 realtà.

Attraverso l’impiego delle risorse agricole, i soggetti dell’agricoltura sociale operano in una vasta gamma di iniziative per favorire l’inclusione sociale e per supportare il benessere fisico, mentale e sociale delle persone, in particolare quelle svantaggiate. Le aree di intervento sono essenzialmente quattro:

l’inserimento lavorativo di persone in condizione di fragilità: sono attive in quest’area il 76,2% delle organizzazioni intervistate;

l’area educativa e ricreativa (57,1%): progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare, salvaguardia della biodiversità e del territorio, gestione di fattorie sociali e didattiche;

l’area socio-assistenziale (57,1%): prestazioni e attività finalizzate allo sviluppo di abilità e all’inclusione sociale;

l’area socio-sanitaria (47,6%): prestazioni che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative con l’obiettivo di migliorare le condizioni di salute e le funzioni sociali, emotive e cognitive dei soggetti interessati.

Il 33,3% delle organizzazioni intervistate operano su tutte e quattro le aree, il 21,4% su tre e il restante 45,2% su una o due. Le attività specifiche dell’agricoltura sociale sono molteplici, come mostrato dalla figura 66: attività diurne e formazione per persone in situazione di disagio e fragilità, co-terapia, educazione ambientale, fattorie didattiche per bambini e adolescenti, centri estivi e via dicendo.

Figura 66 del Rapporto 2018

L’inclusione lavorativa riguarda una molteplicità di profili di persone svantaggiate: disabili fisici e mentali (39,5% delle organizzazioni intervistate), minori e giovani in situazione di disagio (25,6%), disoccupati di lungo corso (20,9%), ex detenuti (16,3%). Inoltre viene offerto supporto ad ex tossicodipendenti e alcoldipendenti, anziani in situazioni di fragilità, vittime di tratte e abusi. L’obiettivo dell’agricoltura sociale è contribuire, attraverso il lavoro, al benessere, alla realizzazione individuale e all’integrazione sociale di queste persone.

L’agricoltura sociale si distingue anche per l’accoglienza nei confronti degli immigrati. Il 34,9% dei partecipanti impiegano lavoratori extracomunitari, di cui spesso aiutano l’integrazione con attività di supporto: accoglienza residenziale e ricerca di alloggi; formazione linguistica, mediazione culturale, supporto e indirizzo per le pratiche burocratiche.

Le organizzazioni dell’agricoltura sociale vantano uno stretto legame con il territorio e la propria comunità locale. Il 69,0% di loro contribuiscono ad eventi ricreativi e culturali, il 54,8% offrono il proprio aiuto ad iniziative di volontariato, il 50,0% contribuiscono alle attività di centri ricreativi e culturali.

Clicca qui per leggere il Rapporto 2018 di Welfare Index PMI.

Focus Rapporto 2018 – Salute e assistenza

Nel 2018 il 42% delle imprese attuano almeno un’iniziativa nella macro area della salute e assistenza.

Erano il 32,2% nel 2016, anno della prima edizione dell’indagine. Dunque il welfare aziendale sanitario raggiunge una platea sempre più ampia di lavoratori, anche se nel complesso ancora troppo pochi considerate le esigenze delle famiglie, sulle quali grava un onere per la salute di 34 miliardi di euro, il 23% della spesa sanitaria complessiva del nostro paese.

Nell’ultimo anno il 5,9% delle imprese hanno attutato nuove iniziative in quest’area o potenziato le iniziative in corso. Ma soprattutto, come appare nella figura 46, sono incoraggianti le prospettive: un terzo delle imprese considerano prioritario nei prossimi 3-5 anni investire nella sanità e nell’assistenza a beneficio dei propri dipendenti e dei loro familiari.

