di Andrea Dili – Dottore Commercialista
Come noto i ticket restaurant, o più comunemente buoni pasto, sono dei coupon forniti dal datore di lavoro ai propri collaboratori al fine di usufruire di servizi sostitutivi di mensa.
A ben vedere si tratta di uno strumento molto diffuso, sia nelle grandi organizzazioni che nelle strutture di piccole dimensioni, vuoi per l’estrema semplicità di gestione vuoi, soprattutto, per i sostanziosi vantaggi fiscali che ne derivano. In via generale, infatti, i buoni pasto possono essere annoverati nella categoria dei fringe benefits, ovvero quelle forme di retribuzione in natura che, entro determinati limiti, non concorrono alla formazione del reddito imponibile del percettore.
In particolare, se per qualsiasi datore di lavoro – imprenditore o lavoratore autonomo – la spesa per l’acquisto dei buoi pasto costituisce un costo integralmente deducibile ai fini delle imposte sui redditi (come peraltro specificato dalla stessa Agenzia delle entrate nella circolare 6/E del 3 marzo 2009), per il lavoratore dipendente che ne beneficia esso rappresenta una utilità esclusa da tassazione, nei termini stabiliti dall’articolo 51, comma 3, lettera c) del TUIR, ovvero fino a un importo massimo di:
4 euro giornalieri se il buono pasto viene emesso in forma cartacea;
8 euro giornalieri se si tratta di ticket elettronico.
Analogamente, ai fini contributivi, i buoni pasto non costituiscono un elemento della retribuzione del lavoratore (sempreché accordi e contratti collettivi, anche aziendali, non dispongano diversamente), come statuito dall’articolo 6, comma 3 del Dl 11 luglio 1992 n. 333.
Si può pertanto facilmente intuire come l’utilizzo dei buoni pasto possa rappresentare anche una utile leva per rendere meno gravoso, o comunque ridurre, il divario tra l’ammontare lordo del costo del lavoro e quello netto della busta paga del dipendente (cosiddetto “cuneo fiscale), particolarmente rilevante nel nostro Paese.
Opportunità, è bene precisarlo, che può essere colta anche nel caso in cui i lavoratori beneficiari operino in modalità smart working: sul punto è interessante la precisazione fornita dall’Agenzia delle entrate in risposta a un interpello formulato da un ente bilaterale. Con la risposta n. 123 del 22 febbraio 2021, infatti, l’Agenzia ha chiarito che i buoni pasto possono essere attribuiti ai dipendenti (anche a tempo parziale) indipendentemente dal fatto che l’orario di lavoro contempli o meno una pausa pranzo. Per tali ragioni anche i lavoratori in smart working possono beneficiare della defiscalizzazione dei buoni pasto loro assegnati nei limiti generali sopra riportati.
Andrea Dili
Dottore Commercialista, esperto di Welfare Index PMI