Qual è oggi la fotografia della piccola industria in Italia? Com’è cambiata nell’ultimo periodo?
Le PMI costituiscono quasi la totalità del numero delle imprese italiane – sono sopra il 97% – e occupano circa l’80% dei dipendenti.
La netta differenza rispetto al passato è che si sta sviluppando una sempre maggiore consapevolezza rispetto a quello che oggi è definito welfare aziendale, anche nelle piccole e medie imprese, favorita da una serie di opportunità fiscali offerte dalle ultime due Leggi di Stabilità.
Il welfare aziendale, quindi, non è più appannaggio solo delle grandi aziende?
L’attenzione verso il benessere dei collaboratori è sempre esistito anche nelle piccole imprese, magari con un’impostazione meno strutturata rispetto alle aziende di grandi dimensioni. In passato il welfare integrativo era diffuso soprattutto nelle grandi imprese, come benefit per i lavoratori.
Negli ultimi anni la contrattazione è intervenuta su questi temi in modo più significativo, sia a livello di categoria che aziendale. Nelle PMI – che sono in realtà delle piccole comunità formate dall’imprenditore e dai suoi collaboratori, dove le relazioni sono molto forti – questa cultura è presente da sempre, considerata quasi un’estensione stessa delle attività lavorative.
In altre parole, quello che prima chiamavamo “familiarità” e rapporti interpersonali oggi iniziamo a definirlo welfare.
Quali sono le peculiarità delle piccole e media imprese che possono incidere anche sui piani di welfare?
La piccola industria è al suo interno molto varia, ogni singola azienda ha degli elementi distintivi non dovuti soltanto alla classe dimensionale o al settore di appartenenza ma legati al territorio e alle caratteristiche della popolazione aziendale. Le nuove norme che favoriscono il welfare permettono a molte PMI di utilizzare questi servizi a beneficio del sistema impresa, definendo l’offerta in modo sartoriale in relazione ai bisogni delle singole realtà aziendali.
La limitata conoscenza degli aspetti fiscali e normativi è un ostacolo per le PMI nell’attivazione dei piani di welfare aziendale?
La conoscenza delle opportunità offerte può essere migliorata. Nella piccola industria di solito è tutto in mano all’imprenditore o al titolare, che ricopre anche il ruolo di responsabile delle Risorse Umane, quindi può essere difficile riuscire ad intercettare tutte le possibilità disponibili. Inoltre, la conoscenza dei vantaggi fiscali del welfare aziendale da sola non basta, per scaricare a terra tutte le potenzialità delle iniziative di welfare deve essere accompagnata anche da una nuova consapevolezza sul piano culturale.
Qual è secondo lei la sfida di oggi?
È cruciale l’avvicinamento delle piccole e medie imprese al concetto di welfare come elemento di competitività. Non dobbiamo dimenticare che migliorare il welfare in azienda è un aiuto anche alla produttività e soprattutto alimenta il patto sociale all’interno dell’impresa, distribuendo il successo tra tutti coloro che partecipano alla vita dell’azienda, dal dirigente al dipendente.
Per le piccole imprese, le “reti territoriali” possono essere importanti per offrire servizi di welfare?
Tra le difficoltà maggiori per le PMI nell’attivazione di politiche strutturate di welfare ci sono i costi per l’acquisto di beni e servizi da fornitori terzi e l’assenza di informazioni e di competenze dedicate. Per fronteggiare queste difficoltà Confindustria ha promosso, con ottimi risultati, la strategia dell’aggregazione attraverso i contratti di rete con altre imprese che hanno permesso di agevolare sia la conoscenza, sia l’utilizzo dei servizi di welfare.
Nel sistema Confindustria sono già stati realizzati 4 contratti di rete per il welfare: a Varese con la rete Giunca, a Brescia con la rete Welstep, a Reggio Emilia con la rete Giano, a Trento con la rete #WelfareTrentino. Questi primi contratti coinvolgono complessivamente circa 40 aziende con oltre 10mila dipendenti. Anche nel territorio di Bolzano e Como stanno per partire due nuovi contratti di rete per l’erogazione inter-aziendale dei servizi di welfare. All’interno di queste reti ci sono aziende con 8 o altre con 20 dipendenti, che difficilmente avrebbero potuto accedere da sole a servizi di welfare così ampi e organizzati.
In che modo, secondo lei, le novità dell’ultima legge di stabilità hanno reso più fruibile l’offerta di welfare?
In realtà questo cambio culturale era già in atto negli ultimi anni. Le novità introdotte dalla normativa hanno stimolato l’attenzione verso il tema del welfare perché non vengono informati solo gli imprenditori ma tutto il mondo che sta intorno, con il vantaggio che si parli in maniera sempre più diffusa di questi nuovi modelli di impresa.
Presidente Baban, Confindustria ha preso parte al progetto Welfare Index PMI fin da subito. In quale modo questo progetto può contribuire al cambiamento culturale nelle PMI?
Siamo da sempre molto attenti al tema del welfare aziendale, sono state proprio le imprese i precursori in questo settore. Non bisogna dimenticare il ruolo svolto da Confindustria nel dialogo con le parti sociali, soprattutto per promuovere la diffusione delle iniziative di previdenza complementare e sanità integrativa, che ancora oggi trovano il loro territorio ideale nei contratti di categoria.
In questo contesto il Welfare Index PMI è per noi importante perché contribuisce ad analizzare con un livello di grande dettaglio il fenomeno del welfare aziendale nel panorama delle PMI italiane e, inoltre, favorisce sul piano culturale un avvicinamento del mondo delle piccole imprese al concetto di welfare come elemento di competitività. È, infatti, grazie allo strumento dell’autovalutazione della singola impresa rispetto a dei benchmark di settore che l’imprenditore è in grado di individuare il suo posizionamento competitivo.