Figura 46 del Rapporto 2018

Andando nel dettaglio delle prestazioni possiamo riconoscere tre grandi categorie di iniziative in quest’area:

la sanità complementare, ovvero il sostegno alle spese sanitarie delle famiglie offerto dai fondi sanitari e da altre soluzioni assicurative;
i servizi diretti di prevenzione e cura;
l’assistenza ai familiari anziani, ai non autosufficienti e ai bambini.

Le soluzioni di sanità complementare, a copertura delle spese sanitarie dei dipendenti e dei loro familiari, sono attuate nel 35,7% delle PMI, con un continuo il trend di crescita: nel 2016 le imprese attive erano il 29,2% (figura 47). Lo strumento principale è l’adesione ai fondi collettivi di categoria: dal 22% nel 2016 all’attuale 25,2%.

Ma è sensibilmente cresciuta la quota di imprese che intraprendono ulteriori iniziative: la diffusione delle polizze sanitarie aziendali è aumentata in due anni dal 5,4% all’8,1%, mentre le imprese che hanno costituito fondi aziendali di secondo livello o hanno aderito a fondi aperti sono passate dal 3,6% al 5%.

I servizi di prevenzione e cura sono offerti da un numero ancora piccolo di aziende ma risultano in forte crescita: dal 3,6% nel 2016 all’11% nel 2018 (figura 48). Si tratta di servizi di prevenzione, screening (esami del sangue, pap test, mammografia, ECG, controlli vari) o check up generali, offerti complessivamente dal 5% delle PMI, e inoltre di campagne di prevenzione e di educazione sanitaria (1,9% delle imprese), presenza di uno sportello medico interno (3,7%), convenzioni con studi dentistici (1,3%) e altri centri di assistenza sanitaria (1,3%).

Figure 47-48 del Rapporto 2018

Con queste iniziative le imprese offrono un contributo concreto al rafforzamento del nostro welfare della salute. Mentre cresce nel paese il fabbisogno di prevenzione, cura e assistenza, la spesa sanitaria pubblica è in flessione e si estendono i fenomeni di rinuncia alla cura da parte delle famiglie, soprattutto nelle fasce meno abbienti. I bisogni sanitari sono molto differenziati per età, condizione sociale, composizione dei nuclei familiari, e altrettanto differenziate sono le capacità dei servizi sanitari nel territorio. La vicinanza alle famiglie e la prossimità al sistema locale delle prestazioni permette alle imprese di intercettare i bisogni, aggregare e rendere disponibili i servizi e facilitare l’accesso delle famiglie.

L’area dell’assistenza è la meno matura nel welfare aziendale: oggi soltanto l’1,2% delle PMI offrono servizi e iniziative di sostegno ai familiari anziani e non autosufficienti e lo 0,6% offrono servizi specialistici per i bambini.

La non autosufficienza è sicuramente uno dei temi più critici con i quali ci confronteremo nei prossimi decenni: le statistiche demografiche delineano un paese che sta diventando sempre più vecchio e con famiglie poco numerose, non in grado di sostenere la funzione tradizionale di rete primaria di protezione. Un trend che continuerà ancora a lungo: nei prossimi 30 anni la quota di
persone oltre i 65 anni passerà dal 22% nel 2016 al 34% nel 2046. Già oggi sono 2,8 milioni gli anziani che hanno limitazioni funzionali (mobilità, autonomia, comunicazione, ecc.) e sono parzialmente o totalmente non autosufficienti, come illustrato nella figura 50. A costoro si aggiungono 700.000 persone disabili di altre fasce di età, tra le quali bambini in età scolare.

Figura 49-50 del Rapporto 2018

Puoi scaricare il Rapporto 2018 qui.

Sostituzione del premio di risultato con la concessione di veicoli aziendali

Conversione del premio di risultato allargata ai benefits individuati al comma 4 dell’art. 51 del TUIR grazie ai chiarimenti contenuti nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 5/E del 29 marzo 2018.

