Quanto costa a una PMI il welfare aziendale?

Il Rapporto 2016 Welfare Index PMI ha messo in luce il fatto che il welfare aziendale non ha un impatto pesante sui costi dell’impresa, anche per l’efficacia degli incentivi fiscali (Fig. 1).

Solamente il 7% delle imprese dichiara di sostenere costi aggiuntivi significativi per le iniziative di welfare, mentre il 35% sostiene costi aggiuntivi ma compensati dai benefici fiscali. La maggioranza delle imprese (57%) di fatto non sostiene costi aggiuntivi per il welfare aziendale.

La storia del welfare aziendale è piuttosto recente (Fig. 2). Più di metà delle imprese dichiara di avere attuato le prime iniziative di welfare negli ultimi dieci anni: la maggior parte (46%) da tre a dieci anni, e il 12% negli ultimi tre anni. Un piccolo gruppo di imprese (11%) ha una storia di welfare antica, iniziata da più di 25 anni, mentre il 31% di imprese appartengono alla generazione di mezzo, con un’anzianità delle iniziative da 10 a 25 anni.

I vincoli che frenano l’iniziativa di welfare delle piccole e medie imprese sono l’assenza di informazioni e di competenze dedicate e la dimensione insufficiente a raggiungere la massa critica. Per questo motivo le PMI hanno bisogno di associarsi e di essere supportate da servizi associativi.

Il 31,9% delle imprese considera fondamentale o molto importante poter contare su servizi comuni a cui potersi associare (Fig. 3). Il 23,8% attribuisce massima importanza ai servizi di informazione e consulenza forniti dalle associazioni imprenditoriali, ed il 22,5% agli accordi con altre imprese nel territorio. L’analisi più significativa si ottiene incrociando queste valutazioni con il livello di attività delle imprese, ovvero il numero di aree in cui esse attuano iniziative di welfare aziendale. Il divario tra le imprese molto attive e quelle inattive, nella valutazione dell’importanza delle associazioni tra imprese e dei supporti associativi, è estremamente elevato. Se consideriamo le imprese attive in più di 5 aree di welfare, il 59,6% considera di massima importanza i servizi di informazione e consulenza delle associazioni imprenditoriali; il 45,5% la disponibilità di servizi comuni di welfare a cui associarsi; il 43,8% la stipulazione di accordi con altre imprese nel territorio.

 

 

 

 

costo-welfare-aziendale
Fig. 1

 

costo-welfare-aziendale-2
Fig. 2

 

costo-welfare-aziendale-3
Fig. 3

Con la Manovra 2017, nuovi incentivi al Welfare aziendale

Con la manovra 2017 appena varata dal Governo viene ulteriormente incentivata la diffusione del Welfare in azienda.

Viene precisato innanzitutto che le agevolazioni fiscali derivanti dall’utilizzo dei vari servizi di Welfare indicati alla lettera f) del comma 2 dell’art. 51 del T.U.I.R. permangono anche qualora questi siano contrattati in ambito nazionale o territoriale e non solo ed esclusivamente a livello aziendale.

L’attuale formulazione della norma limita infatti il beneficio al rispetto delle “disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale”. Con la modifica richiesta la contrattazione dei servizi di welfare per finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto si sposta quindi al livello più alto.

Altra novità in arrivo riguarda la totale esenzione fiscale per i contributi o i premi versati dal datore di lavoro per le cosiddette polizze “long term care” e “dread disease”, per le terapie di lungo corso e malattie gravi. Oggi queste polizze hanno convenienza fiscale solo qualora il premio riferito ad ogni dipendente sia inferiore a euro 258,23 annue (art. 51, comma 3, del T.U.I.R), altrimenti rientrano a tutti gli effetti nella nozione di retribuzione e quindi sono soggette a tassazione e contribuzione Inps.

Ancora: in caso di scelta da parte del dipendente di usufruire di servizi sanitari oppure di previdenza complementare in luogo del premio di produttività, le somme destinate ai suddetti benefits non concorrono ai limiti di deducibilità di euro 3.615,20 per le spese sanitarie e di euro 5.164,57 per i versamenti alla pensione integrativa. Ad esempio se un lavoratore, che già versa alla propria previdenza complementare con 5.164,57 euro annue, sceglie di destinare a tal fine anche i 2.000,00 euro di premio di produttività, questi ultimi non concorrono a formare il suo reddito di lavoro dipendente anche se il limite fiscale è stato ampiamente superato.

Da ultimo: nei piani di welfare aziendale potranno rientrare anche la distribuzione di azioni della società datrice di lavoro ai propri dipendenti.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Le misure di welfare aziendale riscuotono più successo del tradizionale premio in denaro!

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha aggiornato alla data del 15 settembre 2016 i dati relativi ai contratti territoriali e aziendali istitutivi dei premi di produttività convertibili in servizi di Welfare per i quali è obbligatorio l’invio telematico.

In particolare alla data del 14 settembre 2016 sono stati depositati 15.078 accordi di cui 11.003 sono stati sottoscritti nel 2015 e 4.075 nei primi mesi del 2016. Più nel dettaglio, l’83% è di tipo aziendale, mentre il 17% di tipo territoriale; le regioni più coinvolte sono la Lombardia (28% del totale), l’Emilia Romagna (17%) e il Veneto (14%).

Dei 15.078 contratti depositati 2.626 prevedono misure di welfare aziendale, ovvero il 17% del totale. Il dato però più interessante è che con riferimento al solo anno 2016 la percentuale sale incredibilmente al 65% di quelli sottoscritti. Questo è un risultato di gran lunga migliore rispetto alle più rosee aspettative e, tenuto conto che la riforma fiscale del welfare aziendale è in vigore dal primo gennaio di quest’anno, la maggior parte di questi accordi è senz’altro stato negoziato a partire dai primi mesi dell’anno. Tradotto: le misure di welfare aziendale riscuotono più successo del tradizionale premio in denaro!

Il Ministero rileva che negli accordi trova spazio un ampio pacchetto di servizi che vanno dall’assistenza sanitaria alla previdenza, dalla gestione del tempo alla ristorazione.

Un’ulteriore spinta al Welfare aziendale potrebbe arrivare anche dalle misure allo studio del Governo per il 2017: da una parte è previsto l’incremento della somma individuale detassabile dei premi di risultato (da 2.000 a 3.000 euro), nonché l’allargamento della platea dei beneficiari con lo spostamento verso l’alto del limite di reddito per avere la tassazione agevolata (da 50.000 a 80.000 euro lordi annui); dall’altro, in caso di conversione del premio di risultato in servizi per sanità e previdenza integrativa non scatterebbero i limiti di deducibilità attualmente in vigore, 3.615,20 euro per le spese sanitarie e 5.164,57 euro per i versamenti alla pensione integrativa.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Perché e come si attiva un piano di Welfare Aziendale?

Il “perché” è che con l’erogazione dei servizi e delle prestazioni diversi dalla retribuzione in denaro si ottimizzano i costi aziendali applicando in modo attento le agevolazioni/flessibilità offerte dalla nuova normativa; si premia la produttività del lavoro sia collettivamente che individualmente; si garantisce ai dipendenti una maggiore soddisfazione, sia in termini di flessibilità nella gestione del rapporto di lavoro, sia in termini economici attraverso un più alto potere di acquisto rispetto al “netto” in busta paga.

Sul “come” è diventato ora più semplice individuare la modalità più rispondente alle esigenze del datore di lavoro grazie ai chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 28 del 15 giugno 2016. Un piano di Welfare Aziendale può essere volontario o negoziale.

A sua volta il piano di Welfare volontario può essere:

a) occasionale e/o frutto di una liberalità datoriale;
b) erogato tramite regolamento aziendale cioè mediante la stesura di un documento strutturato volontario e unilaterale da parte del datore di lavoro che lo impegna nei confronti dei dipendenti.

A sua volta il piano di Welfare negoziale può essere:

c) frutto di accordo sindacale aziendale (obbligatorio), se il welfare aziendale è abbinato al premio di risultato o di produttività;
d) frutto di accordo sindacale aziendale (facoltativo) se l’obbligazione del datore di lavoro ha ad oggetto, sin dal suo nascere, l’erogazione di beni e servizi e può essere adempiuta solo con tale modalità.

La scelta da parte del datore di lavoro di quale modalità attivare dipende:

– dalla composizione e dai fabbisogni manifestati da parte dei dipendenti, al fine di individuare i servizi/prestazioni da inserire nel piano;
– dai riflessi retributivi, fiscali e contributivi che i servizi/prestazioni scelti possono generare;
– dal grado di coinvolgimento dei dipendenti e delle loro rappresentanze sindacali nella scelta dei benefit;
– dal budget dei costi complessivi sostenibili dal datore di lavoro e dalla relativa assegnazione ai dipendenti (per categoria omogenea o singolo dipendente).

La politica di welfare aziendale oltre ad essere collettiva e quindi certamente premiante dal punto di vista fiscale, può anche essere rivolta al singolo dipendente per scelta del datore di lavoro.
In quest’ultima ipotesi, i vantaggi fiscali sono limitati solo ad alcune fattispecie di benefit, ad esempio i PIP, oppure i beni e servizi generici sino a € 258,23 o ancora i prestiti – ivi incluso il rimborso degli interessi del mutuo contratto dal dipendente – nonché i fabbricati concessi in locazione, in uso o in comodato.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Oltre duemila i contratti che prevedono l’erogazione di strumenti di welfare

Sono ben 2.290, su 13.543, i contratti aziendali e territoriali istitutivi dei premi di produttività che prevedono l’erogazione di strumenti di welfare aziendale.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha infatti reso noto con un comunicato stampa del 18 luglio 2016 (Premi di produttività) i dati relativi ai contratti aziendali e territoriali per i quali è obbligatorio l’invio telematico, o “deposito”, da parte dei datori di lavoro entro il termine, fissato al 15 luglio scorso, con riferimento agli accordi sottoscritti nel 2015. Un grande successo dunque di chi crede nella diffusione del Welfare per accrescere il benessere dei lavoratori e per ottimizzare il costo del lavoro!

Una delle più importanti novità dell’ultima Legge di Stabilità è quella di consentire di sostituire i premi di produttività in denaro con beni e servizi. Questa opzione deve però essere necessariamente inserita nei contratti territoriali o aziendali sottoscritti con i sindacati ed è pertanto sottratta alla libera disponibilità delle parti: è la contrattazione collettiva di secondo livello ad accordare ai dipendenti la facoltà di scelta.
In altre parole, se il contratto lo prevede, ogni dipendente può individualmente decidere di trasformare, in tutto o in parte, il premio di produttività a lui spettante in “premio sociale” spendibile in servizi di welfare. E il datore di lavoro deve assecondare questa decisione. La normativa non detta ulteriori regole, per cui l’eventuale disciplina di dettaglio, riguardante ad esempio le modalità di esercizio della scelta o la possibilità di revoca, resta demandata all’autonomia delle parti o al contratto stesso.

La conversione premi in denaro/servizi di welfare incrementa la soddisfazione dei lavoratori sia dal punto di vista della gestione del rapporto di lavoro (flessibilità), sia in termini economici attraverso un maggior potere di acquisto. Sotto quest’ultimo profilo occorre tener presente che il premio di produttività è al lordo delle ritenute contributive e fiscali (dato 100 di premio, il netto percepito dal dipendente è di circa 80), mentre il medesimo valore trasformato in servizi di welfare è al netto (100 di premio uguale a 100 di percepito). Il Datore di lavoro, dal canto suo, ottimizza i costi aziendali azzerando o riducendo il cd. “cuneo fiscale” grazie alla agevolazioni fiscali offerte dalla normativa (dato 100 di premio, il risparmio è di circa 40). Quanto basta per spingere le parti contraenti gli accordi territoriali e aziendali (rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori) a sostenere e facilitare la conversione dei premi di produttività in servizi di welfare, incoraggiando i lavoratori verso tale scelta.

In questa direzione va certamente il modello di accordo collettivo territoriale sottoscritto il 14 luglio scorso tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil e rivolto ai datori di lavoro che non hanno possibilità di stipulare un accordo a livello aziendale per mancanza delle rappresentanze sindacali interne. Secondo tale modello, l’impresa può consentire al dipendente di convertire il premio di produttività, in tutto in parte, in prestazioni di welfare aziendale.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Nuovi “voucher” per il nuovo Welfare

Il decreto ministeriale 25 Marzo 2016 fornisce importanti precisazioni sull’utilizzo dei voucher al posto dei servizi diretti di welfare offerti dal datore di lavoro.

Secondo la Legge di stabilità per il 2016 l’erogazione ai dipendenti da parte del datore di lavoro di beni, prestazioni, opere e servizi nell’ambito dei piani Welfare può avvenire mediante documenti di legittimazione, in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale.

In questo modo il datore di lavoro ha la possibilità di attribuire ai lavoratori voucher che non costituiscono reddito e pertanto non sono tassati: i casi più diffusi sono quelli dei buoni benzina oppure dei buoni spesa entro i 258,23 euro annui.

La possibilità di ricorrere ai voucher determina una notevole semplificazione per gli operatori del settore che possono attribuire beni e servizi tramite uno strumento decisamente flessibile.

Ritenendo tuttavia che ciò si possa prestare ad abusi fiscali, con il decreto 25 marzo 2016 sono stati definiti con precisione i limiti e l’ambito applicativo dei voucher. E’ infatti specificato che questi:

1) devono essere nominativi;
2) non possono essere utilizzati da persone diverse dall’avente diritto;
3) non possono essere monetizzati o ceduti a terzi;
4) devono dare diritto ad un solo bene, prestazione, opera o servizio per l’intero valore nominale senza integrazioni in denaro a carico del titolare. Sono fatti salvi i beni e servizi di valore inferiore a 258,23 euro che possono essere cumulativamente rappresentati da un unico documento di legittimazione.

In altre parole sotto i 258,23 euro annui si possono invece erogare più servizi con un unico voucher.

Scarica il Decreto del 25 Marzo 2016

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Welfare aziendale: i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate

Decolla il Welfare Aziendale grazie ai chiarimenti forniti con la tanto attesa Circolare n. 28 del 15 giugno 2016! Finalmente l’Agenzia delle Entrate riepiloga e interpreta le novità introdotte dalla Legge di stabilità, fornendo peraltro le proprie definizioni di “benefit” – cioè beni e servizi non soggetti a tassazione – e “flexible benefit” – cioè piani che mettono a disposizione del dipendente un paniere di “utilità” tra i quali questi può scegliere quelle più rispondenti alle proprie esigenze.

I più importanti chiarimenti riguardano le condizioni per poter sostituire le somme di denaro corrisposte dal Datore di Lavoro ai propri dipendenti con i benefit senza incappare in problematiche fiscali. In particolare:

• le somme devono esattamente corrispondere ai cosiddetti “premi di risultato”, che derivano da accordi sindacali aziendali sulla produttività e sono riconducibili al regime agevolato della tassazione sostitutiva dell’IRPEF nella misura del 10%;

• la fungibilità tra premi di risultato e benefit  deve essere contemplata dalla contrattazione collettiva di secondo livello, nel senso che la possibilità da parte del dipendente di scegliere se convertire in tutto o in parte il premio in denaro in benefit deve essere prevista da contratti sindacali aziendali o territoriali.

Le  modalità di esercizio della scelta e/o la revoca sono affidate all’autonomia delle parti o al contratto stesso: quindi ogni dipendente dopo aver optato per la trasformazione del premio di risultato in strumenti di welfare può successivamente revocare tale scelta.

L’Agenzia delle Entrate chiarisce anche quando non è possibile la conversione tra somme di denaro e benefit, in particolare:

se la sostituibilità non rientra tra le condizioni stabilite per l’applicazione della tassazione sostitutiva IRPEF del 10% ai premi di risultato: per es. in caso di beni e servizi erogati ai dipendenti con un reddito superiore ai 50.000,00 € oppure per la parte di premio di risultato che ecceda i 2.000,00 € (o i 2.500,00 € a certe condizioni);

se i benefit sono direttamente erogati dal datore di lavoro ai dipendenti senza la possibilità di conversione monetaria: ciò si verifica quando i piani di Welfare Aziendale nascono sin dall’origine per erogare solo beni e servizi senza opzione con premi in denaro.

Alla luce di questi chiarimenti, la migliore strategia aziendale per poter legalmente massimizzare i benefici fiscali connessi al Welfare potrebbe essere quella di contenere l’accordo sindacale sui premi di risultato entro i limiti stabiliti per l’applicazione della tassazione sostitutiva dell’irpef del 10% (premi entro i 2.000,00 € rivolti a dipendenti con reddito inferiore ai 50.000,00 €); di affiancare al predetto accordo un regolamento datoriale che preveda l’erogazione di beni e servizi  alla generalità o categorie di dipendenti al raggiungimento di determinati risultati aziendali.

Scarica la Circolare n. 28 del 15 giugno 2016

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Decreto sulla detassazione dei premi di produttività

Finalmente lo scorso 14 maggio è stato pubblicato l’atteso decreto attuativo che disciplina le modalità operative per poter usufruire della detassazione dei premi di produttività.

Ogni lavoratore avente diritto al premio di produttività può scegliere di convertire, in tutto in parte, l’erogazione in denaro spettante in “premio sociale”, spendibile quindi in servizi di Welfare, a condizione che questa possibilità sia contenuta nell’accordo sindacale sulla produttività.

Oltre al beneficio fiscale immediato, il lavoratore che opta per il Welfare ha anche il vantaggio che il reddito derivante dalla produttività – massimo 2.000,00 euro o a certe condizioni 2.500,00 – non viene né computato ai fini dell’accesso alle prestazioni previdenziali e assistenziali pubbliche; né ricompreso nei limiti reddituali – euro 50.000,00 – per l’accesso al premio di produttività detassato dell’anno successivo.

Facciamo un esempio: si pensi a un dipendente che ha percepito una retribuzione lorda di euro 49.000,00 più euro 2.000,00 di premio di produttività (non convertiti in Welfare) in un dato anno; l’anno successivo non avrebbe più diritto al premio di produttività detassato o convertibile in welfare dato che la somma dei suoi emolumenti, pari a euro 51.000,00, eccederebbe il limite previsto dalla norma. Qualora invece il dipendente chieda di convertire il premio di euro 2.000,00 in servizi Welfare, può aver accesso nel successivo anno al beneficio derivante dall’accordo di produttività, non verificandosi il superamento della soglia dei 50.000,00 euro.

E se non c’è l’accordo sindacale sulla produttività? Oppure se i sindacati non volessero creare un meccanismo di conversione tra premi e Welfare? Nessun problema, nulla è precluso! In queste ipotesi, infatti, per attuare un piano di Welfare il datore di lavoro può ricorrere ad un regolamento aziendale unilaterale, oppure concordarlo con i sindacati senza alcun riferimento alla produttività. In entrambe queste situazioni può quindi essere elaborato ed erogato un piano di Welfare aziendale senza particolari procedure formali, salvo individuare categorie omogenee dei soggetti aventi diritto, definendo beni e servizi da riconoscere ai lavoratori. Ovviamente, oltre al beneficio della fiscalità agevolata, il pacchetto Welfare così progettato non è soggetto ai limiti reddituali (euro 50.000,00) e di valore (euro 2.000,00) previsti in capo ad ogni dipendente per accedere alla retribuzione di produttività.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Legge di Stabilità per il 2016: le novità in ambito welfare aziendale

In tema di Welfare aziendale la più importante novità della Legge di Stabilità per il 2016 è l’apertura alla sostituibilità tra premi in denaro e servizi.
In precedenza, infatti, il Fisco aveva quasi sempre negato l’esenzione contributiva e fiscale dei valori contenuti in piani di Welfare Aziendale in presenza di un evidente tentativo di sostituire, con gli stessi, retribuzione in denaro fissa o variabile; o ancora qualora l’Azienda avesse messo a disposizione una determinata somma lasciando al dipendente la scelta tra forma monetaria o servizi oppure consentendo la monetizzazione dei valori di Welfare non utilizzati.

Ora, grazie alla nuova normativa, ogni dipendente potrà individualmente scegliere di trasformare, in tutto in parte, il premio di produttività a lui spettante frutto della contrattazione collettiva (anche aziendale) e la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, in “premio sociale” spendibile quindi in servizi di Welfare. Il vantaggio per il dipendente è innanzitutto di tipo fiscale, considerato che il premio è al lordo delle ritenute contributive e fiscali a suo carico (queste ultime anche se ridotte grazie all’applicazione della cd “detassazione” nella misura del 10%), mentre lo stesso importo in Welfare è al netto.

La somma in gioco è 2.000 €, innalzabile a 2.500 per le Aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro, condizione quest’ultima che dovrà, tra le altre, essere definita in un decreto ministeriale di prossima emanazione. Ad essere agevolati sono i soli dipendenti del settore privato con un reddito da lavoro dipendente, nell’anno precedente, non superiore a 50.000 euro.

Poichè la scelta tra premio in denaro e Welfare è nella disponibilità di ogni dipendente, appare evidente l’importanza – specie nelle PMI – di una giusta comunicazione rivolta sia da parte datoriale (che a sua volta otterrebbe il beneficio dell’esenzione dei contributi previdenziali) che da parte sindacale, tendente a superare la “naturale” diffidenza del dipendente stesso verso forme sostitutive della retribuzione in denaro.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Fare welfare in azienda conviene, al lavoratore e all’azienda

Fare welfare in azienda conviene: per i lavoratori il vantaggio consiste nel ricevere dal proprio datore di lavoro rimborsi di spese, erogazione di beni o servizi che non sono tassati in busta paga, nonchè agevolare la conciliazione tra vita privata e lavoro. Dal punto di vista delle aziende invece, a parte il risparmio contributivo e fiscale (oggi per garantire al lavoratore 1.000 € nette in denaro il datore di lavoro sostiene un costo di più del doppio a causa del cd “cuneo fiscale” ndr), il beneficio risiede nel miglioramento del clima aziendale, nell’accrescimento del senso di appartenenza, nel coinvolgimento e nella produttività dei propri lavoratori.

Oltre mettere mano alla precedente normativa risalente al 1986, senz’altro non più in grado di intercettare gli attuali nuovi bisogni sociali, la Legge di Stabilità 2016, in vigore dallo scorso 1° gennaio, ha innanzitutto il pregio di fare un po’ d’ordine dal punto di vista fiscale, la cui mancanza è certamente stata sino ad oggi uno dei principali deterrenti al potenziale innovativo del Welfare. In particolare, ciò è stato realizzato formalizzando il passaggio da un approccio al Welfare aziendale di tipo “volontario-unilaterale” da parte del datore di lavoro ad uno “bilaterale-contrattuale” per le specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto; nonchè introducendo la sostituibilità, prima negata, tra erogazioni in denaro (premi) e beni e servizi.

Le principali modifiche riguardano l’art. 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Come è noto il comma 2 elenca le voci escluse dal reddito di lavoro dipendente (e quindi esenti da contribuzione previdenziale e tassazione fiscale), tendenti a favorire totalmente o parzialmente somme o valori con funzioni sociali o di natura risarcitoria, tra cui a titolo esemplificativo:

  • i contributi versati a Casse sanitarie con specifici requisiti entro il limite di € 3615,20 (lett. a);
  • i servizi di mensa e i ticket restaurant cartacei fino a € 5,29 giornalieri; elettronici fino a € 7,00 (lett. c);
  • i servizi di trasporto collettivo (lett. d)
  • i contributi versati alla previdenza complementare entro il limite di € 5.164,57 (lett. h e art. 8, comma 4, Dlgs n. 252/2005);
  • particolari servizi di utilità sociale (lett. f e fbis).

Sono questi ultimi che sono stati oggetto di intervento legislativo, con la sostituzione della lettera f) e della lettera f bis), nonchè con l’aggiunta della lettera f ter). Nel dettaglio la nuova normativa prevede che non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente:

1) le opere e i servizi per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a contratti collettivi, a favore dei dipendenti e dei suoi familiari (lett. f);

2) le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro per la fruizione, da parte dei familiari dei dipendenti, dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio a favore dei medesimi familiari (lett. f bis);

3) le somme e le prestazioni erogate dal datore di lavoro per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti (lett. f ter);
se rivolti alla generalità o a categorie omogenee di dipendenti, con la precisazione che l’espressione categoria di dipendenti non va intesa soltanto in riferimento alle categorie previste nel codice civile (dirigenti, quadri, operai ecc.), bensì a tutti i dipendenti di un certo tipo (per esempio, tutti quelli di un certo livello o di una certa qualifica o di una certa anzianità aziendale o reparto).

I predetti interventi, anche se in parte sovrapponibili uno con l’altro, coprono tutti i bisogni sociali, dall’istruzione alla ricreazione, dall’assistenza sanitaria a quella sociale, dalla cura dei figli all’assistenza degli anziani.
Da rilevare che ove la legge parla espressamente anche di “somme” (lett. f bis e ter) è possibile, da parte del dipendente, farsi rimborsare le spese sostenute dietro giustificativi; ove invece si limita a prevedere “opere e servizi” (lett. f) o “prestazioni”, significa che il datore di lavoro deve offrire al dipendente servizi diretti, anche se tramite il ricorso a strutture esterne all’Azienda.
Peraltro, con l’introduzione anche del nuovo comma 3 bis all’art. 51, in luogo dei predetti servizi diretti, dal 2016 è possibile ricorrere a documenti di legittimazione (cd voucher) da spendere presso fornitori di servizi accreditati (per esempio asili nido o servizi di assistenza agli anziani).

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP