“Per il mondo delle Professioni – ha dichiarato Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni – serve un welfare che tenga conto delle specificità del nostro settore, dove quasi il 90% della popolazione dei dipendenti è composto da donne e più del 50% ha meno di 40 anni di età”.
Presidente Stella, quanti sono oggi i professionisti in Italia e com’è cambiata nell’ultimo periodo la fotografia degli occupati in questo settore?
In Italia abbiamo circa 1milione e 400mila liberi professionisti ordinisti appartenenti alle quattro aree principali: economica (dottori commercialisti, revisori e consulenti del lavoro), sanitaria (medici, dentisti, psicologi, veterinari, ecc.) giuridica (avvocati e notai) e tecnica (ingegneri, architetti, periti industriali, agronomi, ecc). A questi dobbiamo aggiungere circa 1milione e mezzo di appartenenti alle cosiddette professioni non ordiniste, mi riferisco ad esempio a quelle nuove nel campo del benessere e dell’informatica che, al contrario delle prime, hanno registrato negli ultimi anni un aumento più significativo. Inoltre, se consideriamo anche dipendenti degli studi professionali, collaboratori, tirocinanti, praticanti e partite iva arriviamo a un totale di circa 4milioni.
Qual è la dimensione media di uno studio professionale?
La media è di 2.5 dipendenti per studio professionale. Il mondo delle libere-professioni sta cambiando faccia, sono in aumento gli studi associati e le cooperative anche se bisogna notare che il fenomeno è diverso tra grandi e piccole città. Nelle prime le aggregazioni tra studi sono più facili mentre nelle piccole continuano ad operare micro-realtà.
Quali sono le caratteristiche specifiche del settore degli studi professionali di cui tenere conto anche nei servizi di welfare?
Le caratteristiche fondamentali sono due: quasi il 90% della popolazione dei dipendenti del nostro settore è composto da donne e più del 50% ha meno di 40 anni di età. Un’altra specificità è che il nostro contratto collettivo è utilizzato ancora come una modalità di ingresso nel mondo del lavoro. Tuttavia, grazie anche all’evoluzione del contratto collettivo, che ha previsto coperture più ampie, si è verificata una maggiore stabilizzazione dei lavoratori. Date queste due caratteristiche fondamentali, nel contratto collettivo abbiamo creato dei meccanismi in grado di favorire la conciliazione dei tempi di vita e lavoro, ad esempio dando grande rilevanza alla tutela della maternità e alla prevenzione in ambito sanitario.
Quindi Presidente, il contratto collettivo per gli studi professionali prevede già servizi di welfare?
Sì, abbiamo previsto una serie di misure di welfare a favore del lavoratore: assistenza sanitaria integrativa, formazione, interventi per la sicurezza dei luoghi di lavoro e diamo anche un contributo al datore di lavoro che incentiva lo smart working, favorendo dunque la conciliazione tra vita e lavoro.
A quali bisogni del lavoratore avete cercato di rispondere integrando l’offerta di welfare nel contratto collettivo?
Già nel 2001 siamo stati il primo contratto collettivo in Italia a prevedere al suo interno l’assistenza sanitaria integrativa: le convenzioni previste nella polizza sono identiche per il lavoratore di una grande realtà del nord e per quello di un piccolo studio del sud. La sfida principale è stata dunque offrire un tipo di welfare che potesse essere valido e applicabile sia per il piccolo che per il grande studio, per questo abbiamo scelto delle polizze collettive.
Può illustrarci qualche altra misura specifica del settore?
Ad esempio nell’ultimo contratto collettivo abbiamo previsto delle misure di welfare anche per il datore di lavoro offrendo anche a questa figura l’assistenza sanitaria integrativa pagando un piccolo contributo. Anche in questo caso si tratta di una misura unica all’interno di un contratto collettivo nazionale.
Quanto secondo Lei, le nuove normative e gli sgravi fiscali sono stati utili per il vostro settore?
Francamente non del tutto. La realtà di uno studio professionale è molto diversa da quella di un’impresa. I modelli di welfare presi in esame dalla normativa sono più adatti alla grande impresa del settore industria. In altre parole, i parametri di riferimento per l’eventuale detassazione nel caso in cui il premio di produttività sia trasformato in servizi di welfare, sono legati a parametri che vanno bene per la grande impresa ma meno per lo studio professionale dove è difficile misurare la produttività.
In che modo il legislatore potrebbe rendere più fruibile l’offerta di welfare?
Dobbiamo trovare delle modalità più semplici e specifiche per individuare dei parametri di riferimento adatti alle attività professionali e di erogazione dei servizi, altrimenti si rischia di isolare ed escludere un settore come il nostro.
Qual è l’importanza di prevedere per le piccole/micro imprese “reti territoriali” per offrire servizi di welfare? Conosce esempi specifici di studi che si sono associati per dare servizi di welfare?
Abbiamo stipulato degli accordi a Roma e a Milano con grossi studi legali associati che oltre ad avere molti dipendenti si avvalgono anche di professionisti iscritti all’ordine in mono-committenza e titolari di p.iva. Questi studi hanno voluto riconoscere a tali soggetti la copertura integrativa sanitaria alla pari di quella dedicata ai datori di lavoro.
Quest’anno è tra i promotori del progetto Welfare Index PMI. Perché credete nel progetto e cosa vi ha spinto a prendervi parte?
Abbiamo aderito con entusiasmo perché il confronto con gli altri soggetti è molto importante ed è anche fondamentale creare delle sinergie in tutto il territorio. Mettere insieme le eccellenze per migliorare il welfare e dare una spinta positiva per la sua diffusione è uno dei motivi principali per il quale abbiamo aderito.