Sulla base della Legge di Bilancio per il 2017 (Legge 11 dicembre 2016, n. 232) il dipendente può chiedere al datore di lavoro di convertire il premio di risultato anche con l’utilizzo di veicoli aziendali, mutui, fabbricati in uso o comodato e viaggi gratuiti nel settore ferroviario, in luogo dei cd “servizi sociali” (dall’istruzione alla ricreazione, dall’assistenza sanitaria a quella sociale, dalla cura dei figli all’assistenza agli anziani) e dei servizi generici di importo non superiore nel periodo d’imposta a euro 258,23. Ciò a condizione che la cd “welfarizzazione” sia espressamente prevista nel contratto collettivo territoriale o aziendale istitutivo del premio di risultato.

Dopo aver chiarito che, in caso di conversione, i predetti beni e servizi concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente sulla base degli imponibili convenzionali agevolati previsti dallo stesso comma 4 dell’art. 51, anziché sulla base del loro “valore normale”, la circolare n. 5/E approfondisce ogni singola fattispecie di welfarizzazione con esempi numerici. Vediamo i primi due, certamente quelli più ricorrenti.

Per quanto riguarda l’autovettura aziendale a uso promiscuo, partendo da un premio di risultato spettante di 3.000,00 euro e da un valore convenzionale annuale dell’autovettura aziendale di 1.885,50 euro, calcolato sulla base delle tabelle ACI, il lavoratore ha a disposizione la residua differenza di 1.114,50 euro che può incassare o convertire in altri benefits.

Nel caso invece del pagamento degli interessi sul mutuo contratto dal dipendente, l’esempio numerico fornito dall’Agenzia è il seguente:

▸Premio di risultato agevolabile € 3.000
▸Interessi dovuti dal dipendente in base al contratto di mutuo € 4.000
▸Interessi calcolati al tasso ufficiale di sconto € 2.000
▸Interessi rimasti a carico del dipendente dopo la conversione del premio € 1.000 (€ 4.000 – € 3.000)
▸Base imponibile del benefit € 500 (€ 2.000 – € 1.000 = € 1.000 * 50%)
▸Base imponibile da assoggettare ad imposta sostitutiva o, a scelta del lavoratore, a tassazione ordinaria ovvero sostituita con gli altri benefit, € 2.500 (€ 3.000-€ 500).

Tuttavia, contrariamente alle conclusioni dell’Agenzia, il premio residuo da assoggettare ad imposta sostitutiva o, a scelta del lavoratore, a tassazione ordinaria ovvero sostituita con gli altri benefit, è pari a zero (€ 3.000 – € 3.000).

Nel secondo esempio numerico, infatti, la sostituzione del premio di risultato avviene con “somme” e non con “beni e servizi” come nel caso dell’autovettura aziendale. Nel primo esempio valore del benefit e base imponibile contributiva e fiscale coincidono, nel secondo no.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Premi di risultato e welfare aziendale, tutte le novità!

Pioggia di chiarimenti sul Welfare Aziendale da parte dell’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 5/E del 29 marzo 2018.

Nel documento di prassi viene innanzitutto trattata la conversione dei premio di risultato con beni e servizi di cui all’art. 51, comma 4, introdotta dalla legge di Bilancio 2017: in sostituzione del premio in denaro è possibile ora accedere anche all’uso dell’auto aziendale, alla concessione di prestiti da parte del datore di lavoro, alla messa a disposizione del dipendente dell’alloggio e alla concessione gratuita di viaggi ai dipendenti del settore ferroviario, con la precisazione che i suddetti benefit concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente sulla base dei valori convenzionali agevolati previsti dallo stesso comma 4.

L’Agenzia si sofferma inoltre sulla conversione del premio di risultato con contributi alla forme pensionistiche complementari, nonché con quelli di assistenza sanitaria versati a Enti o Casse aventi esclusivamente fine assistenziale, sottolineando – in entrambi i casi – che i versamenti dei contributi “in conversione” non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente anche se eccedono gli importi-soglia rispettivamente di 5.164,57 e di 3.615,20 euro.

Spiegazioni vengono ancora fornite sulle coperture assicurative del rischio di non autosufficienza e/o di del rischio di gravi patologie che dal 1.1.2017 non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente. Prima di tale data infatti, l’esclusione dal reddito era consentita solo qualora l’importo del premio riferibile a ciascun dipendente non superava la soglia di euro 258,23 fissata dal comma 3 dell’art. 51 del TUIR, in concorso però con altri beni e servizi offerti dal datore di lavoro.

Nell’analizzare la novità dei benefit erogati in base ai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, l’Agenzia delle Entrate coglie poi l’occasione di equiparare le somme e i valori disciplinati dalle lettere f-bis, f-ter, f-quater del comma 2 dell’art. 51 a quelli della lettera f. Una interpretazione non da poco, considerando che ora anche questi benefit devono essere disciplinati da regolamento aziendale negoziale oppure da accordo o contratto collettivo affinché al datore di lavoro sia consentito dedurre integralmente la relativa spesa dal reddito d’impresa e non limitatamente al 5 per mille delle spese per prestazioni di lavoro dipendente (art. 100, 1° comma, TUIR).

A seguire viene commentato il nuovo benefit in vigore dal 1.1.2018, cioè l’erogazione o il rimborso di somme effettuato dal datore di lavoro per l’acquisto degli abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale e interregionale, che certamente è da annoverare tra quelli più diffusi e di maggior impatto.

Chiarimenti anche sul tempo di percezione e quindi di rilevanza reddituale dei benefit sostitutivi dei premi di risultato erogati mediante voucher, che coincide con il momento in cui detti benefit entrano nella disponibilità del dipendente, a prescindere dalla circostanza che il servizio venga fruito in un momento successivo; sulla rilevanza reddituale dei contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro, qualora le casse sanitarie non operino rispettando i principi di mutualità; infine, sulla rimborsabilità delle spese sostenute dal dipendente anche nel periodo di imposta successivo.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Le 3 priorità per il Paese e per le imprese, che possono trovare soluzione grazie al welfare aziendale

Esaminando le variazioni intervenute nelle 12 aree del welfare aziendale, quelle cresciute maggiormente sono la conciliazione vita e lavoro e sostegno ai genitori, e la sicurezza e prevenzione.
Ma sono cresciute significativamente anche la formazione per i dipendenti, la previdenza integrativa, il sostegno ai soggetti deboli e l’integrazione sociale, i servizi di assistenza, le iniziative di welfare allargato alla comunità.

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La crescita delle iniziative in queste aree indica come dal welfare aziendale venga una capacità di offrire risposta ai bisogni sociali emergenti, in questa fase caratterizzata dalla fragilità sociale (crescita delle aree di povertà e di esclusione dal lavoro) e dalle difficoltà della spesa pubblica. La diffusione nel territorio delle piccole e medie imprese e la loro vicinanza alle famiglie permette di intercettarne i bisogni e offrire soluzioni puntuali. Il welfare aziendale offre una integrazione alle
istituzioni del welfare pubblico e alla stessa famiglia come rete primaria di solidarietà sociale.

Per sottolineare il contributo dato dal welfare aziendale alle principali emergenze del paese si è focalizzata l’attenzione, nel Rapporto Welfare Index PMI, su tre temi che rappresentano le tre priorità che richiedono l’impegno diretto delle imprese:

  • la salute e l’assistenza
  • la conciliazione vita e lavori
  • i giovani, la formazione, il sostegno alla mobilità sociale

Per approfondire scarica il Rapporto 2018

  • p.55 ➔ 5. Focus: salute e assistenza
  • p.59 ➔ 6. Focus: conciliazione vita e lavoro
  • p.64 ➔ 7. Focus: giovani, formazione, sostegno alla mobilità sociale