Secondo l’Agenzia delle Entrate l’amministratore unico di società che percepisce reddito assimilato a quello di lavoro dipendente non può usufruire dei benefici fiscali del welfare aziendale.
La Direzione Centrale Normativa, con risposta ad interpello n. 954-1535/2017 del 22 dicembre 2017, ha infatti escluso che i contributi assistenziali versati da una società di capitali a favore del proprio amministratore unico possano rientrare nell’ambito applicativo di non imponibilità reddituale fissato dal comma 2 dell’art. 51 del TUIR.
L’istante ha evidenziato di aver predisposto un regolamento aziendale che prevede, a favore degli amministratori della società, l’iscrizione ad una cassa avente esclusivamente finalità assistenziale con contribuzione interamente a suo carico. Considerato che al momento dell’interpello la gestione societaria risulta affidata ad un amministratore unico, è stato chiesto se nella fattispecie risulta applicabile il disposto della lettera a), comma 2 dell’art. 51 del TUIR, secondo cui non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente “i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ad enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, che operino negli ambiti di intervento stabiliti con il decreto del Ministro della salute di cui all’articolo 10, comma 1, lettera e-ter), per un importo non superiore complessivamente ad euro 3.615,20”.
L’Agenzia delle Entrate risponde negativamente in quanto la categoria dei beneficiari delineata dal regolamento aziendale è costituita dal solo amministratore unico. Secondo la Direzione Centrale Normativa l’inciso “in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale” implica che i contributi devono essere versati in favore della generalità dei dipendenti o di categorie omogenee e non siano invece riservati “ad personam”. Infatti, i contratti, gli accordi e i regolamenti aziendali sono atti adottati per disciplinare in modo uniforme condizioni applicabili alla generalità di dipendenti o a categorie di essi e non per definire condizioni riferibili ad un solo soggetto. Risultano pertanto esclusi i contratti individuali di lavoro. Detto in altre parole: se la società istante anziché essere gestita da un amministratore unico fosse amministrata da un Consiglio composto da due o più soggetti, le agevolazioni fiscali sarebbero applicabili. Insomma uno no, due sì.
Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP
Ancora passi avanti nell’ultima Legge di Bilancio in materia di Welfare aziendale, esteso a comprendere anche l’erogazione o il rimborso di somme effettuato dal datore di lavoro per l’acquisto degli abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale e interregionale.
In base al comma 28 dell’articolo unico della legge di bilancio 2018 (n. 205 del 27/12/2017) non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente “le somme erogate o rimborsate alla generalità o a categorie di dipendenti dal datore di lavoro o le spese da quest’ultimo direttamente sostenute, volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento aziendale, per l’acquisto degli abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale e interregionale del dipendente e dei familiari indicati nell’articolo 12 che si trovano nelle condizioni previste nel comma 2 del medesimo articolo 12”.
Il datore di lavoro è quindi autorizzato a erogare somme in denaro senza alcun limite per consentire al dipendente o a un suo familiare l’acquisto dell’abbonamento, oppure a rimborsarlo a fronte della spesa da questi sostenuta, con la precisazione che in entrambi i casi devono essere acquisiti e conservati i relativi giustificativi a supporto.
Ad esempio se il lavoratore è titolare di uno o più abbonamenti (uno per il trasporto pubblico locale e uno per quello regionale) per un importo di 100 euro mensili, potrà risparmiare 1.200,00 euro l’anno se rimborsato dal datore di lavoro, che a sua volta risparmierà più del doppio rispetto al “normale” stipendio in busta paga e potrà comunque dedursi integralmente la spesa sostenuta.
Il benefit deve in ogni caso essere offerto alla generalità o categorie di dipendenti, intendendo per tali tutti i dipendenti di un certo tipo (ad es. tutti i dipendenti di un certo livello o di una certa qualifica, ovvero tutti gli operai del turno di notte ecc.), purché tali inquadramenti siano sufficienti a impedire, in senso teorico, che siano concesse erogazioni “ad personam” in esenzione totale o parziale da imposte.
Inoltre l’erogazione o il rimborso di somme può avvenire volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento aziendale, senza limitazioni di sorta relativamente all’integrale deducibilità della spesa dal reddito del datore di lavoro, considerato che il vincolo del 5 per mille delle spese per prestazioni di lavoro dipendente individuato dal 1° comma dell’art. 100 del TUIR opera esclusivamente per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.
Infine, risultano inclusi nell’agevolazione anche i familiari del dipendente, anche se solo quelli fiscalmente a carico. Quindi non concorre a formare il reddito anche il rimborso effettuato dal datore di lavoro per l’abbonamento ai trasporti del figlio del proprio dipendente.
Claudio Della Monica Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP
Chiusura dell’Agenzia delle Entrate alla incumulabilità dei flexible benefits del comma 3, ultimo periodo, dell’art. 51 del TUIR (beni e servizi generici offerti ai dipendenti anche sotto forma di voucher) ai fini del superamento della soglia di 258,23 euro esente da oneri fiscali.
La Direzione Regionale della Lombardia dell’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello n. 904-1353/2017, ha respinto la richiesta avanzata dalla società istante di escludere dall’imponibile fiscale il valore di un buono spesa di valore inferiore a 258,23 euro erogato ad un dipendente già assegnatario di autovettura aziendale ad uso promiscuo, regolarmente tassata sulla base del valore convenzionale fissato dalle tabelle ACI. L’articolo 51, comma 3, ultimo periodo del TUIR stabilisce che non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore nel periodo d’imposta a euro 258,23; se il predetto valore superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito.
La circolare ministeriale n. 326/E del 23 dicembre 1997precisa che la verifica del superamento dei 258,23 euronel periodo d’imposta va effettuata con riferimento agli importi tassabili (cioè suscettibili di essere tassati) in capo al percettore del reddito per tutti i beni o servizi di cui ha fruito nello stesso periodo d’imposta. Ne consegue, secondo l’Istante, che solo gli importi non tassati in capo al dipendente “consumano” in concreto il plafond di 258,23 euro e quindi solo tali importi, che comportano il superamento della suddetta soglia, determinano la tassazione di tutto il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati al dipendente, compreso il loro valore fino a 258,23 euro; mentre invece la cessione di un bene o la prestazione di un servizio se singolarmente già assoggettata a tassazione da parte del datore di lavoro in capo al dipendente non intacca il predetto plafond.
Non la pensa in questo modo l’Agenzia delle Entrate, in quanto la circolare ministeriale del 16 luglio 1998, n. 188, punto 2, chiarisce che la previsione di cui all’articolo 51, comma 3, ultimo periodo del TUIR costituisce un principio di carattere generale applicabile a tutti i beni ceduti e/o servizi prestati dal datore di lavoro ai propri dipendenti, ivi inclusa l’autovettura aziendale a uso promiscuo.
Inoltre, il riferimento agli importi tassabili in capo al percettore del reddito è da intendersi nel senso che non concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente quanto il dipendente ha a sua volta corrisposto con il metodo del versamento o della trattenuta da parte del datore di lavoro.
Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP
È stato pubblicato sulla G.U. n. 248 del 23 ottobre 2017 il comunicato relativo all’adozione e alla pubblicazione nell’area Pubblicità legale del sito del Ministero del lavoro del Decreto Interministeriale 12 settembre 2017 in attuazione dell’art. 25 del D.lgs. n. 80/2015 (“Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”), che definisce i criteri e le modalità di utilizzo delle risorse finanziarie destinate ai datori di lavoro del settore privato per la promozione della conciliazione tra vita professionale e vita privata attraverso la stipula di contratti collettivi aziendali.
Il beneficio è riconosciuto sotto forma di sgravio contributivo fino ad un massimo del 5% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali dichiarata dal datore di lavoro nel corso dell’anno civile precedente, limitatamente ai contratti depositati telematicamente presso il Ministero del Lavoro dal 1° gennaio 2017 al 31 agosto 2018.
Le aree di intervento tra le quali individuare le misure di conciliazione – innovative e ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge o dal CCNL – riguardano:
▸il sostegno alla genitorialità (estensione temporale dei congedi parentali, nidi d’infanzia, asili nido, spazi ludico-ricreativi aziendali, percorsi formativi, buoni per l’acquisto di servizi di baby sitting);
▸la flessibilità organizzativa (lavoro agile, flessibilità in entrata e uscita, part-time, banca ore, cessione solidale dei permessi);
▸le misure di welfare aziendale (convenzioni con strutture per servizi di time saving e di cura, buoni per l’acquisto di servizi di cura).
Per poter ottenere gli sgravi, le misure di conciliazione sono individuate nel numero minimo di due tra quelle sopra indicate, di cui almeno una nell’area “sostegno alla genitorialità o nell’area “flessibilità organizzativa”. Inoltre, il contratto collettivo aziendale deve riguardare un numero di lavoratori pari almeno al 70% della media dei dipendenti occupati nell’anno precedente.
Il Ministero del Lavoro, con notizia sul proprio sito, ha comunicato che dal 18 ottobre e fino al 31 ottobre 2017 è possibile depositare telematicamente i contratti aziendali a valere sulle risorse stanziate nel 2017 e che a breve sarà disponibile sul portale Inps l’applicativo per l’invio dell’istanza telematica per ottenere gli sgravi. I datori di lavoro che avessero già provveduto al deposito telematico di un contratto aziendale ai fini della detassazione, secondo le modalità del Decreto Interministeriale del 25 marzo 2016, non dovranno effettuare un nuovo deposito telematico. Sarà comunque necessario l’invio della domanda tramite il portale INPS.
Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP
La nuova società offrirà servizi innovativi dalla salute ai flexible benefit, anche attraverso partnership con start up.
▸Investimento fino a € 50 milioni per l’innovazione dei servizi e del modello operativo entro il 2021
▸Prevista nel ramo salute una crescita del 25% dei premi e un incremento di € 30 milioni del risultato tecnico entro il 2021 per Generali Country Italia
▸Generali Welion investirà sull’assunzione di oltre 100 giovani nei prossimi due anni
▸Andrea Mencattini, nominato Amministratore Delegato della nuova società Dalla salute ai flexible benefit, un mondo di servizi innovativi e semplici da fruire per dare più valore alle famiglie, ai lavoratori e alle imprese.
Generali Italia dà vita a Generali Welion, la nuova società di servizi che si occuperà di welfare integrato.
Con la costituzione della nuova società, Generali Italia punta a consolidare la propria leadership su un business strategico ed in forte crescita, quale è il welfare integrato, che oggi conta su 1,8 milioni di clienti e nel 2016 circa 3 miliardi di premi tra previdenza complementare e salute (circa €500 mln).
Attraverso le potenzialità delle nuove tecnologie e lo sviluppo di partnership strategiche e collaborazioni con start up, Generali Welion offrirà soluzioni all’avanguardia nel mondo della salute individuale e del welfare aziendale. La società, che sarà pienamente operativa dal 1° gennaio 2018, nasce infatti con l’obiettivo di:
▸gestire le prestazioni sanitarie incrementando i livelli di servizio per il cliente – consulenza, assistenza, rimborso – e i network sanitari supportando il rapporto tra pazienti e medici attraverso nuove tecnologie e piattaforme evolute;
▸offrire servizi di consulenza e gestione di welfare aziendale per le imprese anche attraverso piattaforme, sia proprietarie sia in partnership, di employee benefit per i dipendenti delle aziende;
▸ creare nuovi servizi personalizzati anche “non assicurativi” (es: carte servizi, accesso al network, percorsi di cura etc.) per i 10 milioni di clienti in Italia.
Marco Sesana, Country Manager e Amministratore Delegato di Generali Italia ha dichiarato: “Innovare e semplificare sono le priorità strategiche per garantire i migliori servizi ai nostri clienti. Con Generali Welion, vogliamo evolvere nel settore della Salute e del welfare. Investiremo fino a 50 milioni di euro nel prossimo triennio: ciò per migliorare la qualità e l’accessibilità dei servizi in questo settore importante per il cittadino, per i lavoratori e per la crescita delle imprese. Vogliamo consolidare la nostra leadership sul mercato: puntiamo ad aumentare, entro il 2021, del 25% i premi nel settore Salute e di 30 milioni di euro il risultato tecnico”.
Andrea Mencattini, Amministratore Delegato di Generali Welion, ha dichiarato: “Forti della nostra expertise nel welfare integrato, grazie ai vasti programmi di welfare che applichiamo ai nostri 15 mila dipendenti, alla conoscenza del mercato con Welfare Index Pmi e alla nostra ampia offerta assicurativa, attraverso Generali Welion offriamo consulenza e servizi di gestione su tutte le iniziative di welfare integrato: sanità, previdenza, non autosufficienza, flexible benefit”.
Sviluppo di servizi innovativi grazie a partnership con start up: gli accordi con H-Farm e GrowItup
Generali Welion punta a innovare i servizi per:
▸garantire consapevolezza ed informazione del cliente sul tema Salute;
▸supportare il cliente nella prevenzione e nella scelta di comportamenti salutari;
▸rispondere alle esigenze di cura ed assistenza;
▸facilitare l’accesso del cliente ai prestatori di servizio;
▸per garantire una gestione semplice del Welfare aziendale nelle imprese.
Idee innovative e soluzioni tecnologiche all’avanguardia, sono ricercate anche attraverso la collaborazione con start up. La compagnia ha lanciato Generali Health&Welfare Corporate Accelerator con H-FARM, con l’obiettivo di identificare startup da incubare per sviluppare nuovi servizi ed esplorare nuovi modelli di business, e una CallForGrowth con GrowItUp, che ha visto la selezione di 3 start up per lavorare con Generali Italia allo sviluppo di nuovi servizi e prodotti in ambito salute e welfare.
Modello Organizzativo di Generali Welion
La nuova società – che risponderà al Country Manager e Amministratore Delegato di Generali Italia, Marco Sesana – sarà guidata dall’Amministratore Delegato Andrea Mencattini. La funzione di Operations & Customer Excellence sarà affidata a Ivano Bosisio. La società prevede l’assunzione di oltre 100 giovani entro il 2019.
Il welfare integrato, un mercato in forte crescita ma ancora largamente inesplorato
Il contesto del mercato italiano mostra crescite importanti nel settore del Welfare integrato, spinto anche dai vantaggi fiscali previsti dalle ultime leggi di Stabilità, ma ancora con bassi tassi di adesione. Nell’ambito della Sanità, si stimano 7,5 milioni di iscritti a fondi sanitari pari al 33,6% degli occupati. Dal 2015 al 2016 la raccolta premi del mercato assicurativo Salute in Italia è cresciuta dell’8%. In tema di Previdenza il numero degli iscritti è di 7,8 milioni pari al 34,2% degli occupati. Per quanto concerne la Non Autosufficienza, circa 750 mila persone – ossia solo il 3,3% della popolazione occupata – sono coperti da LTC (Long Term Care). Sul fronte dei Flexible benefit nel biennio 2015/16 il 21% delle aziende ha attivato iniziative di welfare. Dal rapporto Welfare Index Pmi 2017 è emerso che il 18,3% delle PMI italiane è molto attivo nelle iniziative di welfare.
È stato pubblicato sulla G.U. n. 248 del 23 ottobre 2017 il comunicato relativo all’adozione e alla pubblicazione nell’area Pubblicità legale del sito del Ministero del lavoro del Decreto Interministeriale 12 settembre 2017 in attuazione dell’art. 25 del D.lgs. n. 80/2015 (“Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”), che definisce i criteri e le modalità di utilizzo delle risorse finanziarie destinate ai datori di lavoro del settore privato per la promozione della conciliazione tra vita professionale e vita privata attraverso la stipula di contratti collettivi aziendali.
Il beneficio è riconosciuto sotto forma di sgravio contributivo fino ad un massimo del 5% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali dichiarata dal datore di lavoro nel corso dell’anno civile precedente, limitatamente ai contratti depositati telematicamente presso il Ministero del Lavoro dal 1° gennaio 2017 al 31 agosto 2018.
Le aree di intervento tra le quali individuare le misure di conciliazione – innovative e ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge o dal CCNL – riguardano: il sostegno alla genitorialità (estensione temporale dei congedi parentali, nidi d’infanzia, asili nido, spazi ludico-ricreativi aziendali, percorsi formativi, buoni per l’acquisto di servizi di baby sitting); la flessibilità organizzativa (lavoro agile, flessibilità in entrata e uscita, part-time, banca ore, cessione solidale dei permessi); le misure di welfare aziendale (convenzioni con strutture per servizi di time saving e di cura, buoni per l’acquisto di servizi di cura).
Per poter ottenere gli sgravi, le misure di conciliazione sono individuate nel numero minimo di due tra quelle sopra indicate, di cui almeno una nell’area “sostegno alla genitorialità o nell’area “flessibilità organizzativa”. Inoltre, il contratto collettivo aziendale deve riguardare un numero di lavoratori pari almeno al 70% della media dei dipendenti occupati nell’anno precedente.
Il Ministero del Lavoro, con notizia sul proprio sito, ha comunicato che dal 18 ottobre e fino al 31 ottobre 2017 è possibile depositare telematicamente i contratti aziendali a valere sulle risorse stanziate nel 2017 e che a breve sarà disponibile sul portale Inps l’applicativo per l’invio dell’istanza telematica per ottenere gli sgravi. I datori di lavoro che avessero già provveduto al deposito telematico di un contratto aziendale ai fini della detassazione, secondo le modalità del Decreto Interministeriale del 25 marzo 2016, non dovranno effettuare un nuovo deposito telematico. Sarà comunque necessario l’invio della domanda tramite il portale INPS.
Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP
Non è possibile detrarre l’Iva per il datore di lavoro che acquista servizi di welfare con finalità ricreative a favore della generalità o categorie di dipendenti.
La Direzione Regionale della Lombardia dell’Agenzia delle Entrate, con risposta ad interpello n. 904-603/2017 dello scorso 20 luglio, ha detto di no alla richiesta di poter detrarre l’Iva versata per l’acquisto dell’abbonamento alla pay-tv che la società istante, nell’ambito di un piano Welfare sostenuto da regolamento aziendale, aveva deciso di mettere a disposizione di categorie di lavoratori.
L’Agenzia delle Entrate sostiene infatti che il diritto alla detrazione Iva spetta alle condizioni che seguono, a suo giudizio non rispettate nel caso trattato:
1) l’acquisto dei beni e dei servizi deve essere inerente all’attività economica svolta dal soggetto passivo;
2) i beni e i servizi acquistati devono essere afferenti ad operazioni imponibili o ad esse assimilate dalla legge ai fini dell’esercizio della detrazione;
3) deve sussistere un nesso diretto e immediato tra le spese collegate alla prestazioni a monte e il complesso delle attività economiche del soggetto d’imposta, essendo la detraibilità connessa al trattamento delle operazioni effettuate a valle, cui gli acquisti si riferiscono. A parziale compensazione occorre tuttavia sottolineare che l’Iva non detratta costituisce onere accessorio di diretta imputazione al costo del servizio cui si riferisce e pertanto risulta senz’altro deducibile dal reddito d’impresa ai sensi dell’art. 110 del TUIR.
Grazie a quest’ultimo chiarimento si completa il quadro del trattamento ai fini delle imposte dirette e dell’Iva delle spese aziendali relative a servizi con finalità ricreative utilizzabili dalla generalità o categorie di dipendenti, che a seguire si riassume:
a) se le spese sono sostenute volontariamente dal datore di lavoro, le stesse sono deducibili dal reddito d’impresa per un ammontare complessivo non superiore al cinque per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi, ai sensi dell’art. 100 del TUIR;
b) se le spese sono sostenute in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale la deducibilità dal reddito d’impresa è invece al 100%;
c) in entrambi i casi sopra descritti l’Iva sui servizi acquistati dal datore di lavoro e offerti ai dipendenti è indetraibile da quella dovuta sulle vendite e di conseguenza, divenendo un onere accessorio di diretta imputazione al costo del servizio cui si riferisce, risulta deducibile dal reddito d’impresa.
Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP
Welfare Index PMI ha proposto una definizione del welfare aziendale: il complesso delle iniziative attuabili dall’impresa, in forma sia unilaterale sia negoziale, con lo scopo di migliorare il benessere e la sicurezza sociale dei lavoratori e delle loro famiglie.
Nel precedente capitolo abbiamo esaminato le trasformazioni in corso, le quali determinano le sfide al benessere e alla sicurezza degli italiani e provocano l’emergere di un insieme molto vasto di bisogni sociali.
Si tratta di bisogni vecchi e nuovi. Alcuni da sempre considerati primari, come lepensioni e la sanità, che per tutto il secolo scorso sono stati al centro delle politiche di welfare sia pubblico che complementare. Altri non meno maturi, come i servizi per il sostegno alla maternità e la cura dei figli, ma che nel nostro paese non hanno mai ricevuto soluzioni adeguate e sono rimasti a carico esclusivo delle famiglie.
Altri ancora, come l’assistenza agli anziani, che solo recentemente si sono imposti all’attenzione generale a causa dell’invecchiamento della popolazione, dell’indebolimento delle capacità di cura delle famiglie e delle difficoltà di bilancio dei comuni che ne hanno limitato le capacità di fornire assistenza. E infine i nuovi bisogni che caratterizzano la nostra epoca, come l’integrazione sociale dei lavoratori immigrati.
Negli ultimi trent’anni le politiche di riforma del welfare si sono concentrate soprattutto su tre aree: le pensioni, la sanità, la tutela del lavoro. Il welfare non è mai stato solo questo, ma queste aree hanno avuto – e tutt’ora mantengono – un ruolo fondamentale per la sicurezza sociale del paese. A queste aree oggi si affianca una gamma vastissima di bisogni e richieste di soluzioni.
In questo carattere del welfare aziendale c’è un aspetto paradossale che non vogliamo rimuovere: proprio quando le risorse si fanno più scarse, mentre si cercano maggiori risorse da dedicare alla integrazione delle pensioni e dalla sanità, si aprono aree di iniziativa altrettanto urgenti a cui dedicare ulteriori risorse. È evidente che il problema è reale e non può ricevere una risposta universale. I bisogni si distribuiscono in modo differenziato nel territorio. E non ci riferiamo alle grandi aree geografiche ma ai microterritori, caratterizzati da attività produttive, condizioni economiche ed emergenze sociali molto diverse. Sono diversi anche i livelli di qualità del sistema sanitario e le capacità degli enti locali di erogare servizi di assistenza. In ogni area del paese ci confrontiamo con priorità diverse.
E diverse sono le aziende. Non solo per condizione economica e per risorse disponibili, ma anche per la composizione delle popolazioni aziendali. Ogni azienda si confronta con bisogni differenti secondo il numero dei collaboratori, l’età, le condizioni familiari, e condizioni di contesto come quelle che riguardano il mercato del lavoro, le distanze e i trasporti, le difficoltà di integrazione…
Sono quindi evidenti i motivi per cui il nuovo welfare assegna un ruolo centrale alle imprese.
➝ Anzitutto perché esse, e in particolar modo le PMI, hanno un rapporto diretto con i lavoratori e con le loro famiglie, ne conoscono e sono in grado di rilevarne i bisogni, e sono quindi capaci di definire piani di welfare centrati sulle esigenze riconosciute come prioritarie, evitando la dispersione e gli sprechi.
➝ Inoltre perché le imprese, e ancora una volta soprattutto le PMI per il loro numero e per la loro diffusione, hanno un rapporto diretto con il territorio. Ciò da un lato le mette in grado di riconoscere i bisogni delle comunità locali, dall’altro permette loro di promuovere alleanze con altri soggetti interessati:
• le imprese vicine, con le quali condividere i servizi per raggiungere la massa critica di utenza e ridurre l’incidenza dei costi;
• i fornitori di servizi, incluse le organizzazioni del terzo settore;
• le istituzioni pubbliche locali e le rappresentanze sociali.
Dunque il welfare aziendale è necessariamente un sistema flessibile perché richiede a ogni impresa di definire gli obiettivi e i contenuti delle proprie iniziative. Ma la flessibilità del welfare aziendale consiste anche nella possibilità per ogni lavoratore di scegliere i servizi di cui usufruire e il modo di farlo.
La normativa è stata disegnata con questo scopo, evitando rigidità vincolanti e prevedendo la possibilità di utilizzare strumenti di facilitazione per l’accesso ai servizi, quali i voucher elettronici o cartacei e le piattaforme online. Questa è una importante condizione di successo. Infatti la domanda di welfare aziendale si allargherà solo se i lavoratori potranno apprezzare il valore economico dei servizi ricevuti. Ciò sarà possibile se si tratterà di servizi considerati di prima necessità, sostitutivi di una componente non comprimibile di spesa familiare.
Sì ai Piani Welfare a carattere premiale e incentivante, anche a livello individuale, senza rinunciare ai benefici fiscali. Così si è espressa la Direzione Regionale Lombardia dell’Agenzia delle Entrate rispondendo ad un interpello (il n. 904-791/2017 dello scorso 28 luglio) presentato da una società di formazione e servizi al lavoro che ha chiesto se la struttura del proprio Piano Welfare, di durata biennale, non contrasta con le finalità agevolative dei commi 2 e 3 dell’art. 51 del TUIR.
L’istante ha infatti spiegato che, alla luce delle novità introdotte dallaLegge di Stabilità del 2016 e dalla Legge di Bilancio 2017, nonché dei chiarimenti contenuti nella circolare n. 28 del 15 giugno 2016 dell’Agenzia delle Entrate, ha deciso di varare un Piano Welfare a carattere premiale e incentivante, rivolto a tutti i dipendenti, mediante il ricorso e la messa a loro disposizione di una specifica piattaforma web personalizzabile, che consente a tutti i dipendenti indistintamente la fruizione integrata e flessibile del basket di servizi previsti dal Piano stesso secondo le proprie necessità ed esigenze.
Il Piano prevede l’assegnazione di un budget di spesa “figurativo” (“credito Welfare”) nella misura di euro 1.500,00 annui uguale, in partenza, per ciascun dipendente. Il budget di spesa è totalmente a carico della società e non rimborsabile. Ciò posto, per il primo anno di vigenza del Piano, la società istante ritiene di assegnare a ciascun dipendente il 100% del credito Welfare di euro 1.500,00 annui al raggiungimento del 100% di un determinato obiettivo individuale, proporzionalmente ridotto in caso di raggiungimento di un risultato individuale inferiore.
Per il secondo anno di vigenza del Piano, invece, la società istante intende assegnare a ciascun dipendente il 100% del credito Welfare di euro 1.500,00 annui al raggiungimento del 100% di un determinato obiettivo aziendale. In mancanza, entro uno scarto massimo al ribasso del 10%, il credito Welfare di ciascuno è rapportato ad una percentuale della RAL individuale (3%).
L’Agenzia delle Entrate accoglie la tesi dell’istante in quanto la non concorrenza al reddito di lavoro dipendente è subordinata all’unica condizione che i beni e servizi siano offerti alla generalità o a categorie di dipendenti e non anche al vincolo dell’assegnazione del medesimo budget “figurativo” di spesa ad ogni dipendente.
Claudio Della Monica Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP
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