Con la Circolare n. 7 del 6 maggio 2019, l’INL chiarisce che al fine di verificare la sufficienza dei trattamenti retributivi corrisposti ai lavoratori non devono essere presi in considerazione quei trattamenti «sottoposti in tutto in parte a regime di esenzione contributiva e/o fiscale, come ad esempio avviene per il welfare aziendale».
Per l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) stipendio in denaro e benefits non sono equivalenti, non hanno cioè lo stesso valore al fine del rispetto dei minimi retributivi a cui sono condizionati i benefici contributivi e normativi previsti dalle vigenti disposizioni di legge.
In particolare, con circolare n. 7 del 6 maggio 2019, l’INL fornisce un’interpretazione estensiva dell’articolo 1, comma 1175, della legge 296/2006, che dal 1° gennaio 2007 condiziona il riconoscimento ai datori di lavoro dei benefici contributivi e normativi in materia di lavoro e previdenza al rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
L’INL ritiene infatti che anche il datore di lavoro che si obblighi a corrispondere ai lavoratori trattamenti economici e normativi equivalenti o superiori a quelli previsti da tali contratti, possa legittimamente fruire dei suddetti benefici contributivi e normativi, a prescindere da quale sia il contratto collettivo “applicato” o, addirittura, a prescindere da una formale indicazione, abitualmente inserita nelle lettere di assunzione, circa la “applicazione” di uno specifico contratto collettivo.
Attenzione però: al fine di verificare l’equivalenza dei trattamenti effettivi garantiti rispetto a quelli contrattualmente previsti, non devono essere presi in considerazione quei trattamenti «sottoposti in tutto in parte a regime di esenzione contributiva e/o fiscale, come ad esempio avviene per il welfare aziendale».
Con questa precisazione l’INL da una parte si oppone a coloro che ritengono che qualsiasi trattamento economico possa essere convertito negli strumenti di welfare aziendale individuati dall’articolo 51, commi 2-3-4 del TUIR; dall’altro, finisce però con il delegittimare poste economiche che sempre più stanno acquisendo importanza non solo all’interno della stessa contrattazione collettiva, ma anche tra i lavoratori. Il seguente esempio può rendere bene l’idea: se un CCNL “A” (sottoscritto da sindacati non rappresentativi) individua minimi retributivi inferiori a quelli previsti dall’omologo CCNL “B” (sottoscritto invece da sindacati rappresentativi), ma prevede una copertura sanitaria a favore del personale dipendente il cui valore, sommato ai propri minimi, sopravanza quelli definiti dal CCNL “B”, si avrebbe come conseguenza la perdita per il datore di lavoro che applica il CCNL “A” dei benefici contributivi e normativi, pur avendo egli garantito un trattamento complessivo più favorevole ai propri lavoratori rispetto al datore di lavoro che applica il CCNL “B”.
Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP