Fare welfare in azienda conviene: per i lavoratori il vantaggio consiste nel ricevere dal proprio datore di lavoro rimborsi di spese, erogazione di beni o servizi che non sono tassati in busta paga, nonchè agevolare la conciliazione tra vita privata e lavoro. Dal punto di vista delle aziende invece, a parte il risparmio contributivo e fiscale (oggi per garantire al lavoratore 1.000 € nette in denaro il datore di lavoro sostiene un costo di più del doppio a causa del cd “cuneo fiscale” ndr), il beneficio risiede nel miglioramento del clima aziendale, nell’accrescimento del senso di appartenenza, nel coinvolgimento e nella produttività dei propri lavoratori.
Oltre mettere mano alla precedente normativa risalente al 1986, senz’altro non più in grado di intercettare gli attuali nuovi bisogni sociali, la Legge di Stabilità 2016, in vigore dallo scorso 1° gennaio, ha innanzitutto il pregio di fare un po’ d’ordine dal punto di vista fiscale, la cui mancanza è certamente stata sino ad oggi uno dei principali deterrenti al potenziale innovativo del Welfare. In particolare, ciò è stato realizzato formalizzando il passaggio da un approccio al Welfare aziendale di tipo “volontario-unilaterale” da parte del datore di lavoro ad uno “bilaterale-contrattuale” per le specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto; nonchè introducendo la sostituibilità, prima negata, tra erogazioni in denaro (premi) e beni e servizi.
Le principali modifiche riguardano l’art. 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Come è noto il comma 2 elenca le voci escluse dal reddito di lavoro dipendente (e quindi esenti da contribuzione previdenziale e tassazione fiscale), tendenti a favorire totalmente o parzialmente somme o valori con funzioni sociali o di natura risarcitoria, tra cui a titolo esemplificativo:
- i contributi versati a Casse sanitarie con specifici requisiti entro il limite di € 3615,20 (lett. a);
- i servizi di mensa e i ticket restaurant cartacei fino a € 5,29 giornalieri; elettronici fino a € 7,00 (lett. c);
- i servizi di trasporto collettivo (lett. d)
- i contributi versati alla previdenza complementare entro il limite di € 5.164,57 (lett. h e art. 8, comma 4, Dlgs n. 252/2005);
- particolari servizi di utilità sociale (lett. f e fbis).
Sono questi ultimi che sono stati oggetto di intervento legislativo, con la sostituzione della lettera f) e della lettera f bis), nonchè con l’aggiunta della lettera f ter). Nel dettaglio la nuova normativa prevede che non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente:
1) le opere e i servizi per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a contratti collettivi, a favore dei dipendenti e dei suoi familiari (lett. f);
2) le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro per la fruizione, da parte dei familiari dei dipendenti, dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio a favore dei medesimi familiari (lett. f bis);
3) le somme e le prestazioni erogate dal datore di lavoro per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti (lett. f ter);
se rivolti alla generalità o a categorie omogenee di dipendenti, con la precisazione che l’espressione categoria di dipendenti non va intesa soltanto in riferimento alle categorie previste nel codice civile (dirigenti, quadri, operai ecc.), bensì a tutti i dipendenti di un certo tipo (per esempio, tutti quelli di un certo livello o di una certa qualifica o di una certa anzianità aziendale o reparto).
I predetti interventi, anche se in parte sovrapponibili uno con l’altro, coprono tutti i bisogni sociali, dall’istruzione alla ricreazione, dall’assistenza sanitaria a quella sociale, dalla cura dei figli all’assistenza degli anziani.
Da rilevare che ove la legge parla espressamente anche di “somme” (lett. f bis e ter) è possibile, da parte del dipendente, farsi rimborsare le spese sostenute dietro giustificativi; ove invece si limita a prevedere “opere e servizi” (lett. f) o “prestazioni”, significa che il datore di lavoro deve offrire al dipendente servizi diretti, anche se tramite il ricorso a strutture esterne all’Azienda.
Peraltro, con l’introduzione anche del nuovo comma 3 bis all’art. 51, in luogo dei predetti servizi diretti, dal 2016 è possibile ricorrere a documenti di legittimazione (cd voucher) da spendere presso fornitori di servizi accreditati (per esempio asili nido o servizi di assistenza agli anziani).
Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP