La redazione di Welfare Index PMI ha intervistato Carlo Robiglio presidente della Piccola Industria di Confindustria che sottolinea: “Il welfare aziendale migliora la produttività, il clima aziendale e la coesione, senza dimenticare che ha una ricaduta fiscale positiva per l’impresa stessa”.
Come si presenta la fotografia della Piccola Industria all’inizio del 2018?
Nel nostro Paese le piccole e medie imprese sono protagoniste assolute del tessuto produttivo: almeno il 99% delle imprese attive sono PMI e occupano il 78% della forza lavoro. Il dato sull’occupazione rimane costante nei diversi territori ad eccezione del Sud e delle Isole dove supera il 90%.
Se guardiamo a Confindustria, poi, le PMI rappresentano il 97,3% delle oltre 150mila associate e quasi il 57% dei dipendenti delle nostre imprese sono impiegati in PMI. Questi numeri dimostrano come le piccole e medie imprese siano un’espressione diretta delle comunità in cui sono inserite e delle eccellenze diffuse in tutta Italia.
Presidente Robiglio, quali sono le esigenze specifiche di queste protagoniste del tessuto produttivo italiano?
Siamo convinti che il bisogno principale per le nostre imprese sia compiere un grande cambiamento culturale. Una crescita sostenibile e non episodica delle imprese passa anche dalla consapevolezza del loro profondo ruolo sociale, come attori fondamentali per lo sviluppo del territorio e delle comunità in cui sono inserite. C’è infatti un grande bisogno di cultura d’impresa e non mi riferisco solo alla formazione ma soprattutto ad un cambio di mentalità, una disponibilità ad aprirsi al confronto, all’innovazione e all’internazionalizzazione. In questo contesto il welfare aziendale svolge un ruolo importante perché allo stesso tempo migliora la produttività e facilita le relazioni fra datori di lavoro, collaboratori e dipendenti.
Secondo lei la gestione del welfare aziendale può essere, quindi, propedeutica a una modernizzazione dell’azienda? Porre certe questioni può contribuire al cambio di mentalità?
Assolutamente sì, anche perché ritengo che mai come oggi, grazie anche a temi come il welfare, si torni a mettere la persona e i suoi bisogni al centro, in un’ottica di responsabilità sociale, che è uno dei grandi pilastri dello sviluppo che Piccola Industria vuole dare alla cultura d’impresa. Mi riferisco in particolare al concetto di sostenibilità ed economia circolare che vede l’imprenditore restituire al territorio quanto ha ricevuto. Questo è fondamentale per consolidare il legame tra le imprese e le loro radici, legame che costituisce la forza e la peculiarità delle aziende italiane.
Cosa significa fare welfare aziendale e cosa è cambiato rispetto al passato?
Gli imprenditori italiani sono da sempre molto sensibili al tema del welfare perché, nella maggior parte dei casi, sono i primi lavoratori delle proprie aziende, il loro rapporto con i collaboratori è molto stretto e ne conoscono bene le esigenze specifiche. In passato, però tutto era lasciato alla semplice relazione personale. Fare welfare, invece, vuol dire strutturare queste relazioni, mettendo ufficialmente al centro la persona e i suoi bisogni, migliorando al contempo le relazioni industriali e tracciando un vero percorso sul quale muoversi.
In che modo il welfare è un elemento competitivo e di crescita per una PMI?
Migliora la produttività, il clima aziendale e la coesione, senza dimenticare che ha una ricaduta fiscale positiva per l’azienda stessa. Anche grazie ai benefici fiscali, il tema del welfare sta diventando argomento diffuso e conosciuto tra tutte le piccole e medie imprese.
Quali sono secondo lei gli ostacoli maggiori che frenano lo sviluppo del welfare nel nostro Paese e nella Piccola Industria in particolare?
Si tratta innanzitutto di difficoltà di ordine pratico, soprattutto per le micro e piccole imprese, che devono dedicare risorse alla gestione amministrativa dei piani di welfare per gli adempimenti fiscali e contributivi. Inoltre, molti dei nostri associati non raggiungono la dimensione minima per accedere a tariffe agevolate per l’acquisto di servizi di welfare. Per questo, uno dei temi che sta affrontando Confindustria è da un lato l’attivazione di convenzioni con fornitori di welfare locali, dall’altro il servizio di consulenza all’interno delle nostre associazioni per strutturare dei piani di welfare a misura di PMI e la realizzazione di contratti di rete, che permettono di aggregare le piccole e medie imprese consentendo loro di usufruire di servizi di welfare al miglior costo.
Ci può fare qualche esempio di reti d’impresa attivate per ottenere benefici e servizi di welfare a prezzi competitivi?
Sicuramente la Rete Giunca, la prima rete d’impresa in Italia nata per proporre nuove iniziative di welfare a vantaggio dei dipendenti, costituita da 10 imprese della provincia di Varese, operanti in vari settori manifatturieri, e che coinvolge circa 1700 dipendenti. C’è poi la Rete #Welfare Trentino, costituita da 12 imprese della provincia di Trento con un bacino di oltre 3mila dipendenti, prevalentemente PMI. Sempre in quell’area abbiamo anche #WelfareSudTirol che aggrega 20 imprese per un totale di oltre 4mila dipendenti. Anche al Sud ci sono degli esempi virtuosi come la Rete Poema nata nella provincia di Avellino per obiettivi di innovazione tecnologica tra 15 imprese del settore aerospaziale, 7 delle quali nel 2016 hanno deciso di condividere, a beneficio dei loro 1000 dipendenti, anche servizi di welfare.
Quali sono i vantaggi concreti per un’impresa che aderisce ad una rete?
Questo tipo di aggregazioni permette di rafforzare il potere contrattuale rispetto agli operatori specializzati nella gestione di servizi di welfare, riducendo allo stesso tempo i costi di implementazione e gestione dei piani. Mettendo insieme i bisogni dei dipendenti si riescono a trovare soluzioni condivise e vantaggiose, in termini di numeri, anche per i fornitori di servizi.
In che modo sostenete lo sviluppo del welfare nelle piccole e medie imprese?
Andando sui territori per raccontare ai colleghi le best practice, le storie di altri imprenditori che già hanno attivato iniziative di welfare, ottenendo benefici e vantaggi. In generale, veniamo da un’epoca di crisi, caratterizzata da un certo scetticismo e la novità desta diffidenza. Ben venga quindi la narrazione da parte di imprese e imprenditori che hanno già avviato questi percorsi. D’altra parte le realtà associative territoriali devono favorire pratiche amministrative e di gestione – organizzando sportelli e offrendo consulenza a 360 gradi all’imprenditore che vuole attivare programmi di welfare – e incentivare le imprese a fare rete. Ciò anche con il supporto di RetImpresa, l’Agenzia confederale per le reti, che da qualche anno sta lavorando con le Associazioni per diffondere la cultura del welfare in rete tra le PMI, assisterle nella realizzazione dei contratti di rete e sensibilizzare le Istituzioni a premiare le migliori esperienze e i modelli virtuosi di aggregazione per il welfare.
Qual è secondo lei l’utilità dell’iniziativa Welfare Index PMI a cui partecipate fin dalla prima edizione?
Il Welfare Index, con il suo combinato di informazioni tecniche e best practice, permette un avvicinamento consapevole delle piccole e medie imprese al welfare aziendale e può contribuire e sostenere il cambio culturale necessario alle PMI per affrontare le nuove sfide come la crescita e l’internazionalizzazione.