Le PMI, le aree e le iniziative di Welfare Aziendale in Italia. Focus sul Rapporto 2017

Quali sono le aree del #WelfareAziendale in cui le PMI possono fare di più? Quante sono le aziende più attive in Italia? E cosa fanno? Scopri alcuni dati della nostra ricerca 2017.

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La seconda stesura del Rapporto Welfare Index PMI ha proseguito ed aggiornato con successo l’interessante “osservatorio” sullo stato del welfare aziendale nelle piccole e medie imprese italiane, iniziato un anno fa.
Per l’edizione 2017 ben 3.422 PMI sono state intervistate per analizzare la diffusione delle iniziative di welfare aziendale e proseguire il monitoraggio della loro evoluzione. Iniziative raggruppate e classificate, dal Welfare Index PMI, in 12 aree:

1. Previdenza integrativa
2. Sanità integrativa
3. Servizi di assistenza
4. Polizze assicurative
5. Conciliazione vita-lavoro e tutela delle pari opportunità
6. Sostegno economico ai dipendenti e alle famiglie
7. Formazione per i dipendenti
8. Sostegno all’istruzione di figli e familiari
9. Cultura, ricreazione e tempo libero
10. Sostegno ai soggetti deboli e integrazione sociale
11. Sicurezza e prevenzione degli incidenti
12. Welfare allargato al territorio e alla comunità.

Ma qual è la situazione dopo lo scatto di questa nuova “fotografia”?

Se nel Rapporto 2016 il welfare aziendale è stato definito un movimento giovane e in piena evoluzione, oggi viene confermata appieno la definizione ma, sottolineando, come l’evoluzione proceda in modo non omogeneo: assai più rapido in alcuni gruppi di aziende e in alcune aree del welfare, e necessariamente più lento nella grande massa delle piccole e medie imprese e nell’insieme generale delle iniziative.

Le protagoniste della crescita del welfare aziendale si confermano essere le imprese già̀ molto attive che, nell’ultimo anno, hanno ulteriormente esteso le prestazioni offerte ai lavoratori. Ed anche le aree seguono questo movimento non omogeneo. Per alcune di esse c’è una decisa accelerazione delle attività di welfare delle PMI, con un ottimo e superiore incremento del tasso di iniziativa: si tratta della sanità integrativa, dal 39% nel 2016 al 47% nel 2017; della conciliazione vita-lavoro, dal 22% al 31%; del welfare allargato al territorio, dal 15% al 23%. In altre due aree la crescita procede ma decisamente meno rapidamente: i servizi di assistenza, dal 5% all’8%; la cultura, ricreazione e tempo libero, dal 3% al 5%. Nelle altre aree invece non si registrano significative variazioni [cit. “Rapporto 2017”; fig. 23, pag. 35].

Altro dato che suscita attenzione – e leggibile nel Rapporto 2017 – è la frequenza di nuove iniziative di welfare per le PMI molto attive e considerate “le migliori”. È stata svolta, infatti, un’analisi in profondità su 109 imprese “Best Practices” che, nel 2016, hanno intrapreso un numero interessante di nuove e lodevoli iniziative, le “migliori pratiche di welfare”.

Le aree più interessate da progetti nuovi, sono: il sostegno economico (13 casi su 109) con iniziative come l’anticipo del TFR, anche oltre gli obblighi di legge, i prestiti aziendali, i premi di risultato trasformati in servizi di welfare tramite piattaforma; la sanità integrativa (9 casi), con la sottoscrizione di nuove polizze, l’incremento di coperture su polizze già esistenti, la stipula di convenzioni con studi medici; la conciliazione vita-lavoro (9 casi), con iniziative di smart-working con telelavoro e concessione di flessibilità oraria aggiuntiva; la formazione avanzata ai dipendenti (9 casi); ed infine nuove iniziative per la sicurezza e la prevenzione degli incidenti oltre quelle obbligatorie (9 casi). Le PMI con un livello più elevato di welfare aziendale hanno anche intrapreso altre nuove iniziative nelle aree del welfare allargato al territorio, delle assicurazioni per i lavoratori, dei servizi di assistenza, delle iniziative culturali e per il tempo libero.

Altra importante novità del 2017 è che la Ricerca ha coinvolto tutti e 5 i settori produttivi. Ed infatti, un’ulteriore considerazione interessante da fare in merito ad aree e progetti di welfare, si lega alla “natura” delle piccole e medie imprese intervistate: le iniziative di welfare aziendale si distribuiscono in modo molto differenziato da settore a settore.

Le imprese dell’industria presentano tassi di iniziativa molto elevati nella maggior parte delle aree mentre quelle del commercio e dei servizi sono più attive in aree come la sanità integrativa, le polizze assicurative, il sostegno economico ai lavoratori. Gli studi e servizi professionali investono in aree di welfare specifiche per la propria attività e per le caratteristiche organizzative degli studi e, in queste aree, raggiungono livelli di iniziativa molto elevati: la formazione dei dipendenti, la sicurezza e prevenzione degli incidenti, la conciliazione vita-lavoro. Nell’artigianato la dimensione molto piccola delle imprese non favorisce la diffusione delle iniziative in tutte le aree del welfare aziendale. Questo settore si caratterizza per elevati tassi di iniziativa nelle assicurazioni per i dipendenti e nella sicurezza e prevenzione degli incidenti. Ed infine, l’agricoltura che raggiunge tassi di iniziativa molto elevati particolarmente nel sostegno economico, nella formazione, nella conciliazione vita-lavoro, nella sicurezza e prevenzione.

Un posizionamento peculiare nel welfare aziendale lo occupa, invece, il Terzo Settore. Molte organizzazioni che ne fanno parte si propongono scopi sociali coincidenti con gli obiettivi del welfare e quindi in molte offrono al mercato servizi di welfare aziendale. Le imprese del terzo settore raggiungono livelli di iniziativa molto elevati nelle aree della conciliazione vita-lavoro, del welfare allargato al territorio e alla comunità, della formazione, della sanità integrativa, sicurezza e prevenzione degli incidenti, della cultura, ricreazione e tempo libero [cit. “Rapporto 2017”; fig. 26, pag. 39].

E per finire, torniamo ad un’osservazione più generale. Considerando che l’indagine Welfare Index PMI 2017 ha esaminato più di cento tipi di iniziative intraprese dalle aziende italiane, possiamo concludere dando un’occhiata a quello che è il “tasso di iniziativa” nelle 12 aree del Welfare aziendale.

Al primo posto, con un tasso del 46,3%, le
polizze assicurative per il personale, diverse dalle assicurazioni previdenziali e sanitarie; tuttavia, se escludiamo le polizze infortuni che in molti casi sono obbligatorie, il tasso di iniziativa nelle assicurazioni scende al 17,1%. In altre cinque aree l’iniziativa
delle imprese è molto elevata, pari o superiore al 33%. Si tratta del sostegno economico ai lavoratori, della sicurezza e prevenzione degli incidenti (con iniziative aziendali aggiuntive a quelle obbligatorie), della formazione del personale (anche in questo caso con iniziative aggiuntive a quelle obbligatorie), della conciliazione vita-lavoro (con iniziative prevalentemente di flessibilità degli orari). La sanità integrativa fa parte di questo gruppo: il 34,8% delle imprese ha attuato iniziative, prevalentemente aderendo ai fondi istituiti dai CCNL (ricordiamo che in alcune categorie l’adesione non è obbligatoria). Se limitiamo l’ambito della sanità integrativa alle sole iniziative aziendali, queste sono attuate da un numero minore di imprese: l’8,2%. Le iniziative aziendali di previdenza integrativa sono attuate invece dal 23,4% delle imprese. Ed infine restano quelle aree con tassi di iniziativa meno elevati:
il welfare allargato al territorio (17,3%), il sostegno ai soggetti deboli e all’integrazione sociale (7,7%), i servizi di assistenza per i lavoratori e le loro famiglie (6,7%), le iniziative per la cultura, la ricreazione e
il tempo libero (5,8%), il sostegno all’istruzione dei familiari (2,7%) [cit. “Rapporto 2017”; fig. 22, pag. 34].

Naturalmente abbiamo ripercorso velocemente alcune delle interessanti analisi sulle iniziative e sulle aree del welfare aziendale più attive e presenti, nel generale percorso di crescita del Welfare in Italia. Per un ulteriore approfondimento su questa tematica si rimanda ovviamente ai dettagli ed ai numeri del Rapporto 2017 (in particolare, al Capitolo 3 “Mappa del Welfare aziendale”).

Flexible Benefit: cosa sono e quanto sono diffusi in Italia?

Nell’ambito del welfare aziendale, che, come abbiamo visto nei precedenti articoli, rappresenta l’insieme delle iniziative che le imprese mettono in atto per migliorare il benessere e la sicurezza dei lavoratori e delle loro famiglie, sta acquisendo sempre maggiore rilevanza il dibattito sull’utilizzo dei c.d. flexible benefit.

Di cosa si tratta? I flexible benefit rappresentano un modello alternativo di remunerazione del lavoro dipendente, non avente carichi impositivi e contributivi, costituito da quell’insieme di beni, servizi e prestazioni non monetari che un’impresa può erogare ai propri lavoratori, in aggiunta alla “normale” retribuzione monetaria, al fine di incrementarne il potere di acquisto e di migliorarne la qualità della vita. In altri termini, si tratta di schemi di retribuzione flessibile, che consentono di integrare o sostituire una quota del pacchetto retributivo accessorio del dipendente con beni e/o servizi in natura che normalmente vengono acquistati dal dipendente all’esterno per far fronte ad esigenze personali o familiari. Ne sono un esempio la frequenza di corsi di lingua o di altri corsi di formazione, l’acquisto di abbonamenti a cinema o a teatri, la sottoscrizione di polizze sanitarie, l’erogazione di forme di trasporto collettivo, e così via.

Perché si parla di benefici “flessibili”? Perché al lavoratore viene assegnato un budget di spesa e può comporre liberamente, in maniera personalizzata, il paniere di beni e servizi che più rispecchia le proprie necessità: ecco il motivo per cui qualcuno definisce i flexible benefit come il “carrello della spesa” del dipendente. Inoltre, ogni impresa è in grado di definire liberamente gli obiettivi e i contenuti delle iniziative proposte.

Per quanto riguarda i vincoli, le erogazioni dovranno essere connotate dalle particolari finalità di eduzione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, e dovranno essere offerte alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti; inoltre, dovranno essere messe a disposizione direttamente dal datore di lavoro o, nel caso di strutture esterne all’azienda, solo se il dipendente rimane estraneo al rapporto economico che intercorre tra l’azienda e il terzo erogatore del servizio.

Relativamente ai vantaggi, i flexible benefit consentono di abbattere il cuneo fiscale tanto per il dipendente quanto per l’azienda: dal lato del dipendente, la quota di reddito erogata sotto forma di flexible benefit non sarà soggetta a trattenute contributive o fiscali; dal lato dell’impresa, questa non sarà tenuta a corrispondere i contributi previdenziali sulla medesima parte di reddito. Ai vantaggi della detassazione si aggiungono altri benefici intangibili, come un aumento della motivazione dei dipendenti, un miglioramento del clima aziendale e una migliore conciliazione della vita lavorativa con quella privata e familiare, per citarne alcuni.

Sorprende dunque che i flexible benefit siano scarsamente utilizzati in Italia. Come evidenziato dai dati del Rapporto Welfare Index PMI 2017, infatti, la gran parte delle PMI del nostro Paese ne è totalmente priva. Questo principalmente a causa di una scarsa conoscenza di questo strumento: difatti, il 70,2% delle imprese non sanno di cosa si parli, mentre soltanto una quota pari al 5,8% ritengono di averne una conoscenza approfondita e dettagliata; il 24% delle imprese, poi, dichiarano di essere a conoscenza dei flexible benefit, ma di non averne approfondito modalità di utilizzo e vantaggi. Come evidenziato dal Rapporto, “anche sul tema dei flexible benefit appare molto forte la correlazione tra informazione e capacità di iniziativa”, con le imprese attive in almeno sei aree del welfare aziendale ad avere un livello di conoscenza quasi doppio delle imprese meno attive. Preoccupanti sono inoltre i dati relativi all’utilizzo di questo strumento, adoperato soltanto da una quota pari all’1% delle imprese che lo conoscono (come detto, pari al 29% del totale delle imprese), con il 69,9% che hanno dichiarato di non essere interessate al suo utilizzo e il 29,1% che ritengono di poterlo fare in futuro.

Completano il quadro i dati sulla convertibilità dei premi di produzione in welfare: come evidenziato dall’edizione 2017 del Rapporto Welfare Index PMI, “il 92% delle imprese non ne hanno alcuna conoscenza o ne hanno una conoscenza solamente generica, e solamente il 7,9% dichiarano di averne una conoscenza approfondita”, mentre soltanto “il 4% delle imprese dichiarano di utilizzare servizi di welfare come componente dei premi di produttività”. Anche in questo caso, la conoscenza di questi strumenti appare più elevata tra le imprese molto attive nel welfare aziendale.

Concludendo, la necessità per le aziende di ottimizzare i costi e contenere la perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni dei lavoratori rende indispensabile indirizzare le aziende verso nuove soluzioni: i benefit flessibili possono rappresentare uno strumento vincente, ma risulta necessario che tutte le imprese conoscano approfonditamente questa modalità innovativa di retribuzione dei lavoratori e le sue indubbie potenzialità.

Prof. Marco Meneguzzo
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata

Le aree di azione del welfare aziendale: tendenze in atto e opportunità per le PMI

La perdurante crisi sociale ed economica, a cui assistiamo oggi in Italia, costringe la maggior parte delle aziende a rivedere i propri costi e a tagliare molti servizi. In quest’ottica, le aziende più accorte, per non essere costrette a drastici tagli del personale, cercano strade alternative per coniugare una politica di riduzione dei costi con il benessere dei propri dipendenti.

Una di queste strade è sicuramente quella del welfare aziendale, rappresentato da quell’insieme di incentivi e servizi che l’impresa fornisce ai propri dipendenti per migliorare la qualità delle loro vite e garantire, al tempo stesso, un incremento della produttività aziendale.

Le iniziative che le aziende possono intraprendere in termini di welfare aziendale possono riguardare diverse aree d’azione, mappate nel Rapporto Welfare Index PMI. Nell’edizione 2017 la ricerca ne individua 12.

1. PREVIDENZA INTEGRATIVA
È uno strumento tramite il quale i lavoratori, attraverso un’autonoma scelta individuale, decidono di effettuare un investimento sul proprio futuro pensionistico. Nel settore privato, tale forma di welfare è divenuta una forma di gratificazione particolarmente appetibile, soprattutto in periodi di contenimento delle politiche salariali e di bassa inflazione.

Essa prevede: contributi aggiuntivi al fondo pensione nazionale di categoria; assicurazioni previdenziali o fondi aziendali di previdenza complementare. Il vantaggio della previdenza complementare si concretizza nella possibilità di godere di un particolare favore fiscale, vale a dire della deducibilità dal reddito complessivo dei contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro alle forme di previdenza complementare.

2. SANITÀ INTEGRATIVA
Gli interventi di welfare aziendale per quanto concerne l’area della sanità integrativa si concretizzano in due tipologie differenti di istituti: le assicurazioni sanitarie commerciali e i fondi sanitari integrativi. I primi operano sulla base di principi attuariali, secondo i quali i premi sono fondati su stime probabilistiche relative alle frequenze e al costo dei sinistri; i secondi invece si configurano come forme di mutualità volontaria di natura integrativa rispetto al Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

Molte aziende mettono a disposizione dei propri dipendenti programmi di assicurazione sanitaria integrativa. Talvolta, al dipendente viene offerta la possibilità di estendere la copertura sanitaria anche ai propri familiari (coniuge, convivente, eventuali figli) dietro pagamento di una piccola quota. Le prestazioni offerte da questi programmi possono comprendere la copertura di differenti tipologie di prestazioni mediche. Tra le pratiche di welfare implementate dalle imprese, l’assistenza sanitaria integrativa è quella che maggiormente viene riconosciuta dagli utenti e che permette più di tutte il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

3. SERVIZIO DI ASSISTENZA
Gli impegni di cura verso gli anziani e i figli sono, per i lavoratori e soprattutto per le lavoratrici, compiti gravosi che pregiudicano la possibilità di dedicarsi serenamente al lavoro. I servizi di assistenza, intesi nell’ottica del welfare aziendale, da una parte, permettono di ottenere vantaggi economici dall’accesso a servizi agevolati acquistati dall’azienda e, dall’altra, assolvono alla conciliazione famiglia-lavoro, mettendo a disposizione dei lavoratori servizi e personale in grado di completare/integrare la cura delle persone che ne hanno bisogno.

4. ASSICURAZIONE PER I DIPENDENTI E LE FAMIGLIE
In tema assicurativo particolare rilievo viene dato alla scelta del legislatore di prevedere, nell’ambito dei servizi esclusi dalla tassazione, quelli destinati al supporto dei dipendenti e dei loro familiari in caso di incidenti o patologie che possano renderli non autosufficienti.

5. CONCILIAZIONE VITA LAVORO E PARI OPPORTUNITÀ
Tra gli strumenti a disposizione delle imprese, assume particolare rilevanza quello della conciliazione tra i tempi della vita privata e quelli della vita lavorativa. Affinché il lavoro professionale diventi un’opportunità per tutti, le soluzioni sono da ricercare a livelli differenti: a livello privato, riequilibrando il carico familiare all’interno della coppia; a livello aziendale, attraverso un incontro tra le esigenze dell’impresa e quelle dei lavoratori; infine, a livello pubblico, mediante il sostegno, la diffusione e la qualificazione dei servizi pubblici.

Il diritto a un equilibrio tra famiglia e lavoro costituisce elemento fondamentale della qualità del lavoro. L’aumento del numero delle donne che lavorano e delle famiglie in cui entrambi i coniugi lavorano prevedono la necessità di trovare soluzioni legate alla cura dei figli o dei genitori anziani. Motivare un dipendente non significa però soltanto riconoscergli benefici monetari, ma anche permettergli di vivere la propria vita, di godersi la propria famiglia, di non aver paura di una sostituzione in caso di gravidanza.

Nella pratica, dunque, occorre tutta una serie di programmi volti a supportare i lavoratori nel conciliare tempi di vita e tempi di lavoro. Al fine di sviluppare determinate misure d’intervento, un’impresa può agire su quattro leve, tra loro complementari: organizzazione del lavoro, cultura aziendale, sistema di retribuzione, servizi aziendali.

Per conciliare vita lavorativa e privata, il welfare aziendale punta a sostenere una serie di servizi quali: servizi per il disbrigo di pratiche burocratiche; scuole materne, centri gioco, doposcuola; convenzioni con centri sportivi, ricreativi, culturali; trasporto aziendale e convenzioni con trasporto locale; iniziative aziendali nell’ambito di sport, cultura e tempo libero.

6. SOSTEGNO ECONOMICO AI DIPENDENTI E ALLE FAMIGLIE
Questo si sostanzia in una serie di misure quali: alloggi gratuiti o a prezzi agevolati; rimborso dell’abbonamento a mezzi pubblici; soggiorni estivi e colonie per i figli; mensa aziendale; convenzioni con mense e ristoranti; buoni pasto; prestiti agevolati, microcredito, garanzie per mutui; convenzioni e facilitazioni per l’acquisto di beni di consumo; iniziative di contrasto all’abbandono scolastico.

7. FORMAZIONE AI DIPENDENTI
Il capitale umano dell’azienda rappresenta un fattore essenziale per la sua competitività nel futuro. L’attivazione di diversi canali di formazione, l’aggiornamento continuo, lo sviluppo delle competenze permette all’impresa di evitare la stagnazione delle abilità dei propri collaboratori. Tra i vari strumenti che possono essere utilizzati, ci sono:

    • Corsi di formazione: la formazione del dipendente oltre gli obblighi di legge è una parte consistente della responsabilità sociale d’impresa e del welfare aziendale per lo sviluppo e l’innovazione del capitale umano. Non si tratta esclusivamente di mettere a disposizione progetti formativi tecnici aderenti allo sviluppo personale, ma può anche riguardare lo sviluppo di altre competenze gestionali e relazionali;
    • Congedi formativi: tra gli strumenti maggiormente utilizzati per agevolare lo studio e la specializzazione dei dipendenti, possono essere previsti brevi permessi o veri e propri congedi per tempi più lunghi;
    • Borse di specializzazione: alcune aziende prevedono borse di studio finalizzate a sostenere e a favorire il percorso formativo dei dipendenti.

8. SOSTEGNO ALL’ISTRUZIONE DI FIGLI E FAMILIARI
Nell’ambito di questa misura sono previsti: viaggi di studio all’estero; sostegno alla frequenza di corsi di laurea e master; formazione linguistica; orientamento scolastico e professionale; rimborso dei libri di testo; riconoscimenti al merito scolastico dei figli.

9. CULTURA, RICREAZIONE E TEMPO LIBERO
Per una buona pratica di welfare aziendale, rilievo particolare va dato alla cultura, alla ricreazione, al tempo libero. Possono essere implementate varie attività, come ad esempio ingressi a tariffa agevolata a cinema e a teatri. Oppure si può prevedere la costruzione di una biblioteca aziendale, che non rappresenta di per sé un impegno gravoso anche per una piccola o media impresa, dal momento che gli spazi dedicati possono essere anche limitati a qualche scaffale a muro e i libri possono essere scelti e messi a disposizione dalle biblioteche personali dai dipendenti stessi.

Alcune imprese hanno realizzato al proprio interno spazi dedicati al relax temporaneo. Può trattarsi di una semplice stanza con riviste, giochi, computer, stanze per concentrarsi, palestre con attrezzature per permettere ai dipendenti di praticare esercizio fisico, durante la pausa pranzo. Momenti di difficoltà personale, i disagi e le insoddisfazioni possono influire sulle prestazioni lavorative e sul clima di lavoro in ufficio o in un reparto. Un punto d’ascolto interno attraverso la gestione di un processo di counselling è uno spazio dedicato ad ascoltare e sostenere il personale che ne fa richiesta, siano essi manager, impiegati, mamme in rientro dal congedo, operai. Possono essere svolti momenti di ascolto periodico anche con questionari anonimi o focus group per reparti con l’obiettivo di anticipare problemi e trovare soluzioni condivise.

10. SOSTEGNO AI SOGGETTI DEBOLI E INTEGRAZIONE SOCIALE
Possono essere previste: iniziative per favorire l’inserimento dei disabili; iniziative per favorire l’inserimento di altri soggetti deboli (ad es. ex detenuti); formazione linguistica per gli immigrati; mediazione culturale; sostegni per l’abitazione; assistenza per pratiche burocratiche.

11. SICUREZZA E PREVENZIONE DEGLI INCIDENTI
Una pratica di welfare aziendale non può prescindere dalla pratica di: codici di comportamento per la sicurezza; attività informative e educative per la prevenzione; certificazioni volontarie della sicurezza.

12. WELFARE ALLARGATO AL TERRITORIO
Infine, le buone pratiche di welfare possono essere estese al territorio in cui l’azienda è inserita, in particolare in materia di: case e alloggi; trasporti; scuole e asili nido; eventi culturali e ricreativi; contributo e supporto a iniziative di volontariato.

Per le aziende mettere in pratica misure relative a queste aree presuppone il raggiungimento di consistenti benefici non solo per i dipendenti ma anche per l’impresa stessa. L’obiettivo primario rimane il benessere organizzativo, che si traduce in un reale miglioramento del clima aziendale e che permette di innalzare il grado di soddisfazione e di permanenza aziendale.

Si investe per realizzare un sistema di welfare aziendale avanzato e innovativo che permetta alle persone di approcciarsi al lavoro per ottenere una realizzazione professionale ma anche personale. La condivisione degli obiettivi, l’essere riconosciuti per il proprio operato, instaurare buoni rapporti con i superiori e con i colleghi sono elementi che creano benessere personale, da cui scaturisce in automatico benessere organizzativo.

Occorre infine stabilire un percorso strutturato di monitoraggio, misurazione e valutazione del sistema di welfare, che consenta di identificare i punti di forza e i punti di debolezza di ciascuna iniziativa, per affermare l’impresa e soddisfare il lavoratore.

PROF. MARCO MENEGUZZO
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Legge di Bilancio 2017: premio in denaro convertibile in servizi di Welfare

E’ questo l’effetto della Legge di Bilancio per il 2017, secondo cui da quest’anno il lavoratore può chiedere al datore di lavoro di convertire il premio di risultato anche con i “benefit” previsti dal comma 4 dell’art. 51 del TUIR (autovetture a uso promiscuo, prestiti, immobili ad uso foresteria, trasporto ferroviario) e non più solo con quelli previsti al comma 2 (i cd “servizi sociali”, dall’istruzione alla ricreazione, dall’assistenza sanitaria a quella sociale, dalla cura dei figli all’assistenza agli anziani) e all’ultimo periodo del comma 3 (servizi  di importo non superiore nel periodo d’imposta a euro 258,23).

Ma andiamo con ordine. Ogni dipendente può individualmente scegliere di trasformare, in tutto in parte, il premio in denaro spettante sulla base di un accordo sindacale di produttività in “premio sociale” spendibile quindi in servizi di Welfare.

Il vantaggio per il dipendente è innanzitutto di tipo fiscale, considerato che la somma in denaro deve essere decurtata delle ritenute contributive e fiscali di legge a suo carico (anche se queste ultime ridotte al 10%); invece il valore del premio sociale non è soggetto ad alcuna trattenuta.

Mentre la Legge di stabilità per il 2016 limitava la conversione ai servizi del comma 2 e dell’ultimo periodo del comma 3, con la nuova Legge di bilancio risultano ampliate le possibilità di sostituzione, essendo estese anche ai benefit del comma 4.
In caso di sostituzione, tuttavia, i benefit prescelti sono da assoggettare a tassazione secondo le regole ordinarie di determinazione convenzionale del reddito imponibile.

Anche se sono attesi necessari chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, facciamo un esempio in caso di auto aziendale già assegnata al dipendente per uso promiscuo (cioè sia per lavoro sia a fini privati). Il vantaggio per il lavoratore potrebbe consistere nell’abbattimento dei contributi e dell’irpef dovuti sul reddito imponibile convenzionale di 4.500 km annui valorizzati al costo unitario Aci. Ma se invece egli non risultasse già assegnatario dell’auto e scegliesse questo benefit in sostituzione del premio? Bisognerebbe innanzitutto che il datore di lavoro fosse disponibile a sostenerne il costo economico di acquisizione (noleggio, leasing, acquisto diretto ecc.) e questo non è poi così scontato.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Rapporto 2016. Il welfare e la previdenza complementare

Il Rapporto 2016 Welfare Index Pmi, realizzato attraverso una ricerca condotta su 2.140 aziende dei tre settori produttivi: industria, commercio e servizi e agricoltura ha esaminato in dettaglio le iniziative che compongono le 10 aree del welfare aziendale.

Un terzo delle PMI prevede contributi aggiuntivi a carico dell’azienda ai fondi di previdenza complementare. Il 15,9% ha aderito ad assicurazioni previdenziali o a fondi previdenziali aziendali o a fondi aperti. Nell’88,9% dei casi le iniziative sono a beneficio di tutti i lavoratori, ma un 11% delle imprese ha previsto benefit previdenziali per i soli dirigenti o responsabili aziendali. Nel 78,2% dei casi le imprese si limitano ad attuare i contratti di categoria, il 9,7% delle imprese hanno previsto benefit previdenziali nel contratto integrativo aziendale, il 12,1% hanno attuato iniziative unilaterali.

Agenzia delle Entrate: la polizza assicurativa per coprire prestazioni di assistenza sanitaria

Con risposta ad interpello n. 904-1532/2016 l’Agenzia delle Entrate si è di recente pronunciata sulla possibilità da parte dei datori di lavoro di offrire alla generalità o categorie di dipendenti una specifica polizza assicurativa di assistenza sanitaria che preveda per i beneficiari e i loro familiari esclusivamente prestazioni di servizi da parte di strutture sanitarie convenzionate, senza quindi risarcimenti e/o rimborsi di spese per prestazioni, usufruendo del regime di esenzione da imposizione sul reddito da lavoro dipendente previsto dall’art. 51, comma 2, lettera f) del TUIR in relazione ai servizi di assistenza sanitaria.

Secondo l’istante tra i predetti servizi, accanto a quelli già contemplati che prevedono la messa a disposizione diretta dei dipendenti di strutture sanitarie oppure il ricorso a strutture esterne con le quali il datore di lavoro stipula specifiche convenzioni, ben può rientrare la sottoscrizione di specifiche polizze di assistenza sanitaria in forma esclusivamente diretta, ove i dipendenti si avvalgono di strutture convenzionate con la Compagnia assicurativa. In questo caso, al fine di godere delle agevolazioni fiscali, non è necessario l’intervento di un ente o cassa avente esclusivamente fine assistenziale.

L’Agenzia delle Entrate conferma invece che nel caso di specie è inapplicabile il regime di esclusione da imposizione sul reddito da lavoro dipendente poiché i premi assicurativi sono posti a carico del datore di lavoro ed i dipendenti interessati dal rapporto assicurativo non sono contraenti in senso tecnico ma terzi assicurati, ragion per cui l’importo corrispondente ai premi pagati dal datore di lavoro in nome proprio e per conto di ciascun dipendente-assicurato costituisce reddito quale “valore” percepito in relazione al rapporto di lavoro. Infatti già la circolare del 23 dicembre 1997, n. 326, aveva ricompreso, tra le somme ed i valori soggetti ad imposizione in quanto riconducibili al rapporto lavorativo, i premi per assicurazioni sanitarie pagati dal datore di lavoro.

Peraltro, la posizione di svantaggio fiscale che, nell’ambito del Welfare aziendale, occupano tutte le polizze assicurative, i cui premi pagati dal datore di lavoro a favore dei propri dipendenti sono normalmente soggette ad imposizione, è stata almeno in parte superata dalla recente Legge di Bilancio per il 2017 (legge n. 232/2016) che, al comma 161 dell’articolo unico, ha stabilito che non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente i contributi e i premi assicurativi versati dal datore di lavoro, a vantaggio della generalità o categorie di dipendenti, per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana o il rischio di gravi patologie.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Rapporto 2016. Formazione e sostegno alla mobilità

Il Rapporto 2016 Welfare Index Pmi, realizzato attraverso una ricerca condotta su 2.140 aziende dei tre settori produttivi: industria, commercio e servizi e agricoltura ha evidenziato come l’area con la maggiore frequenza di iniziative è quella relativa alla “Formazione e sostegno alla mobilità” (fig. 1).

Nella maggior parte dei casi si tratta di formazione professionale: di base (56,9%) e avanzata (34,3%). Sono presenti anche altre iniziative di valorizzazione delle persone: formazione linguistica (15,3%) e altre meno diffuse come master o business school per talenti (1,6%), borse di studio (1,5%), viaggi di studio all’estero (1,2%). Il 36% delle imprese non attua alcuna di queste iniziative.

La diffusione di sostegni per la formazione e la mobilità delle nuove generazioni è solamente iniziale: servizi di orientamento scolastico o professionale (1,3%), riconoscimenti al merito scolastico (0,3%), rimborso di libri di testo (0,2%), iniziative di contrasto all’abbandono scolastico (0,1%). Il 94,3% dei servizi sono per tutti gli addetti, il 5,6% per i dirigenti o responsabili aziendali.

Pressoché tutte le iniziative (97,5%) sono interamente a carico dell’azienda. Le iniziative si dividono equamente tra quelle decise unilateralmente dall’azienda (48,5%) e quelle in applicazione dei contratti di categoria (45,5%). Pochi i casi di accordi sindacali aziendali: 5,9%.

 

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Fig. 1

Se previsto dai contratti collettivi di lavoro, fare Welfare è obbligatorio per l’Azienda

Se previsto dai contratti collettivi di lavoro, accordi o regolamenti aziendali, fare Welfare è obbligatorio nonché vincolante per l’Azienda e ciò comporta non solo vantaggi ma anche possibili svantaggi. Esaminiamoli.

Dalla parte dei benefici, certamente l’incremento della soddisfazione dei dipendenti e l’ottimizzazione dei costi aziendali grazie alle agevolazioni fiscali concesse dalla normativa. Sotto quest’ultimo punto di vista abbiamo la non concorrenza al reddito di lavoro dipendente degli strumenti di Welfare, nonché – ed è questa un’altra importante novità della scorsa legge di stabilità – la totale deducibilità dal reddito d’impresa delle relative spese sostenute dal datore di lavoro.

Dalla parte degli svantaggi, invece, il mancato rispetto del datore di lavoro del vincolo contrattuale assunto, può addirittura comportare la richiesta di risarcimento del danno da parte dei dipendenti.

E’ quanto recentemente accaduto con la sentenza n.2657 del Tribunale di Milano dell’11 ottobre 2016, ove il giudice del lavoro ha condannato un’Azienda che non aveva attivato la polizza obbligatoria per invalidità permanente in favore del proprio dirigente, stabilendo in suo favore un risarcimento pari a euro 220.000,00, cioè l’importo massimo cui avrebbe avuto diritto con regolare polizza. E’ accaduto che al dirigente, dopo l’assunzione, veniva diagnosticata una patologia oncologica che lo costringeva a sottoporsi ad intervento chirurgico a cui è conseguita la riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo.

L’art. 12, comma 5, del CCNL dirigenti di aziende industriali, stabilisce infatti che l’Azienda deve stipulare, nell’interesse del dirigente, una polizza che assicuri, comunque una sola volta, in caso di morte o di invalidità permanente tale da ridurre in misura superiore ai 2/3 la capacità lavorativa specifica del dirigente, per cause diverse da quella dell’infortunio comunque determinato e da malattia professionale, una somma pari ad euro 150.000,00 se il dirigente non ha figli a carico né coniuge; pari a euro 220.000,00 qualora il nucleo familiare del dirigente interessato risulti composto da uno ovvero da più figli a carico e/o dal coniuge.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Gli obiettivi e le politiche delle imprese

Per quali motivi le PMI attuano iniziative di welfare aziendale? Abbiamo individuato dieci possibili obiettivi per l’impresa.
Un terzo delle aziende attribuisce un’importanza notevole (somma dei giudizi “molto importante” e “fondamentale”) alla maggior parte di essi (fig. 1).

Obiettivi del Welfare Azeindale fig 1
Fig. 1

Le imprese esprimono giudizi simili sull’intero arco degli obiettivi aziendali. Sono molto condivisi gli obiettivi di gestione delle risorse umane: fidelizzare le risorse aziendali più qualificate (34,7%) e fidelizzare gli addetti in generale (31,2%), migliorare la produttività del lavoro (31,4%), migliorare il clima aziendale e la soddisfazione degli addetti (29,7%). Di pari livello la considerazione di obiettivi strategici per la sostenibilità del business: rendere sostenibile a lungo termine il successo aziendale (32,1%), migliorare l’immagine e la reputazione dell’azienda (33,9%). I benefici economici più immediati non appaiono altrettanto prioritari, pur se hanno una importante funzione di supporto: contenere il costo del lavoro (26,8%), utilizzare i vantaggi fiscali (22,4%).

Le valutazioni di importanza degli obiettivi sono tra loro molto correlate (fig. 2). Gli indici di correlazione sono tutti superiori al 50% e in molti casi al 70%. Ciò significa che le imprese che hanno dato valutazioni di importanza elevata l’hanno fatto tendenzialmente per tutti gli obiettivi del welfare aziendale, e similmente si sono comportate le imprese che hanno espresso valutazioni di scarsa importanza.

Quindi gli obiettivi non discriminano i profili aziendali. Un’impresa su quattro attua iniziative di welfare perché ritiene che siano molto importanti o fondamentali per l’intero arco degli obiettivi aziendali.

Obiettivi del Welfare Azeindale fig 2
Fig. 2

Considerazioni simili emergono dall’analisi di quanto le imprese ritengono che le iniziative di welfare siano efficaci per gli obiettivi aziendali (fig. 3).  Per la maggior parte degli obiettivi un numero di imprese oscillante tra il 25 e il 30% ritiene che le iniziative attuate siano state eccellenti o molto efficaci. La maggiore efficacia è attribuita all’impatto del welfare sull’obiettivo di rendere sostenibile a lungo termine il successo aziendale (30,2%) e sull’immagine e la reputazione dell’azienda (28,1%). Le iniziative di welfare aziendale sono considerate molto o moltissimo efficaci anche per gli obiettivi di fidelizzare le risorse più qualificate (29,5%) e gli addetti in genere (26%), nonché di migliorare il clima aziendale (26,5%).

Obiettivi del Welfare Azeindale fig 3
Fig. 3

La piattaforma web per gestire piani di welfare

Con risposta ad interpello n. 904-1533/2016 dello scorso 18 novembre, l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata positivamente sull’utilizzo di una piattaforma web per la gestione dei Piani di Welfare aziendali che consenta ai dipendenti la fruizione integrata e flessibile dei servizi previsti dal piano stesso secondo le proprie necessità ed esigenze

Il datore di lavoro può quindi mettere a disposizione dei propri lavoratori i beni e servizi prescelti mediante un piattaforma informatica alla quale ognuno degli interessati può collegarsi per scegliere il paniere di servizi che più gli aggrada, con l’unico limite del budget figurativo complessivo di spesa assegnato. Secondo l’Agenzia delle Entrate questa modalità di gestione del Piano Welfare non impedisce di godere dei benefici fiscali previsti dalla normativa, sempre che il plafond individuale, in caso di non utilizzo, non venga convertito in denaro e rimborsato al lavoratore in quanto, poiché l’esenzione da imposizione è riferibile unicamente alle erogazioni in natura e non si estende alle erogazioni sostitutive in denaro, sono escluse dall’agevolazione le erogazioni di somme, anche indirette, da parte del datore di lavoro che possono consistere in rimborsi o anticipazioni di spese sostenute dal dipendente o dai suoi familiari.

Per quanto riguarda l’entità del budget figurativo di spesa riconosciuto ai dipendenti e la possibilità di diversificarlo per ognuno di loro a titolo premiale, l’Agenzia ritiene che per mantenere le agevolazioni fiscali è necessario che il plafond di spesa, seppur differenziato, abbia quanto meno la medesima consistenza all’interno della singola categoria omogenea di dipendenti considerata.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP